Ci sono cose che il capomafia non può non sapere - risponde il giudice al giornalista Saverio Lodato:
Non può non sapere se Giuseppe Graviano, nel periodo delle stragi siciliane, aveva davvero rapporti con Berlusconi anche in funzione della successiva creazione del nuovo movimento politico, denominato «Forza Italia». Non può non sapere perché la strategia delle bombe venne esportata in continente con l'adozione di modalità terroristiche mai appartenute, in precedenza, a cosa nostra.
Ma c'è dell'altro. Non può non sapere se, come appare logico pensare, la scelta dei singoli obiettivi da colpire venne suggerita ai macellai di cosa nostra da uomini ed entità esterne di altri poteri.
Infine non può non sapere perché, subito dopo il fallito attentato all'Olimpico - quando il 23 gennaio 1994 la morte di centinaia di carabinieri fu evitata per un soffio dal cattivo funzionamento del telecomando - il progetto venne accantonato e l'intera strategia stragista improvvisamente interrotta. Sono questi i terribili segreti che Matteo Messina Denaro detiene, in una parola: la sua straordinaria arma di ricatto che spiega forse la sua interminabile latitanza
Il patto sporco - Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista, di Saverio Lodato e Nino di Matteo
Gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, gli omicidi di valorosi commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri. Lo Stato in ginocchio, i suoi uomini migliori sacrificati. Ma mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, proprio in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico.La sentenza di condanna di Palermo, contro l’opinione di molti “negazionisti”, ha provato che la trattativa non solo ci fu ma non evitò altro sangue. Anzi, lo provocò. Come racconta il pm Di Matteo a Saverio Lodato in questa appassionata ricostruzione, per la prima volta una sentenza accosta il protagonismo della mafia a Berlusconi esponente politico, e per la prima volta carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, sono ritenuti colpevoli di aver tradito le loro divise. Troppi i non ricordo e gli errori di politici e forze dell’ordine dietro vicende altrimenti inspiegabili come l’interminabile latitanza (43 anni!) di Provenzano, la cattura di Riina e la mancata perquisizione del suo covo, il siluramento del capo delle carceri, Nicolò Amato, la sospensione del carcere duro per 334 boss mafiosi.Anni di silenzi, depistaggi, pressioni ai massimi livelli (anche dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), qui documentati, finalizzati a intimidire e a bloccare le indagini. Ora, dopo questa prima sentenza che si può dire storica, le istituzioni appaiono più forti e possono spazzare via per sempre il tanfo maleodorante delle complicità e della convivenza segreta con la mafia.
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