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Banchieri e compari è l'ultimo libro di Gianni Dragoni, il giornalista del Sole 24 ore, parla di banche e banchieri. Parla delle banche e del ruolo che stanno ricoprendo e che hanno ricoperto in Italia, in questi mesi di crisi (non per tutti):
Dove finiscono i nostri soldi? Chi paga la crisi? L'Italia è tra i paesi che faticano di più a risollevarsi. La cura Monti non serve a crescere. La disoccupazione è ai massimi dal 2004. Soprattutto le banche non riescono a superare la crisi, nonostante i generosi interventi fatti in loro soccorso. Quelle italiane hanno ricevuto dalla Bce 270 miliardi di prestiti a buon mercato, più di un quarto del totale distribuito in Europa. Perché hanno bisogno di così tanti soldi?Sul Fatto quotidiano di ieri c'era un estratto del libro: "Le banche evadono e i risparmiatori pagano ":
Perché sono imbottite di Bot, Btp e Cct comprati quando sembravano un investimento sicuro, mentre ora sono ad alto rischio, la fiducia è crollata e il debito pubblico sembra inarrestabile.
Questo libro racconta come la pioggia di denaro facile proveniente dal grande bancomat di Francoforte venga impiegata per fare speculazioni: le banche hanno aumentato gli acquisti di titoli di Stato (318 miliardi di euro!) che il Tesoro altrimenti non avrebbe saputo come piazzare, forti della garanzia che il rendimento dei titoli è molto più alto del costo del prestito. Alla fine chi paga? Gli Stati, se i cittadini potranno sopportare nuove tasse. Come racconta Dragoni, ricostruendo storie e casi esemplari, le scorribande della finanza e le speculazioni delle banche si incrociano con la ragnatela di partecipazioni, i conflitti d'interesse, le triangolazioni con l'estero per aggirare il fisco. Quasi sempre, a farne le spese, i risparmiatori, mentre c'è sempre qualche banchiere in grisaglia o un cinico operatore che incassa un bonus milionario.
La fiducia nelle banche è messa a dura prova anche dalle indagini tuttora in corso della magistratura e dalle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, cioè il ministero delle Finanze, su una presunta evasione fiscale miliardaria. Tasse non pagate, e gli evasori sarebbero molte banche italiane, comprese le più grandi: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena.
A Unicredit, la maggiore per patrimonio, il 18 ottobre 2011 sono stati sequestrati 246 milioni di euro per operazioni condotte attraverso una delle più importanti banche inglesi, la Barclays. Tra il 2007 e il 2009 Unicredit ha comprato dalla filiale di Milano della Barclays titoli in lire turche emessi da una società lussemburghese della stessa Barclays, presentati come titoli atipici e detti “strumenti di partecipazione ai profitti”. Perché le lire turche? Perché in Turchia il rendimento dei titoli era più alto, il 20 per cento contro il 4 per cento europeo.
Gli interessi ottenuti sono stati camuffati da dividendi, come se fossero il frutto di un
investimento azionario, perché in Italia le tasse sugli interessi si pagano sull’intera somma percepita, mentre sui dividendi si pagano solo sul 5 per cento del valore. In questo modo il 95 per cento del guadagno rimane esente da imposte. Attraverso questa operazione, che la banca ha chiamato Brontos,cioè brontosauri, Unicredit avrebbe sottratto al fisco 745 milioni di euro di guadagni, ai quali corrispondono tasse non pagate per 246 milioni. LA PROCURA di Milano, attraverso il pm Alfredo Robledo, parla di “capziosa evasione fiscale” e ipotizza il reato di “dichiarazione fiscale fraudolenta”, punibile con la reclusione da un anno e mezzo a sei anni. Per questo il 5 giugno 2012 il gup Laura Marchiondelli ha rinviato a giudizio Alessandro Profumo (all’epoca dei fatti amministratore delegato di Unicredit) assieme ad altri 16 dirigenti della sua banca e a tre della Barclays. (...) Unicredit, prima
di subire il sequestro, aveva accettato nel maggio 2011 di pagare 99 milioni per chiudere altre contestazioni con il fisco riferite al 2005. Il 3 agosto 2012, con un secondo accordo, la banca ha versato ulteriori 264,4 milioni all’Agenzia delle entrate.
“Il pagamento riguarda in gran parte il caso Brontos, per cui abbiamo versato più o meno la somma contestata” ha detto il nuovo amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni.
Tra questi e altri casi, in totale il fisco ha mosso contestazioni alle banche per una somma tra i quattro e i cinque miliardi di euro di imposte non pagate e sanzioni. Alla fine, attraverso le transazioni, lo Stato potrebbe incassare poco più di un miliardo. E gli altri tre o quattro miliardi? (...) Il consulente che nel 2007 ha dato un parere favorevole a Unicredit per l’operazione Brontos è lo studio fondato da
Giulio Tremonti, il quale all’epoca non era al governo e dunque faceva il tributarista.
Nel 2008 Tremonti è di nuovo ministro dell’Economia. Da lui dipende l’Agenzia delle entrate, cioè l’organo dello Stato che nel 2009 ha cominciato a contestare alle banche questa gigantesca evasione fiscale. Ma il suo studio tributario, che nei periodi in cui Tremonti è stato al governo si chiamava Vitali Romagnoli Piccardi, ha continuato a dare pareri favorevoli perle operazioni di Unicredit. Non solo: ha pure assistito il Credito emiliano nel ricorso del 2010 e la Banca popolare di Milano.
QUINDI Tremonti tributarista ha consigliato alle banche di trovare il modo di pagare meno tasse, Tremonti ministro ha chiesto di pagarne di più attraverso i suoi funzionari, e anche il suo studio ha cambiato parere e consiglia di fare la pace con il fisco. (...)
E poi c’è il caso di Intesa Sanpaolo, la banca con il maggior numero di sportelli in Italia. Nel novembre del 2011, quando il suo ex amministratore delegato Corrado Passera è diventato superministro nel governo Monti, si è sparsa la voce che la banca stava facendo una trattativa per chiudere il contenzioso con il fisco. Secondo quanto comunicato al momento della transazione, il 13 dicembre 2011, l’ex banca di Passera ha pagato 270 milioni. Dal bilancio 2011 risulta che al gruppo veniva contestato, tra imposte, sanzioni e interessi, il mancato pagamento di un miliardo e 150 milioni. Dunque la somma sborsata per mettere a tacere le pretese del fisco è appena il 23 per cento della somma totale contestata.
Un bel vantaggio per Intesa. La banca non ha chiarito se lo studio tributario fondato da Tremonti sia stato tra i suoi consulenti, lasciando un margine di dubbio su questo interrogativo. Viene anche da chiedersi se sia opportuno che l’accordo con lo Stato sia stato raggiunto poco dopo l’ingresso nel governo dell’ex numero uno della banca, o che il capo di una banca accusata di evasione fiscale sia diventato ministro.
Tra i pretesti di lettura che potete leggere qui, trovate questa perla (a seconda dei punti di vista) di politica economica:
"Ligresti è indebitato per più di due miliardi verso le banche. Nonostante questo, Unicredit ha messo a sua disposizione 205 milioni. La stessa banca ha deciso di tagliare 5200 dipendenti entro il 2015. Ma la perdita causata dal salvataggio di Ligresti corrisponde al costo di mille dipendenti in un anno. E Intesa ha aumentato i tagli da 3000 a 5000 posti."
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