13 novembre 2012

L'emergenza culturale

L'accusa del professor Salvatore Settis nell'intervista a Il fatto quotidiano del lunedì, contro questa politica che abbandona al suo destino la cultura, le opere d'arte, i musei, i nostri capolavori.
Come per l'emergenza ambientale, anche la cultura è un tema assente sia dall'agenda Monti (anche per lui forse la cultura non dà da mangiare) sia nelle discussioni per le primarie.

Salvatore Settis è a Valparaiso, Cile, per un ciclo di lezioni e di
incontri, anche sulla politica di tutela del bene artistico italiano.
Professore, qual è il nemico principale del patrimonio?
Oggi è l'idea perversa che pretese norme universali del mercato (cioè una
forza potente, ma antipolitica e completamente fuori, anzi contro la democrazia)
debbano essere l'unica forza regolatrice, e che la cultura sia un ornamento superfluo. Questa non è una caratteristica necessaria della destra: la Francia di Sarkozy e la Germania di Merkel hanno continuato a investire in cultura. È l'Italia di Berlusconi
che non lo ha fatto. Si è illuso chi credeva (lo credevo anch'io) che il governo
Monti avrebbe segnato una svolta. La perfetta continuità Gelmini- Profumo e Bondi-Ornaghi, la perversa persistenza nella marginalizzazione della cultura stanno diventando una peste italiana. E non vedo fino ad ora nessuno dei partiti che timidamente usano la logora etichetta di “sinistra” che proponga organiche strategie
alternative.
Qual è, in questo momento, il caso più emblematico dello stato di emergenza
per il patrimonio, in Italia?

Sceglierei un bel palazzo del centro di Roma. Si chiama Collegio Romano, è
la sede del Ministero dei Beni Culturali.
Vi lavorano quotidianamente moltissimi funzionari, la gran maggioranza di alta esperienza e competenza, ottimi servitori dello Stato (cioè della comunità dei cittadini). Vi vengono spesso altri funzionari, i Soprintendenti che operano nel territorio: anche loro per la più gran parte di livello buono, o anche ottimo. Ma da
quel Palazzo non viene da troppo tempo nessuna direttiva generale, nessuna
strategia, nessun orgoglio della missione importantissima che esso dovrebbe assolvere, secondo la Costituzione. La continua mortificazione a cui gli ultimi tre ministri hanno costretto il loro staff è una importante concausa di un degrado della tutela che ha raggiunto ormai dimensioni intollerabili. E Ornaghi semplicemente
non c'è. Ci si chiede come mai egli accetti di stare in una posizione che palesemente è al di fuori non solo delle sue competenze, ma di qualsivoglia sua curiosità intellettuale.
Le prime cose che andrebbero fatte...
Ci sono cose che può fare un ministro e cose che deve fare il governo, che
deve garantire tre cose essenziali: un sostanzioso aumento delle risorse economiche (e non mi si dica che è impossibile, a fronte del 147 miliardi di evasione fiscale
del 2011), una nuova assunzione di funzionari (anche stranieri) sulla base di concorsi
fondati esclusivamente sul merito, e infine la necessaria fusione del Ministero con quello dell'Ambiente. Quel che il Ministro, dopo, potrebbe fare è una riforma
strutturale che desse amplissima autonomia alle Soprintendenze territoriali, con un
sistema di riconoscimento dei loro meriti e di valutazione dei risultati.
La salvezza del patrimonio sta nella ricchezza privata (sponsor, mecenati, fondazioni)
o nel rilancio della tutela pubblica?

Pensare che un patrimonio come quello italiano possa essere interamente gestito dai privati non è solo stupido, è delittuoso. L'arrivo di fondi privati (purché non vengano
dati per secondi fini, e non ci si aspetti un ritorno economico) dev'essere il benvenuto, ma innestandosi su un solido finanziamento pubblico. Ma in Italia è impossibile defiscalizzare le donazioni, perché l'evasione fiscale è troppo alta per consentirlo: è quello che mi disse un Ministro competente e onesto come Padoa Schioppa.
Il suo ultimo libro, appena uscito, si intitola Azione popolare. Cittadini per il bene comune: cosa possono fare i cittadini per il loro patrimonio, e perché dovrebbero farlo?
È importante comprendere che la tutela del patrimonio non è un fiore all'occhiello, ma – dice la Costituzione – è essenziale in un orizzonte di diritti che include il diritto alla salute, alla scuola, alla cultura. Che include l'eguaglianza e la democrazia. In questo
libro ho tentato di spiegare perché. Se riusciremo a capire questo, e a farlo capire alle forze politiche, la svolta che attendiamo potrebbe e dovrebbe avvenire molto presto. Le numerosissime associazioni su questi temi che già esistono e che vanno formandosi ogni giorno (oggi sono almeno 30.000) non devono coalizzarsi in un nuovo partito,
ma spingere i partiti a mettere questo tema al centro della politica: il movimento per l'acqua e il relativo referendum è stato in tal senso un'esperienza cruciale.
 E dunque il segnale che noi cittadini dobbiamo dare alla politica, in vista delle prossime elezioni è il seguente: non voteremo mai per un partito o candidato che non mettano l'emergenza culturale e ambientale (legate tra loro) in cima alla loro agenda.

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