Sembrava un sacco di rifiuti abbandonato da qualche maleducato di passaggio all'Idroscalo di Ostia, invece era il corpo del poeta Pierpaolo Pasolini.
Era stato picchiato in modo feroce, con ferite su tutto il corpo e poi lasciato su quella strada da qualcuno che, prima di andar via, aveva passato con l'auto sul suo corpo, facendogli scoppiare il cuore.
Così morì un poeta, un intellettuale scomodo, un regista, uno scrittore: “Abbiamo perso un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo! Ne nascono due o tre in un secolo” queste le parole sconsolate di Moravia al suo funerale, che si chiudevano con un monito “un poeta dovrebbe essere sacro.”
Invece, questa sacralità, non fu rispettata per Pasolini: autore di film e di libri che suscitarono scandalo, censure, un poeta e un intellettuale eretico, cacciato dal PCI per la sua omosessualità, attaccato dalla DC per le sue posizioni e aggredito dai fascisti alle uscite dei suoi film.
Un poeta di opposizione, contro, allo stesso tempo amico dei giovani ma critico nelle loro omologazioni di quegli anni (i capelloni, il 68..).
Contro il degrado portato da questo progresso, contro la a-culturazione delle masse nata con la società dei consumi: Pasolini era prima di tutto un attento osservatore delle trasformazioni della nostra società, quelle che a lui non piacevano.
Nei suoi racconti troviamo quello che lui chiamava il sottoproletariato, persone “semplici” non ancora corrotte e inquinate dalla cultura borghese corrente.
I suoi pensieri si potevano leggere ogni settimana sul Corriere alla voce “scritti corsari”: in questa rubrica parlava di aborto, del Vaticano, della rivoluzione del 1968, del fascismo degli antifascisti, senza alcun pregiudizio, anche in modo politicamente scorretto.
“un autore, quando è disinteressato e appassionato, è sempre una contestazione vivente. Appena apre bocca contesta qualcosa al conformismo [...] a ciò che insomma va bene per tutti. Quindi non appena apre bocca è un artista per forza impegnato, perché il suo aprire bocca è scandaloso, sempre”.
E lui scandaloso lo era stato sin dal 1949 quando il PCI di Pordenone lo espulse per “immoralità” a seguito di una accusa falsa, per cui si era appartato con dei bambini. L'accusa non era vera ma il partito nemmeno si preoccupò di verificare.
Ma questa fu solo la prima delle persecuzioni giudiziarie che dovette subire: finì 32 volte in tribunale per i suoi film (da Teorema a Salò) con le accuse di vilipendio alla religione, turpiloquio.. Film bloccati dalla magistratura ma poi sempre ritornati nei cinema.
Palazzo Chigi portò avanti un'azione giudiziaria contro il suo libro “Ragazzi di strada”, indicando perfino le pagine incriminate. Anche questa finì in una archiviazione.
Nei suoi scritti non nascondeva il suo odio contro questo stato, inteso come stato delle cose e anche come Stato, come istituzioni borghesi:
"Da cosa è stata caratterizzata tutta questa mia produzione, in maniera assolutamente schematica e semplicistica? E' stata caratterizzata prima di tutto da un mio istintivo e profondo odio contro lo stato in cui vivo. Dico proprio "stato": E intendo dire "stato di cose" e "Stato" nel senso proprio politico della parola. Lo stato capitalistico piccolo-borghese che io ho cominciato a odiare fin dall'infanzia. Naturalmente con l'odio non si può nulla... Infatti non son riuscito a scrivere mai una sola parola che descrivesse, si occupasse o denunciasse il tipo umano piccolo-borghese italiano. Il senso di repulsione è così forte che non riesco a scriverne. Quindi ho scritto nei miei romanzi soltanto di personaggi appartenenti al popolo. Io vivo cioè senza rapporti con la piccola borghesia italiana. Ho rapporti o con il popolo o con gli intellettuali. La piccola borghesia sì però è riuscita ad avere rapporti con me. E li ha avuti attraverso i mezzi che ha in mano ossia la magistratura e la polizia. E ha intentato una serie di processi alla mia opera."
Fu accusato da un maestro di Avellino di averlo derubato, da un allevatore di Nicolosi per la morte delle sue pecore, da un barista del Circeo per rapina .. tutte accuse false, testimonianza di quella persecuzione che nasceva dal suo essere contro. Contro il finto moralismo, contro il qualunquismo che allora come oggi impera nella massa delle persone.
Persecuzione che nasceva anche dal fatto che Pasolini non era un intellettuale con le spalle politicamente coperte: anche dopo la cacciata, aveva criticato il PCI e perfino scomunicato quei giovani che si erano scontrati nel marzo del 1968 a Valle Giulia a Roma con la polizia.
Lo aveva scritto nella sua poesia, “Il PCI ai giovani”.
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati...
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo borghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Ma uno dei suoi articoli più importanti è quello uscito nel novembre 1974 sul Corriere, “Il romanzo delle stragi”, con quel famoso incipit:
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
In quell'articolo si trovavano spunti per dare un fil rouge alle stragi e ai tentativi di colpo di stato che erano avvenuti a partire dal 1969.
Il mistero Pasolini
Per quale motivo è morto Pierpaolo Pasolini? Non per una becera storia tra omosessuali, questo dopo tanti anni possiamo dirlo con certezza. Lo stesso Pino Pelosi, nel 2005 ammise di fronte all'avvocato Marazzita (che aveva rappresentato la famiglia Pasolini al processo) di non essere stato da solo quella sera a Ostia. Vennero in tre, non li conoscevo, lo picchiarono..
Forse nemmeno Pelosi ha raccontato la verità, non ha detto tutto: ma di certo c'è che per quel delitto italiano, come lo definì il regista Marco Tullio Giordana in un film, non furono fatte indagini. Alla tesi della violenza scaturita da un rapporto non consensuale si opposero sin da subito giornalisti come la Fallaci, come Furio Colombo, che raccolsero anche testimonianze di persone che abitavano all'Idroscalo.
Le indagini non tennero conto dei reperti trovati nell'Alfetta del regista, un plantare e un maglione che non erano di Pasolini.
Non tennero conto dell'impronta sangue lasciata da una mano sul lato passeggero della macchina. Del fatto che Pelosi non aveva addosso evidenti macchie di sangue al momento dell'arresto.
Fu il lavoro del dottor Faustino Durante che scoprì le tracce dei pneumatici sul corpo di Pasolini, che portarono poi alla vera causa della morte: non il pestaggio, ma il “sormontamento” dell'auto.
Ma agli italiani doveva essere consegnata una precisa verità: Pelosi come unico assassino in una banale lite tra omosessuali.
Nient'altro.
Quello di Pasolini è un delitto che ci ha tolto un osservatore dei tempi: se fosse ancora vivo cosa avrebbe detto degli anni ottanta? Della seconda repubblica e di tangentopoli?
Dei governi Berlusconi, del G8 a Genova, delle guerre per esportare la democrazia, di questa politica di oggi, senza partiti, con partiti personalistici che si appoggia ai sondaggi e alla pancia delle persone .. e di governi che sono così competenti da rendere superflue elezioni e la democrazia.
No, Pasolini non sarebbe stato tenero e “corretto” con nessuno.
Sicuramente non sarebbe stato uno di quegli intellettuali da salotto, eterni finti bastian contrari per fingersi rivoluzionari ma in fondo sempre dei conservatori, difensori di uno status quo che non deve cambiare.
Pasolini non amava la televisione, un medium sbilanciato, dove uno parla e gli altri stanno a sentire, dove una persona è costretta a non poter dire quello che pensa perché “di fronte alla sprovvedutezza delle persone, mi censuro”.
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Pasolini non era un violento, le sue idee erano violente, perché dentro trovavi la violenza del vero.
Violenti erano gli anni settanta, dove si moriva per la politica: sono gli anni in cui vengono uccisi Ramelli, Brasili, Zibecchi (quest'ultimo investito da un camion dei carabinieri).
Sono gli anni del rogo di Primavalle (opera di esponenti di Potere Operaio contro un dirigente missino), dello stupro di Franca Rame organizzato dai vertici della divisione Pastrengo.
Sono gli anni in cui l'odio, che è sempre stato presente nella sottocultura in Italia, fu definitivamente travasato in quella specie di lotta politica (e che oggi troviamo nei social media).
Il mistero Pasolini
Di misterioso in un poeta dovrebbe esserci solo la comprensione della sua poesia, un poeta dovrebbe essere sacro, non dovrebbero esistere misteri sulla sua morte.
Tra le ipotesi che sono state fatte, scartando la tesi del delitto compiuto solo da Pelosi, c'è quella dell'amico Franco Citti che parte dal furto delle “pizze” del film Salò, rubate dal deposito della Technicolor.
Pasolini sarebbe stato attirato a Ostia, forse nemmeno all'Idroscalo, per una trappola dai ladri delle pizze.
E poi c'è la tesi che porta al libro che Pasolini stava scrivendo da due anni e che purtroppo è rimasto incompiuto, Petrolio.
Un libro che parlava di questo paese, degli scandali, della sua classe dirigente e dell'Eni. Della morte del suo presidente Enrico Mattei (che nel libro è presente con uno pseudonimo), ucciso in un attentato a Bascapè nell'ottobre del 1963.
Nel capitolo lampi sull'Eni si parla di un collaboratore di Mattei, anche lui con uno pseudonimo che riporta però a Eugenio Cefis.
Si parla di strategia della tensione, di massoneria, si mettono assieme tanti pezzetti della nostra storia che Pasolini aveva ricostruito in un quadro inquietante (“io so perché sono un intellettuale”).
Per scrivere questo libro e in particolare questo capitolo sull'Eni, Pasolini aveva ricevuto del materiale dall'interno di quel mondo, in particolare il libro “Questo è Cefis” di Steinmetz.
Possibile che Pasolini sia stato ucciso per questo? Perché inconsapevole burattino di una guerra di potere?
Di certo è che oggi il poeta, lo scrittore, il registra, l'acuto e attento osservatore del paese, non c'è più. Non ci rimane nulla della sua “puerile voce”, se non i suoi scritti, i suoi articoli che ritraggono una società che è nemmeno troppo lontana da questa.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
Come in molti noteranno, per questo post ho preso spunto, ispirazione, dalla preziosa puntata di Blu Notte di Carlo Lucarelli.
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