10 novembre 2021

Il talento del cappellano, di Cristina Cassar Scalia

 


Aveva smesso di nevicare da un paio d’ore e il cielo s’era riempito di tutte le stelle che l’occhio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che s’inerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. Così imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile al buio della notte, doveva essere uno spettacolo.

Questo quinto romanzo della scrittrice catanese è una continua riserva di sorprese per il lettore, sin dall'inizio.

Sin dalla scoperta di un cadavere da parte del custode di un vecchio albergo di montagna, cadavere che poi scompare, per poi venire scoperto in un cimitero, ma non da solo, in coppia, un uomo e una donna, dentro una cappella, con tanto di candele come se fossero parte di un rito funerario.

E anche l'indagine seguirà piste diverse, ogni volta promettenti, per poi venire smontate dalle scoperte fatte, a volte quasi per caso.

Tante sorprese nonostante ritroviamo gli stessi protagonisti dei precedenti gialli della serie del vicequestore Vanina (con una enne sola) Guarrasi: palermitana dalla nascita ma trapiantata a Catania, a capo della squadra Omicidi della Mobile, dopo una fuga da un passato segnato da una doppia ferita, dal fetore della lotta alla mafia, ma non si può sempre sfuggire al proprio passato.

Ma procediamo con ordine: è una giornata fredda, dopo Natale, quando alla Mobile di Catania arriva una telefonata di un signore, custode del Grand Hotel della Montagna, una struttura alberghiera rimasta chiusa per anni e ora in fase di ristrutturazione.

- Pronto, polizia? Dovete venire subito… – Prese fiato. – Al Grand Hotel della Montagna.

Ma il cadavere non c'è, che si tratti di uno scherzo? La persona che ha chiamato è uno da prendere con le pinze, perché dice di potersi mettere in contatto con gli extraterrestri, basta avere le apparecchiature giuste.

Nonostante sembri una cosa da niente Vanina, in quel momento a casa dei suoi a Palermo per Natale, decide di rientrare subito al lavoro. Non è solo perché in una storia così “ci si cala dentro con tutte le scarpe” come dicono i suoi collaboratori.

Ma anche per scappare da Palermo, da Paolo Malfitano, il procuratore antimafia con cui aveva avuto una relazione anni prima e che aveva lasciato. Non è facile vivere accanto al bersaglio numero uno della mafia, specie dopo aver visto tuo padre, sbirro pure lui, morire in un agguato.

In effetti, qualcosa che non torna, sulla presunta scena del crimine c'è, delle tracce di sangue raccolte dalla scientifica. E poi il custode, tanto pazzo non sembra. Ma alla fine il morto arriva, anzi, i morti:

Dottoressa, mi scusi, Fragapane sono. – Fragapane, che fu? – Il cadavere trovarono. Vanina dovette impegnarsi in uno sforzo di concentrazione. – Che cadavere? – Quello della Leonardi,

Questa volta i cadaveri sono due, non sono una invenzione e vengono ritrovati una mattina dal custode del cimitero di Santo Stefano, poco lontano dalla casa di Vanina.

Si tratta di un uomo e di una donna: lei è una pediatra scomparsa da prima di Natale, lui invece è un prete, anzi, un monsignore, monsignor Antonino Murgo.

Messi uno accanto all'altro da un assassino che sembra abbia voluto celebrare un suo rituale macabro.

Adagiati sul coperchio di marmo un uomo e una donna, uniti da un nastro rosso, largo, annodato come un fiocco all’altezza della vita. Sopra le teste, una composizione di rametti di vischio e accanto due stelle di natale.

Come da prassi, le indagini partono dalla cerchia di persone che stavano a fianco delle vittime, cercando anche di capire che legame ci fosse tra di loro.

Lei, la pediatra, era un medico competente, che lavorava con passione coi bambini che arrivavano al suo reparto, ma aveva anche un non carattere non facile, non dava molta confidenza coi colleghi.

La sera della scomparsa era stata ad una festa con degli ex compagni di classe delle superiori, con cui non si vedeva da anni, a Nicolosi.

Il monsignore era una persona importante, “uno che il titolo di monsignore se l’era guadagnato a suon di lauree, alti studi e considerevoli meriti, tra cui anche un paio di missioni in Africa”

L'indagine parte da qui: il marito, anzi, l'ex marito da ascoltare, gli ex compagni di scuola da sentire e da tener monitorati tramite i propri numeri di cellulare.

E per don Antonino, ci sono i parenti da sentire, le persone che gli stavano a fianco in parrocchia.

Ma cosa avevano in comune queste due persone? Come mai l'assassino li ha ammazzati, in momenti diversi, per poi riunirli in quella cappella, come se volesse indicare qualcosa, a chi avrebbe scoperto i corpi, alle persone che poi avrebbero letto questi particolari di cronaca sui giornali?

C'è n'è abbastanza da tirare dentro Vanina, con tutta la sua squadra, con l'aggiunta del giovane “vecchio” commissario Patané, ex capo della omicidi, che a fare il pensionato non ci riesce proprio con grande dolore della povera Angilina.

Vanina notò che Patanè aveva appeso cappotto, cappello e ombrello all’appendiabiti accanto alla porta. Che ora pareva preciso

identico a quello del commissario Maigret al Quai des Orfèvres nello sceneggiato con Gino Cervi,..

Questa volta il supporto di Patané non sarà nell'andare a ritroso del tempo per scoprire i perché di quel delitto e di quella messinscena: servirà il suo intuito da sbirro per districarsi nelle false piste e dai “curtigghi”, dal movente troppo facile, da una pista passionale che approda nel nulla. E l'aiuterà anche quando ad un certo momento si inizia a sentire quel “tanfo” di mafia che poco piace al vicequestore, tanto da tenerla ben lontano dalle indagini che incrociano cosa nostra e le famiglie mafiose nella sua città.

Sono due menti che ragionano veloce, quelle di Vanina e di Patané, nonostante appartengano a generazioni differenti, con metodo di indagine differenti: mica c'erano cellulari, tante telecamere per le strade, tutto quell'ausilio della scienza.

E che, come al solito, lei e io arriviamo sempre alle stesse conclusioni. – Perciò se sbagghiamu, sbagghiamu entrambi, – concluse Patanè. – Ma se c’inzertiamo…

Ma non c'è solo spazio per le indagini: dietro questa frenesia per inseguire i casi più complessi, senza fermarsi alle conclusioni più facili, per Vanina Guarrasi c'è la paura a doversi fermare e a fare i conti con la realtà, dover prendere una scelta definitiva tra l'uomo che ha amato e davanti a cui ha costruito un muro, per tenerlo lontano. E magari aprirsi a nuove storie, per una nuova fase della vita.
Ma Vanina non è sola: non è lo è al lavoro, avendo a fianco una squadra affiatata, dal vice Spanò, alla nordica ispettrice Marta Bonazzoli, all'altro veterano Fragapane per arrivare poi ai carusi, Nunnari e Lo Faro.

Non lo è nel suo piccolo mondo, con la vicina di casa Bettina, che la considera come una figlia, con Giuli, l'avvocata e Adriano Calì, il medico legale nonché compare del suo cineforum privato, avendo entrambi la stessa passione per i film d'epoca.

Un mondo in cui il cibo ha un ruolo importante: a cominciare dalle cose buone che Bettina le fa trovare la sera, per proseguire con la sua putìa di fiducia, quella di Sebastiano, “una vetrina di di formaggi e salumi che raramente gli era capitato di vedere tutti insieme. L'universo intero del DOP, dell'IGP e di tutte le specialità regionali a partire da Bolzano fino a Ragusa.”

Infine, il bar di Alfio con cui cominciare una giornata in grazia di Dio, con i suoi cornetti, raviole, treccine o lil talento del e brioche con la granita...

– ’A sapi ’na cosa, dottoressa? A volerci scrivere un romanzo giallo, ’sta storia sarebbe stata difficile da cuntare. – Perché dice cosí, commissario? – Tutta l’indagine appresso a una pista, e poi la soluzione spunta accussí, di bonu e bonu. L’ultima delle soluzioni ca uno si puteva immaginare.

La scheda del libro sul sito di Einaudi

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