Come vivono nel territorio dove coltivano le nocciole per la nutella e come vivono nei territori dei più grandi vivai?
Poi un servizio sul frutto proibito, il dattero di mare, così proibito e ambito da politici, magistrati perfino dall'uomo più ricco della terra.
Ma prima, nell'anticipazione, come stiamo gestendo la transizione ecologica?
Incapacity Market di Lucina Paternesi
Cosa accadrebbe se, un giorno all'improvviso, non avessimo più energia per la nostra casa, per gli uffici, per le aziende? Per scongiurare i blackout che fermerebbero il paese l'Italia (su indicazione dell'Europa) ha creato il sistema “capacity market”, si tratta di aste di energia che paghiamo oggi per avere una riserva domani, in caso di bisogno.
Ma questa energia da dove arriva? Dal gas, alla faccia della transizione ecologica: oggi non avrei firmato quegli accordi dice il ministro Cingolani, perché non hanno senso.
Ma anche ieri non avevano senso: abbiamo stanziato miliardi per comprare energia passando per un'asta (ad un prezzo salato) senza chiederci da dove venisse, così anziché smantellare il gas e il metano, dovremo ricorrere proprio all'energia fossile.
Enel e Edison, grazie al capacity market, stanno costruendo nuove centrali a gas: Edison si è accaparrato incentivi statali per costruire una centrale a Marghera e poi a Caserta (con un progetto vecchio di venti anni).
Edison incasserà 750ml nei prossimi anni, più del doppio di quanto costerebbe realizzare queste centrali: queste centrali, che verranno usate in modo discontinuo, inquineranno anche di più se fossero usate in modo continuativo. Era proprio necessario realizzare queste centrali?
Anziché investire in eolico e fotovoltaico, dovendo dismette il carbone, dobbiamo passare al gas: “è un qualcosa di inefficiente” è il commento di Michele Governatori, responsabile del programma energia del Think Thank Ecco “ed è anche incompatibile con gli obiettivi di decarbonizzazione. Un azzardo che rischia di bloccare tecnologie alternative coerenti con la fine delle energie fossili.”
Ma il ministro Cingolani la pensa in modo diverso.
“In questo momento è inutile fare voli pindarici” risponde il ministro: “abbiamo nove anni per arrivare al target europeo degli accordi di Parigi [del 2015] del 55% di decarbonizzazione, lì credo che la tecnologia ci darà risposte enormi.”
In attesa della tecnologia c'è chi incassa: Enel ad esempio, che prenderà 750ml dalle aste, per potenziare impianti esistenti come quelli di Priolo e Termini Imerese mentre nuovi camini e nuove turbine verranno installate in Sicilia, a La Spezia e nella laguna di Venezia, nuovi impianti da 100MW dove un tempo bruciava il carbone.
Per Carlo Tamburi, AD di Enel Italia, questo è il principale strumento per favorire la transizione ecologica “meglio fare del nuovo gas, sicuramente più efficiente e performante piuttosto che lasciare il carbone.”
Per arrivare la transazione ecologica serve passare per la cruna del gas e la pagheremo noi utenti: i consumatori pagheranno per queste centrali e anche per quelle a carbone che Enel sta riconvertendo da carbone a gas.
Non era meglio incentiva tecnologie che guardano al futuro e meno inquinanti?
Del Pizzo, responsabile strategie Terna, dice che dobbiamo dare a tutte le tecnologie le stesse possibilità, come se queste avessero lo stesso impatto sull'ambiente. Ma ora Cingolani cambierà le regole del capacity market per il 2024?
Edison ed Enel dicono che le scelte sono state fatte da Terna e da chi deve distribuire l'energia, ma poi Terna scarica la colpa alla politica. Un altro aiuto di stato a chi sta costruendo queste centrali?
Monoculture o Biodiversità – (e che nocciola sia) di Bernardo Iovene
Che mondo sarebbe senza Nutella?
La nocciola è la base della Nutella, del gusto più famoso e venduto di gelato, di dolci e biscotti: ma basta una nocciola cimiciata (con la puntura della cimice) per far andare a male il prodotto, il gelato potrebbe avere un gusto rancido.
Le aziende grandi eliminano il problema alla base usando prodotti chimici, altri ne fanno a meno: il problema non è di salute ma riguarda la biodiversità.
Quando si fanno grandi coltivazioni monocoltura, come succede nel viterbese, si hanno sempre degli effetti collaterali nei tanti comuni dove gli amministratori locali temono il potere della Ferrero, una multinazionale del settore alimentare.
Qui una volta erano tutte vigne – racconta un contadino nel pistoiese a Bernardo Iovene, in una campagna dove si è circondati da alberi di nocciole: Vignanello era il paese delle vigne, una volta, oggi è il paese dei noccioleti, perché da queste parti piantare nocciole è diventato un investimento, ma la cultura intensiva ha le sue controindicazioni, specie per chi ci vive in mezzo. Coltivare le nocciole è più facile rispetto alle viti, che richiedono maggiori attenzioni e lavoro: così dove una volta erano vigneti, oggi è solo noccioleti.
Anche nel viterbese, pascoli, culture di frutta sono state convertite in noccioleti, che per il grande bisogno di acqua hanno prosciugato l'acqua, come successo a Gallese.
A Nepi, poco lontano, l'amministrazione si sta battendo contro i produttori intensivi dei noccioleti per l'abuso dei trattamenti e per il prosciugamento dei pozzi. Chi vive in mezzo alle coltivazioni deve uscire di casa con la maschera: le denunce dei cittadini non hanno avuto seguito perché le amministrazioni sono impotenti contro la “grande azienda” che compra queste nocciole.
Il sindaco di Nepi non fa il nome di questa “grande azienda”, la Ferrero: il viterbese è il più grande serbatoio di nocciole in Italia, che poi vengono trasformate nel suo stabilimento.
Ferrero non fa trasformazione qui e soprattutto non vuole il biologico e dunque i produttori devono usare la chimica per proteggere il frutto: con quali effetti sulla salute?
Si parla di maggiore incidenza di melanomi, per l'esposizione ai pesticidi – spiega a Report un medico.
Per questo motivo 13 comuni si sono organizzati in un consorzio per vietare l'uso del glifosato e per tutelare la cultura biologica: ma il consorzio Assofrutti, che è fornitore di Ferrero, si è opposto a queste ordinanze perché le ritengono imposizioni troppo restrittive.
Ma sostanze tossiche (come arsenico e fosforo) e batteri sono stati trovati nelle acque del lago di Vico: l'ex sindaco di Caprarola, intervistato da Bernardo Iovene, assicura che l'acqua del lago di Vico è potabile per i cittadini. Ma, intervistando il tecnico degli impianti di trattamento, emerge che l'acqua non è potabile, perché manca l'autorizzazione finale dell'ASL, che ha sospeso il giudizio sulla potabilità.
“L'acqua non è potabile nella forma ma non nella sostanza” assicura l'ex sindaco (lo era fino al momento del servizio) che assicura che ai suoi cittadini non è mai arrivata acqua tossica.
In realtà il rapporto dell'ASL è chiaro: anche dopo il trattamento l'acqua non è potabile, anche perché dai rubinetti esce con un coloro scuro, costringendo le persone a prendere l'acqua da un'altra fonte o dai distributori automatici.
Anche a Ronciglione c'è la stessa situazione: ci sono gli erogatori comunali per le persone, ma anche qui il problema sono le condutture, da cui esce acqua con arsenico e di un colore scuro. Per queste storie l'Unione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia.
Ora i produttori si stanno spostando verso il lago di Bolsena: qui i terreni si stanno riconvertendo alla nocciola, con produttori che prendono i contributi per il biologico, ma poi appena si va in produzione (dopo 5 anni) smettono di fare i biologici e pompano con la chimica. Sono i furbetti del biologico.
Tutto per colpa della cimice: quest'anno, per colpa delle gelate molti produttori “convenzionali” (cioè non biologici) hanno perso una buona parte del raccolto.
Produttori che devono combattere la cimice con la chimica perché, racconta uno di loro, senza la chimica il prodotto sarebbe peggiore.
Ci sono invece coltivatori che, sposando la linea biologica, di trattamenti non ne fanno i quali vendono la loro crema spalmabile: Iovene ha cercato anche in questa produzione biologica la presenza di cimici, rilevando (da un suo test, che non fa statistica) che l'assenza di trattamenti non comporta necessariamente un prodotto peggiore.
Cosa fanno questi coltivatori per combattere le cimici? Hanno piantato leguminose e trifogli sotto le piante per attrarre questo insetto, sono tecniche che comportano costi e sacrifici, ma che darebbero risultati migliori, spiegano questi produttori.
La soluzione è dunque la biodiversità (che darebbe minore produzione): è la battaglia dei sindaci del biodistretto che si stanno scontrando con Confagricoltura e Assofrutti, contrari alla imposizione del biologico.
La provincia di Viterbo sta cercando di mediare tra le due posizioni, biologico e tradizionale, mentre i sindaci si trovano nel mezzo delle pressioni dei produttori convenzionali.
“Sto cercando di difendere la biodiversità di questo territorio” racconta il sindaco di Nepi.
Assofrutti ha spiegato a Report che loro non usano più glifosato, perché prodotto superato dalle nuove tecniche, ma ha presentato un ricorso alle ordinanze dei comuni e il ministero della transizione si è schierato dalla loro parte.
Nel frattempo, i produttori biologici producono una crema spalmabile (biologica) che però è per la maggior parte venduta all'estero.
Ferrero, pur non accettando un'intervista, ha deciso di sviluppare in Italia un progetto di nocciola tracciabile, in una lettera inviata a Report.
I vivai nel pistoiese.
A Pistoia c'è il distretto più grande al mondo dei vivai: 5200 ettari a ridosso della città e dei paesi limitrofi, che vende piante per i più grandi giardini al mondo, perfino a Versailles.
Vannucci è l'azienda più grande e vende i suoi prodotti all'estero, piante belle e floride ma che creano problemi al territorio: non sono solo la fabbrica di ossigeno d'Italia.
Perché anche nei vivai si fanno trattamenti e anche a ridosso delle case delle persone, come Silvia Capo: ci sono vivai con piante a terra, dove per pulire il terreno si usa il glifosato che garantisce una resa migliore rispetto all'estirpazione a mano delle erbe infestanti e degli insetti.
Ma i fitofarmaci, se non spruzzati a terra e in modo diretto sulle piante, finiscono nell'aria e fino alle case a ridosso delle piante, dove le persone sono ad un passo dall'esasperazione.
Denunce ed esposti delle persone rimangono inascoltate: Report è andata ad intervistare il presidente distretto vivaistico di Pistoia che è un agronomo, che però difende l'uso del glifosato.
Da una parte la produzione e la resa, per i vivaisti, che devono inseguire una domanda mondiale che è cresciuta di dieci volte, dall'altra parte una provincia e i suoi abitanti che devono convivere con i vivai e con i fitofarmaci nell'aria.
E non sempre le regole vengono rispettare dai vivaisti: non siamo tutti santi – ammette il presidente dei vivaisti, perché dopo i controlli molte aziende (nove su dieci) avevano situazioni di irregolarità (usavano prodotti scaduti o che dovevano essere ritirati che invece erano sparsi sui terreno).
Tracce di fitofarmaci sono state trovate nei pozzi, che dovrebbero essere a distanza di almeno dieci metri e i campi.
E attorno ai pozzi, per un raggio di duecento metri, non dovrebbero essere usati pesticidi o sostanze tossiche: ma poi la regione ha autorizzato una serie di pesticidi, togliendo vincoli rispetto alla legge nazionale che riprende le direttive europee.
A complicare le cose c'è poi una ordinanza del comune di Pistoia, che prevede una soglia di venti metri attorno ai pozzi di captazione: una confusione che consente ai vivaisti non onesti di fare come vogliono.
Iovene ha ottenuto una intervista al responsabile del settore agricoltura in regione Toscana (che ha tirato in ballo il comitato di tecnici che ha consultato per le sue scelte): la regione nel piano regionale aveva consentito l'uso del glifosato (assieme ad altre sostanze attive), poi bloccato.
Il presidente del consorzio vivaistico vorrebbe espandersi, creando vivai ex novo in modo biologico: ma chi controllerà l'applicazione delle norme, in questa situazione di confusione, con norme diverse tra comune e regione ed enti di controllo come ARPAT?
In attesa di vedere come andrà a finire, la qualità delle acque in questa zona della Toscana è pessima.
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