19 novembre 2017

La banca della mafia – da La strategia del gambero (Colaprico)

La banca della mafia a Seveso, in una delle immagini catturate dalla Polizia

Ranirate è un piccolo paese nella zona a nord ovest della Lombardia, quella che una volta era una lunga distesa di piccoli capannoni della piccola industria che aveva illuso il nord e l'Italia di essere potenza mondiale.
E che poi, la crisi, l'ingordigia dei padroncini, la poca capacità di guardare lontano hanno spazzato via.
Ranirate, tra Milano, Varese, Como, la Svizzera, è un paese che non esiste ma, per usare le parole di Rosi in “Le mani sulla città”, è reale il contesto che Piero Colaprico ci racconta nel suo romanzo “La strategia del gambero”.
Due famiglie di ndrangheta, gli Spanò e i Corallo, che si sono divisi quella fetta di Lombardia, dividendosi gli affari: agli Spanò il traffico di droga, di prostituzione e le estorsioni.
Ai Corallo, l'usura: la villa bunker del boss don Rocco Corallo è un andirivieni di piccoli imprenditori o di persone normali che si vedono prestare soldi ad un tasso di interesse del 15% mensile.
A strozzo, appunto.
Ma ci sono anche altri imprenditori, più grandi e furbetti, che si presentano dal boss della ndrangheta per ripulire una parte dei guadagni, così da nasconderli alla Finanza e allo Stato.
Alcuni imprenditori, quelli che avevano l'appuntamento con Don Rocco nel pomeriggio, si erano già radunati nel cortile. Erano in sette in attesa di parlare con “la banca” di alcune “pratiche” considerate indispensabili per far sparire i guadagni e vivere alla grande. Il sistema, un'invenzione di don Rocco, era semplice e collaudato. Gli imprenditori portavano gli assegni, con importi tra i trenta e i centomila euro. E don Rocco pensava a tutto. Innanzitutto, indicava a chi intestare gli assegni, e cioè a qualcuna delle tante ditte precipitate nel suo girone infernale: ditte destinate al fallimento, alla bancarotta, all'esplosione, all'incendio, ai fondi statali del terremoto, ditte che avrebbero fatto arenare ogni indagine. Poi decideva quale percentuale, variabile tra il 7 e il 10 per cento, applicare. Ad accordo raggiunto, consegnava a ciascuno il denaro contante e una fattura su carta intestata dell'azienda-discarica, quella che avrebbe inghiottito ogni documento. Infine, mandava uno dei suoi a cambiare gli assegni e accumulava le banconote fresche nella cassaforte: a marcire in galera al posto dei Corallo e degli imprenditori sarebbe stata una qualsiasi delle sue teste di legno. “E' la nostra santa alleanza”, spiegava don Rocco: da una parte i mafiosi incassavano i soldi riciclati grazie a direttori di banche e uffici postali compiacenti, dall'altra gli imprenditori potevano scrivere nelle spese di bilancio di aver sborsato somme colossali, pagate con assegno non trasferibile, mentre in realtà si tenevano montagne di nero esentasse, in cambio di una percentuale che pagavano al boss. Un affare senza intoppi e, dopo tanti anni di questo “scambio”, la cassaforte di don Rocco era in grado di fornire sino a 10 milioni di euro in un solo giorno e non c'erano mai stati problemi con nessuno, nel senso che quei pochi che avevano avuto problemi non erano andati in giro a raccontarli, essendo morti.Piero Colaprico - La strategia del gambero (Feltrinelli)


I Corallo e gli Spanò, due famiglie che si guardano in cagnesco, sopportando la pax mafiosa imposta dalla genitrice Calabria, che si stanno per unire in nozze. Un po' come i Montecchi e i Capuleti, solo con due differenze.
Che questa volta Giulietta e Romeo non si amano per niente.
E che a rompere gli equilibri della pace in paese è arrivato Corrado Genito (ex carabiniere, ex investigatore, ex carcerato ...), in missione “sporca” per conto dei servizi.
E che userà la sua strategia del “gambero” per mettere le due famiglie l'una contro l'altra.


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