Quelli che parlano della rivolta di Rosarno si dividono in 3 categorie.
Quelli che ne parlano dal calduccio del loro ufficio, lontano dai fatti. "Lo stato torna padrone del territorio .. occorre ristabilire la legalità".
Quelli che vengono da fuori, e che sono inviati sul territorio.
Infine quelli che, dei problemi di quel territorio, dove il confine tra stato e antistato è labile (come han raccontato le inchieste Why not, Poseidone, gli omicidi Fortugno), se ne sono sempre occupati.
Dei magistrati della DDA, in prima linea contro la criminalità organizzata.
Dei poliziotti, lasciati senza benzina e macchina a constrastare la mafia più organizzata e forte.
Dei politici, come la calabrese Angela Napoli: che non ha paura di fare i nomi dei colleghi che hanno rapporti poco chiari.
Chi c'è dietro la rivolta a Rosarno? Chi ha soffiato sul fuoco (facendo girare le voci dei morti africani e della donna costretta ad abortire)?
Che legame c'è con la bomba contro la procura di inizio gennaio?
Ha notato la coincidenza rispetto alla bomba scoppiata meno di una settimana fa a Reggio?
«I disordini sono cominciati in contemporanea con la seduta del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza a Reggio. Se è una coincidenza, non può passare inosservata. Non può non far pensare a interventi di depistaggio da parte della ’ndrangheta».
È andata a Rosarno?
«No, ma ho seguito costantemente cosa accadeva. E valutando gli atti intimidatori dai quali era partita la protesta, ho capito che doveva esserci senz’altro l’intervento della mafia. È chiaro è stata una provocazione: una provocazione consapevole della reazione ci sarebbe stata.
Un diversivo, lei dice.
«Un possibile depistaggio rispetto all’attenzione su Reggio dopo l’esplosione dell’ordigno alla Procura generale: per portare altrove le indagini e il controllo».
Qualcuno dice che quella potrebbe essere la risposta alla svolta positiva che c’è stata negli ultimi ptempi negli uffici giudiziari.
«Nell’ultimo anno c’è effettivamente stata un’attività encomiabile da parte della Procura, ma soprattutto da parte dell’organico della Dda reggina. C’è una grande attività di contrasto alla malavita, una maggiore attenzione dal punto di vista processuale e investigativo».
Ad Annozero lei ha lanciato l’allarme sul rischio che il consiglio regionale che si va ad eleggere sia infiltrato.
«Occorre premettere che l’attuale, quello che sta per scadere, è il consiglio regionale più inquisito d’Italia».
Quanti sono?
«Non so, ma c’è tutt’ora gente in galera. Io stessa, nella scorsa legislatura, avevo chiesto lo scioglimento del consiglio. E ora leggo che diversi consiglieri dell’attuale maggioranza tentano di migrare».
Per essere ricandidati nel Pdl e liste collegate?
«C’è per esempio Cherubino, che ha lasciato lo Sdi per i socialisti di Mancini. La Rupa, rinviato a giudizio per voto di scambio, in transito verso il Pdl. Morrone, già assessore con Loiero e rappresentante del vecchio sistema clientelare. Tripodi, tutt’ora indagato, ex Udeur ora Udc. Poi, tra i papabili per le liste, ci sono amministratori dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa».
Ma non sono condannati.
«E questo li rende candidabili. Eppure, se questi amministratori sono citati nelle relazioni d’accesso come responsabili di atti che hanno portato allo scioglimento, mi sembra che almeno questo giro dovrebbero restare fuori. Soprattutto in questo momento di sfida della ’ndrangheta verso lo Stato».
La mafia che vuole sedere in consiglio regionale, dice lei.
«Vuole continuare a farlo».
Conservazione dell’esistente?
«Con l’aggravante della nuova strategia: quella della ’ndrangheta vestita di nuovo, fatta anche da gente laureata e quindi in grado entrare direttamente in politica. Persone che cercano di andare laddove si può vincere. E che contribuiscono di fatto a determinare la vittoria».
Qualcuno che faccia qualcosa?
«Non c’è, secondo me, coscienza da parte dei partiti politici: mirano al risultato, non alla qualità del consenso. Devo dire però che una voglia di pulizia comincia ad esserci, ma serve in citamento da parte della società civile. Tanta gente mi dice “grazie per aver avuto il coraggio di dire quello che tutti sappiamo”».
Già, ma nessuno parla.
«Perché non si sentono protetti. Il sindaco di San Lorenzo del Vallo oggi ha ricevuto una lettera minatoria perché aveva chiesto pulizia nelle liste. Trovare le forze non è facile».
Mandano bossoli anche a lei?
«No, con me usano tecniche diverse. L’isolamento. Minacce larvate che sono comprensibili solo per chi conosce determinati usi. Come le querele. O le richieste di chiusura di Annozero dopo la mia intervista. Ce n’era una ieri sulla Stampa».
E lei si sente isolata?
«Non c’è dubbio. Isolata dall’ambiente politico. Proprio perché sono considerata troppo intransigente. Non avrebbero gradito nemmeno la mia ricandidatura. Ma tant’è».
Quelli che ne parlano dal calduccio del loro ufficio, lontano dai fatti. "Lo stato torna padrone del territorio .. occorre ristabilire la legalità".
Quelli che vengono da fuori, e che sono inviati sul territorio.
Infine quelli che, dei problemi di quel territorio, dove il confine tra stato e antistato è labile (come han raccontato le inchieste Why not, Poseidone, gli omicidi Fortugno), se ne sono sempre occupati.
Dei magistrati della DDA, in prima linea contro la criminalità organizzata.
Dei poliziotti, lasciati senza benzina e macchina a constrastare la mafia più organizzata e forte.
Dei politici, come la calabrese Angela Napoli: che non ha paura di fare i nomi dei colleghi che hanno rapporti poco chiari.
Chi c'è dietro la rivolta a Rosarno? Chi ha soffiato sul fuoco (facendo girare le voci dei morti africani e della donna costretta ad abortire)?
Che legame c'è con la bomba contro la procura di inizio gennaio?
Ha notato la coincidenza rispetto alla bomba scoppiata meno di una settimana fa a Reggio?
«I disordini sono cominciati in contemporanea con la seduta del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza a Reggio. Se è una coincidenza, non può passare inosservata. Non può non far pensare a interventi di depistaggio da parte della ’ndrangheta».
È andata a Rosarno?
«No, ma ho seguito costantemente cosa accadeva. E valutando gli atti intimidatori dai quali era partita la protesta, ho capito che doveva esserci senz’altro l’intervento della mafia. È chiaro è stata una provocazione: una provocazione consapevole della reazione ci sarebbe stata.
Un diversivo, lei dice.
«Un possibile depistaggio rispetto all’attenzione su Reggio dopo l’esplosione dell’ordigno alla Procura generale: per portare altrove le indagini e il controllo».
Qualcuno dice che quella potrebbe essere la risposta alla svolta positiva che c’è stata negli ultimi ptempi negli uffici giudiziari.
«Nell’ultimo anno c’è effettivamente stata un’attività encomiabile da parte della Procura, ma soprattutto da parte dell’organico della Dda reggina. C’è una grande attività di contrasto alla malavita, una maggiore attenzione dal punto di vista processuale e investigativo».
Ad Annozero lei ha lanciato l’allarme sul rischio che il consiglio regionale che si va ad eleggere sia infiltrato.
«Occorre premettere che l’attuale, quello che sta per scadere, è il consiglio regionale più inquisito d’Italia».
Quanti sono?
«Non so, ma c’è tutt’ora gente in galera. Io stessa, nella scorsa legislatura, avevo chiesto lo scioglimento del consiglio. E ora leggo che diversi consiglieri dell’attuale maggioranza tentano di migrare».
Per essere ricandidati nel Pdl e liste collegate?
«C’è per esempio Cherubino, che ha lasciato lo Sdi per i socialisti di Mancini. La Rupa, rinviato a giudizio per voto di scambio, in transito verso il Pdl. Morrone, già assessore con Loiero e rappresentante del vecchio sistema clientelare. Tripodi, tutt’ora indagato, ex Udeur ora Udc. Poi, tra i papabili per le liste, ci sono amministratori dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa».
Ma non sono condannati.
«E questo li rende candidabili. Eppure, se questi amministratori sono citati nelle relazioni d’accesso come responsabili di atti che hanno portato allo scioglimento, mi sembra che almeno questo giro dovrebbero restare fuori. Soprattutto in questo momento di sfida della ’ndrangheta verso lo Stato».
La mafia che vuole sedere in consiglio regionale, dice lei.
«Vuole continuare a farlo».
Conservazione dell’esistente?
«Con l’aggravante della nuova strategia: quella della ’ndrangheta vestita di nuovo, fatta anche da gente laureata e quindi in grado entrare direttamente in politica. Persone che cercano di andare laddove si può vincere. E che contribuiscono di fatto a determinare la vittoria».
Qualcuno che faccia qualcosa?
«Non c’è, secondo me, coscienza da parte dei partiti politici: mirano al risultato, non alla qualità del consenso. Devo dire però che una voglia di pulizia comincia ad esserci, ma serve in citamento da parte della società civile. Tanta gente mi dice “grazie per aver avuto il coraggio di dire quello che tutti sappiamo”».
Già, ma nessuno parla.
«Perché non si sentono protetti. Il sindaco di San Lorenzo del Vallo oggi ha ricevuto una lettera minatoria perché aveva chiesto pulizia nelle liste. Trovare le forze non è facile».
Mandano bossoli anche a lei?
«No, con me usano tecniche diverse. L’isolamento. Minacce larvate che sono comprensibili solo per chi conosce determinati usi. Come le querele. O le richieste di chiusura di Annozero dopo la mia intervista. Ce n’era una ieri sulla Stampa».
E lei si sente isolata?
«Non c’è dubbio. Isolata dall’ambiente politico. Proprio perché sono considerata troppo intransigente. Non avrebbero gradito nemmeno la mia ricandidatura. Ma tant’è».
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