L'intervista racconto del regista Marco Risi, autore di Fortapash su Il fatto quotidiano
L’immagine di Giancarlo Siani, riverso sulla Citroën Mehari il 23 settembre di 25 anni fa non l’ho più dimenticata. Non l’ho cancellata perché era impossibile eliminare dalla memoria quell’ossimoro di orrore e serenità sul suo volto, quel corpo inanimato che sembrava appoggiato su qualcosa che non c’era. Quell’addio simile a un monito. “Non vi arrendete, informare, vivere, credere in qualcosa non è inutile”. Rimaneva una domanda pendente: “Cosa può aver fatto di tanto irreparabile un ragazzo così giovane?”. Giancarlo Siani oggi non c’è più, qualcuno l’aveva dimenticato già allora. Il direttore del Mattino dell’epoca, addirittura, ignorava persino che avesse lavorato per lui e ai colleghi che gli ricordavano il sacrificio, rispondeva atono: “Siani chi?”. Ancora oggi, Giancarlo è l’unico cronista ucciso dalla Camorra anche se altri, come Lirio Abbate e Rosaria Capacchione, solo per fare due nomi tra tanti, conducono sotto scorta esistenze che senza la protezione dello Stato avrebbero il medesimo finale di Giancarlo, triste e solitario.
Sulla sua coraggiosa parabola ho girato un film. Oggi sarebbe troppo semplice sostenere che Fortapàsc sia l’opera che mi ha segnato di più. Facile e ipocrita. Però non è falso affermare che da molti anni cercavo una figura paradigmatica che interpretasse esemplarmente le esigenze di un territorio abbandonato.
Una persona vera e non un personaggio. Un uomo vivo, perché quando Dario Argento diffida della dicitura “tratto da una storia vera”, io sono d’accordo con lui. Sarebbe meglio “tratto da un’invenzione fantastica”.
Migliore e più serio. Giancarlo Siani e oggi i napoletani onesti e disperati, sul punto non dubitano, è l’unico eroe di Napoli dai tempi di Masaniello. Una reazione civile alla merdosa palude nella quale hanno deciso di confinare la Campania, uno slancio di dignità di fronte all’oblìo. Roberto Saviano, quando invita a ripartire dalla sua inconsapevole purezza, non si inganna.
Il suo impegno quasi rivoluzionario ha tatuato il timbro di Giancarlo, la sofferenza dei suoi familiari, l’impegno per non confondere le tracce sulla sabbia. Le impronte di Giancarlo.
Durante le riprese di Fortapàsc avvertivo un’enorme responsabilità. La responsabilità di non tradire la memoria di chi Siani, lo aveva conosciuto da vicino. Si respirava una partecipazione diversa dal solito sul set. Non la routine stanca di certe occasioni. Fonici, macchinisti, attrezzisti. Tutti colpiti. Chi non lo conosceva e chi lo conosceva fin troppo bene. Una sera mentre giriamo in notturna al Vomero passa un signore. Si ferma, guarda la macchina di Siani, chiede informazioni. Gli spiegano di che si tratti e lui, di getto, quasi piangendo: “Dite a Risi di impegnarsi, perché il cuore di Giancarlo era grande assai”. L’episodio non è inventato, ma è sintomatico. Ci abbiamo provato. Giancarlo non ha vissuto inutilmente.
Nessun commento:
Posta un commento