Quanto è dura essere donne, nel mondo di lavoro italiano: a sentire le storie che Iacona e si suoi collaboratori hanno raccolto, sembra che avere un figlio (o persino pensare di averne uno), costituisca una colpa.
Stefania Boleso era una manager della Bull, ha contribuito al lancio della bibita in Italia, con le sue capacità, il suo impegno: al ritorno dalla maternità, l'azienda le ha proposto una buonuscita per andarsene perchè, per motivi di budget, il suo posto era stato tagliato. In realtà, l'azienda, dopo la maternità, la considerava non più disponibile a fare straordinari e altri sacrifici: allora ha preferito rinunciare alle sue competenze, dopo 10 anni di carriera, relegandola in un ufficietto al primo piano. Da sola.
Dove ha resistito per pochi mesi: ha accettato l'accordo dell'azienda per andarsene. Ha scritto una lettera al corriere, il 23 febbraio 2010, ricevendo molte risposte da altre donne in situazioni analoghe: “essere donna significa essere figli di un Dio minore”. Se per la Red Bull non c'è stata discriminazione (in questo caso), i dati dell'Istat, sull'occupazione femminile parlano chiaro: il 27% delle donne abbandona il lavoro dopo il primo figlio.
Lea Grippo, cacciatrice di test, la discriminazione la vede tutti i giorni: quando si compila un profilo per una posizione, si pensa giocoforza ad un uomo. Perchè si chiede disponibilità a viaggiare, a fare straordinari: la donna deve scegliere se fare carriera o meno, l'uomo questo problema non ce l'ha. Tutta qua la questione: questo comporta che ci sono tanti talenti femminili sprecati, donne che rinunciano al posto, per poter avere un figlio.
Ma fare i figlio è una colpa? Per Emanuela, barista licenziata dal capo dopo avergli detto della maternità, sembrerebbe di sì.
“Vergognati, non ci dovevi fare proprio questo” le ha detto il capo. Frase ripetuta anche dopo la nascita prematura del bambino: la legge prevede che per due anni possa stare accanto al bambino, mantenendo lo stipendio, pagato dall'Inps. Ma ancora, la risposta è stata “per noi sei un costo”.
Ha fatto causa al tribunale di Como, contro il datore, è l'ha vinta.
Ma quante altre non arrivano nemmeno alla causa?
Vicino Arzignano lavorava Chiara Ronzan, nell'amministrazione di un'impresa del settore conceria. Al secondo figlio ha chiesto il part time e la risposta è stata “o rinunci al part time o ti licenzi”.
È stata costretta a rimanere a casa: il suo padrone non ha voluto concederle nulla, per non creare un precedente con le altre lavoratrici.
Ma una donna “funziona” meno bene dopo un bambino? Secondo molti uomini, pare di sì. Eppure, a buon senso, se si lavora fino a 60 anni, la maternità è solo un breve periodo della propria vita lavorativa. Bisogna essere culturalmente limitati per rinunciare alle neo mamme nel lavoro.
Eppure, nel mondo “civilizzato” le cose non funzionano diversamente.
Oslo, Norvegia: il paradiso delle mamme, dei bambini e delle famiglie.
In Norvegia la politica ha spinto molto per le pari opportunità, stimolando le imprese (con delle sanzioni), incentivando le nascite, aiutando le mamme e i papà con congedi parentali obbligatori e asili pubblici per tutti. Succede in Norvegia, dove non c'è bisogno di “family day” per mostrare la cattiva ipocrisia familistica italiota.
In Norvegia ci sono 10 donne su 19 ministri. 29% di donne parlamentari. Un deputato della destra (all'opposizione) diceva a Iacona “noi vogliamo rappresentare tutta la gente e anche le donne”. E un deputato progressista “qui da noi vogliamo più donne nei partiti”.
Perchè, in Norvegia pensano che i problema debbano essere affrontati anche con gli occhi delle donne, la metà della popolazione: qui i partiti perderebbero le elezioni se si presentassero con soli uomini.
Esiste una bellissima legge, dell'ex ministro conservatore Gabrielson, che impone alle aziende quotate in borsa il 40% di donne nei Cda. Altrimenti, sei cacciato dalla borsa: il ragionamento è che i CDA devono rappresentare il 100% della popolazione, non solo la metà maschile.
Dal 2001 ad oggi, l'obiettivo è stato raggiunto.
Tramite il progetto “Futuro donna”, si incentivano i percorsi di carriera dei dirigenti donna, nelle aziende pubbliche e private. Perchè si è capito che sarebbero state più competitive se ci fossero state sia donne che uomini nei posti di comando.
Qui, nessun primo ministro si sarebbe sognato di dare della velina al presidente di Confindustria.
Significa che qui le donne pensano solo alla carriera e non fanno figli? No. I numeri dicono che con queste vere pari opportunità, è aumentata la natalità: il tasso è salito al 1,98%: ci si è arrivati grazie a delle leggi mirate.
I congedi parentali obbligatori anche per i papà, di 10 settimane.
Gli asili nido che coprono tutta la domanda. Si è usata la legge, per forzare i cambiamenti nella società e dopo 10 anni ci sono riusciti: confesso di aver ammirati i papà norvegesi che, per far lavorare le mogli, rimaneva a casa ad accudire ai neonati, portandoli a spasso, cambiando i pannolini, preparando le pappe.
Non è vero, come si dice in Italia, che non importa quante ore stati con i figli, l'importante è la qualità del rapporto: i padri norvegesi instaurano un rapporti profondo con i propri figli, che rafforzerà la tenuta delle famiglie e li renderà uomini più consapevoli e maturi.
Altra testimonianza di come la società qui sia emancipata è la televisione di stato: niente donne spogliate. Qui la giornalista del principale telegiornale ti racconta che le donne occupano quei posti solo perchè competenti, non solo perchè belle bamboline.
La (triste) situazione italiana.
5 ministri donna su 23 (3 senza portafoglio).
21% di donne alla Camera, 18% al senato. 4 donne nelle Commissioni parlamentari. Non esistono donne segretario di partito, 2 sole donne sono presidenti di regione (nel Lazio e n Umbria).
I donna in corte Costituzionale (Maria Rita Saulle) e pochissime nelle posizioni di comando nella magistratura.
Nelle banche, stessa situazione, e lo stesso nelle industrie. 9,2% di donne ai comandi di un'azienda e 2,36% la quota rosa nei CDA.
Come mai? Forse perchè in Italia non esistono leggi che obbligano a avere una pari rappresentanza e perchè, negli uomini vale il principio (espresso da due imprenditori intervistati) “non si può fare niente [per aumentare la rappresentanza ], altrimenti è un disastro anche per le famiglie”.
Se questa è la mentalità vigente (molto ristretta), si basa su presupposti sbagliati. Basta vedere cosa succede in Norvegia.
Nei TG 1 sola conduttrice donna, Bianca Berlinguer. Nei quotidiani 3 donne direttrici: Flavia Perina, Conchita De Gregorio (una vota chiamata conchitina da La Russa) e Norma Rangeri.
Il paradosso si registra nelle scuole: insegnanti donne e presidi uomini. Nemmeno qui si riesce ad affermare un minimo di pari opportunità.
Cosa significa, in termini di competitività, di valore, rinunciare alla presenza delle donne?
Hanno risposto Daniela Del Boca e Paola Profeta: in Giappone uno studio di JP Morgan ha mostrato la correlazione tra stagnazione dell'economia e scarsa partecipazione delle donne.
Dunque, più donne significa maggiore convenienza per tutti.
Ma come fanno le donne a lavorare e a tenere i figli (visto che i maschietti italiani non fanno i papà)? Sarebbe più semplice se ci fossero sufficienti asilo.
Presadiretta andata in provincia di Como, dove la situazione è semplicemente scandalosa.
1 nido comunale ogni 4 comuni.
Per i 21400 bambini (dati del 2009), la copertura era meno dello 0% (in totale 1800 posti disponibili). Mentre la regione Lombardia dice di essere all'avanguardia, l'unica possibilità concreta per molte famiglie sono gli asili privati, o i nonni.
A Como città va un po' meglio (30% di copertura), ma con code anche di 6 mesi. E come fanno nel frattempo le neo mamme?
A sentire Alessandra Mangiavalori, dirigente del ministero del lavoro, non c'è bisogno di più asili nido, perchè ci sono molte soluzioni “fai da tè”: associazioni private, asili condominiali, asili privati. Va sponsorizzata la rete familiare: come dire, mandateli dai nonni.
E chi non può? I dati parlano chiaro: a Milano ci sono state 20000 donne licenziate l'anno scorso, dopo il primo bambino.
Le prime cause sono mancanza di parenti a supporto, assenza di posti negli asili, l'azienda non ha dato il part time.
Non sono quindi dimissioni volontarie e in Lombardia si perde perciò questa forza lavoro.
Eppure esiste un articolo di una legge, l'articolo 9 della legge 53 del 2000, che stanzia a fondo perduto dei soldi per aiutare le donne che vogliono andare in part time.
Dopo 10 anni, metà dei fondi non è stato speso e ci sono ancora realtà (direi medioevali) come la Golden Lady, dove il padrone non concede nulla alle mamme.
Eppure, laddove è applicata, da buoni risultati: vicino alla Golden lady, un'impresa di vestiti da sposa ha usato 400000 euro del fondo per dare part time, baby sitter a casa, orari flessibili, un centro ricreativo per i bambini.
Lucia Zanotti, una proprietaria, racconta come si debbano rispettare le lavoratrici, per far funzionare l'impresa: per fare un buon prodotto servono lavoratori felici.
Al contrario di quanto sta succedendo in Cai/Alitalia.
Alle hostess è stato fatto firmare un documento di rinuncia all'esenzione dei turni notturni. In violazione alla legge 53.
Un brutto precedente per le lavoratrici italiane: molte delle hostess han dovuto rinunciare al lavoro e alle proprie ambizioni, per i figli.
Come capitato a Daniela Palombo.
O Silvia, che raccontava del suo caso a viso coperto, per timore di licenziamenti. Sembra di essere tornati ai padroni delle ferriere.
Dopo un anno di proteste, oggi Alitalia concede l'esenzione, ma non come diritto garantito, ma come concessione “padronale”.
E purtroppo non è un problema delle sole donne che lavorano in Alitalia: spiegava Alida Castelli che l'atteggiamento di Cai è stato come un sondaggio, per vedere se le donne fossero state disposte a rinunciare ai diritti per il lavoro e per rimarcare che qui, comandiamo noi.
In Cai comandano solo uomini: una situazione del genere non sarebbe mai successa in Norvegia, dove nel CDA ci deve essere il 40% di donne.
Dove invece esiste , per motivi diversi, un'alta rappresentanza femminile, è nella televisione: nelle trasmissioni, nella pubblicità, è tutto un mostrarsi di corpi di donne sorridenti e felici.
Persino le bambine, negli spot, si comportano come neo mamme o neo veline.
Queste cose, ovviamente, succedono solo da noi.
Al termine della trasmissione pensavo a tutti gli scandali grossi e piccoli, di cui si legge su (alcuni) giornali: la P3, la cricca, le grandi opere e la Protezione civile, gli scandali della sanità in Abruzzo, in Puglia e in altre regioni.
Protagonisti sono, sempre o quasi, solo maschi.
Pensate ai casi di corruzione nella politica (sempre o quasi maschi), i grandi evasori …
Forse se stiamo nella situazione in cui siamo, è anche colpa di una società leggermente maschilista e anche retrograda che considera le donne solo come mogli felici (ma a casa ad crescere i bambini) o come escort per il “riposo del guerriero”.
Chissà se, dopo questa trasmissione, le donne potranno alzare la testa.
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