Gli storici del futuro, se vorranno capire qualcosa di questi 17 anni di regime berlusconiano, non potranno prescindere dalle intercettazioni che immortalano pensieri, parole, opere e mignotte del gaglioffo tristemente noto come “il presidente del Consiglio”. Un posto d’onore lo meriteranno quelle contenute nel mandato di cattura per estorsione al premier contro Gianpi Tarantini, il pappone presidenziale, la gentil consorte e l’ultimo statista reclutato da Palazzo Chigi: Valter Lavitola. Bilancio di una vita.
A 36 anni, nel mezzo del cammin della sua vita, Gianpi ne stila un bilancio lusinghiero e soprattutto trasversale: “Io a 20 anni stavo in barca con D’Alema e gli altri a 90 anni ancora dovevano fare quello che io avevo fatto in due anni, da 18 a 20. A 30 stavo a dormire a casa di Berlusconi, io”.
Una vita, una Bicamerale. Amor patrio. Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, memore dei moniti del capo dello Stato, il premier tiene a esternare tutto il suo patriottismo e le sue virtù civiche: “A me l’unica cosa che possono dire è che scopo. Tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei da un’altra parte... via da questo Paese di merda, sono nauseato”. Una presa di coscienza un po’ tardiva, ma encomiabile: in 17 anni di cura berlusconiana, la famosa “rivoluzione liberale”, l’Italia che già non era granché è diventata una merda. E lui, modestamente, lo nacque. La Volpe di Arcore.
Mesi fa, stufo delle intercettazioni, B. annunciò di avere “smesso di chiamare la gente al telefono” (gli avvocati non avevano osato spiegargli che lui non è mai stato intercettato quando chiama, ma quando riceve chiamate: gli intercettati sono i delinquenti che lo chiamano e, curiosamente, posseggono il suo numero). Poi arriva Lavitola e gli risolve, dietro lauto compenso, il problema. O almeno così dice, regalandogli sim card e cellulari “sicuri” per parlare con lui. Una volta B. chiama Lavitola con una scheda Wind intestata a un certo Ceron Caceres, ignoto cittadino peruviano (che sarà presto sottosegretario). Naturalmente la telefonata viene intercettata all’istante e spiega, fra l’altro, il QI del nostro premier.
[...]
Lavitola ha scoperto il pin del Silviomat: “Teniamolo sulla corda... pressiamolo su quelle cose là”. Cose per non dire mignotte a domicilio, perché “l’ha capito tutto il mondo che sono puttane”. Basta dire al processo di Bari che l’aveva capito anche B., e sono guai pure per lui: “Ci sono telefonate – rivela Gianpi – tra me e le ragazze che dicono che hanno ricevuto soldi da lui”. Pover’ometto, che brutta fine. E che scadimento: da imputato a vittima di reati altrui. E che figura: l’utilizzatore finale s’è ridotto a utilizzato finale.
Da il fatto quotidiano del 2 settembre.
A 36 anni, nel mezzo del cammin della sua vita, Gianpi ne stila un bilancio lusinghiero e soprattutto trasversale: “Io a 20 anni stavo in barca con D’Alema e gli altri a 90 anni ancora dovevano fare quello che io avevo fatto in due anni, da 18 a 20. A 30 stavo a dormire a casa di Berlusconi, io”.
Una vita, una Bicamerale. Amor patrio. Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, memore dei moniti del capo dello Stato, il premier tiene a esternare tutto il suo patriottismo e le sue virtù civiche: “A me l’unica cosa che possono dire è che scopo. Tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei da un’altra parte... via da questo Paese di merda, sono nauseato”. Una presa di coscienza un po’ tardiva, ma encomiabile: in 17 anni di cura berlusconiana, la famosa “rivoluzione liberale”, l’Italia che già non era granché è diventata una merda. E lui, modestamente, lo nacque. La Volpe di Arcore.
Mesi fa, stufo delle intercettazioni, B. annunciò di avere “smesso di chiamare la gente al telefono” (gli avvocati non avevano osato spiegargli che lui non è mai stato intercettato quando chiama, ma quando riceve chiamate: gli intercettati sono i delinquenti che lo chiamano e, curiosamente, posseggono il suo numero). Poi arriva Lavitola e gli risolve, dietro lauto compenso, il problema. O almeno così dice, regalandogli sim card e cellulari “sicuri” per parlare con lui. Una volta B. chiama Lavitola con una scheda Wind intestata a un certo Ceron Caceres, ignoto cittadino peruviano (che sarà presto sottosegretario). Naturalmente la telefonata viene intercettata all’istante e spiega, fra l’altro, il QI del nostro premier.
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Lavitola ha scoperto il pin del Silviomat: “Teniamolo sulla corda... pressiamolo su quelle cose là”. Cose per non dire mignotte a domicilio, perché “l’ha capito tutto il mondo che sono puttane”. Basta dire al processo di Bari che l’aveva capito anche B., e sono guai pure per lui: “Ci sono telefonate – rivela Gianpi – tra me e le ragazze che dicono che hanno ricevuto soldi da lui”. Pover’ometto, che brutta fine. E che scadimento: da imputato a vittima di reati altrui. E che figura: l’utilizzatore finale s’è ridotto a utilizzato finale.
Da il fatto quotidiano del 2 settembre.
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