La cosa che mi ha colpito
di più di questo libro è la violenza. La violenza nei sotterranei e
nei cunicoli della città dell'est dove è cresciuta Aza, ma anche la
violenza dell'ipocrisia e della menzogna, in cui vive la comunità di
don Silvano, una onlus che ha sede in una ex fabbrica di una ex città
industriale del nord.
Una comunità che si
chiama In punta di piedi, che ha fatto della legalità, del recupero
dei ragazzi disadattati, presi dalla strada, della lotta alle mafie
una sorta di religione.
Sono Mauro ed Andrea, un
fotografo e un volontario, che accompagnano la giovane Aza da don
Silvano:
“Don Silvano entra per primo, toglie il giubbotto, visto da vicino è una giacchetta a vento leggera. Ha un maglione blu, girocollo. Occhi profondi, astuti, mani grandi, mani che attraversano l'aria in traiettorie sicure”.
Qui Aza vive una sua
rinascita, dai cunicoli e dagli scheletri d'acciaio dei tempi del
lavoro ora abitati dai saltatori di muri, entra dentro il mondo della
comunità, conosce le segretarie del prete santo, la bislanga e la
squadrata.
E l'amministratore che è
un ex tesoriere di un partito di sinistra.
Livio Delfino, monsignore,
cresciuto negli scout, pieno di ambizione a capo di un gruppo di
volontari giovani con cui porta avanti le sue iniziative mediatiche
antimafia.
C'è anche un pingue
magistrato ed un ex terrorista, a completare il quadro.
Ma è tutta una questione
di facciata. Dietro cui si nascondono lavoro nero, sfruttamento,
molestie sessuali, bilanci falsificati, contributi pubblici presi per
fini personalistici.
Dove coloro che chiedono il rispetto di diritti elementari, vengono mobbizzati e allontanati usando accuse di fare “sindacalismo”.
Dove coloro che chiedono il rispetto di diritti elementari, vengono mobbizzati e allontanati usando accuse di fare “sindacalismo”.
Chi lavora gratis non è
sfruttato, ma fa “welfare positivo”.
«Ci sono un codice palese e un codice occulto. Quello palese si recita ogni giorno, come un rosario. Ma sei tanto più in alto nella piramide, quanto più pratichi il codice occulto. Al primo si attengono gli illusi. Il secondo rende peccatori. Dunque perdonabili. E attraverso il perdono il capo ti possiede. E solo a quel punto che fai davvero carriera. Altrimenti sei una meteora. Se sei rimosso e mandato al confino hai una possibilità: quella di tornare strisciando a chiedere un poco della luce che hai perso. E allora, se sei ammesso, sei ammesso in posizione subordinata, ma poi cresci, perché lui sa che gli appartieni».«Tu sei stato perdonato?»«E' per questo che sono qui».Pagina 158
Per Aza tutto questo
diventa una sorta di “scuola di empietà”,
che la porterà a scontrarsi col prete, che scopre essere un
manipolatore di uomini, prima di essere allontanata.
Il libro di Luca Rastello
ha suscitato molte polemiche per come ha demolito la facciata di
questa comunità: è facile il riferimento al gruppo Abele. Gian
Carlo Caselli sul Fatto Quotidiano ha usato parole dure:
“QUASI MEZZO secolo di vita del “Gruppo Abele” e quasi vent’anni di “Libera” di fatto spariscono sotto le macerie di un assortimento di orride nefandezze che sarebbero la regola, fino a creare “un dio che chiamano legalità”, il “loro vitello d’oro” che “dona carriere e onori”, mentre “molti crimini sono migliori di questa legalità” e “molti criminali sono migliori dei suoi sacerdoti”. Sarà pure un romanzo, ma francamente sconcertano abbordaggi così prevenuti di percorsi che certamente possono aver avuto momenti difficili, ma che in una valutazione complessiva non possono essere liquidati con arrogante presunzione.”
Ma penso che l'autore sia
una persona troppo intelligente per essersi fermata ad una così
semplice analogia: bisogna alzare lo sguardo per chiedersi cosa si
nasconda veramente dietro le comunità, le associazioni che fanno
beneficenza.
Anche a Torino: la
ex città operaia, la città delle vittime della Thyssen (che vengono
ricordati nel libro, dalle parole del prete accompagnate anche da
parole di scherno), la città delle olimpiadi e dei palazzi tirati su
dai costruttori. Ma anche la città dei disperati, che trovano
alloggio proprio negli scheletri di questo passato industriale.
Il libro trova la sua
forza proprio nella denuncia del male che sa nascondersi anche
dietro le parole dei “buoni”, nella retorica dell'impegno,
del lavoro volontario per mettersi a disposizione, che troppe volte
abbiamo sentito alla televisione da politici. A loro abbiamo delegato
la carità, la cura dei più deboli, dei diseredati, la lotta contro
la mafia. Abbiamo bisogno dei buoni, per mettere a posto la nostra
coscienza. È questo il vero messaggio del libro.
Ma anche per questi buoni
arriverà la fine, per mano di Adrian, l'uomo dall'inferno:
Ma Adrian non è pronto ad andarsene: vuole sapere perché l'uomo santo di cui Azalea scriveva, e a cui si era affidata, l'ha inghiottita, e di lei non ritorna neppure il lampo di un colore. Vuole sapere ma non ha le parole per chiedere. Satana si presenta come un uomo di pace, ma perché tutti lo accolgono, perché lo amano?«Perché abbiamo bisogno di lui, Adrian. Tutti. Abbiamo bisogno di convivere con il male, fingendo di combatterlo, abbiamo bisogno di accettare un mondo inaccettabile che ci stritola, e abbiamo bisogno di abitarlo in anestesia».«Cosa anestesia?»«La medicina che ti fa dormire mentre il chirurgo ti taglia. Abbiamo bisogno di rimandare la lotta, Adrian, ma abbiamo bisogno anche di fingere di combattere, e di amare la lotta. Abbiamo bisogno di concedere a noi stessi ancora un brandello di questa vita che in fondo non ci impegna, di tenere un francobollo di orizzonte al fondo delle nostre giornate senza cuore. Ed è don Silvano che ce lo permette: lui garantisce che farà il lavoro al posto nostro. Tutti lo amano, i potenti, i belli, i celebri, e la suora che trema sotto il suo sguardo. Tutti sono orgogliosi di essere suoi amici. Perché lui cavalca con le insegne del bene [..] Combatte lui la battaglia che noi non abbiamo tempo di combatte: non vincerai mai con lui, e neppure gli toglierai la maschera. Ci sarà una suo ad impedirtelo, un politico, un cantante famoso e un ragazzo pieno di ideali. [..] Lascialo stare, don Silvano. Lui si nutre del disperato bisogno di conciliazione che nasce dalle nostre vite in cattività. Lui è la forma del mondo com'è.»
Recensioni
del libro le trovate su Il
manifesto, Repubblica,
MinimaetMoralia,
La
scheda del libro sul sito di Chiarelettere
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