I sindacati hanno dovuto indire uno sciopero, oggi 1 maggio, per
poter dare la possibilità di una giornata di riposto a quanti anche
oggi erano chiamati a lavorare. Non i lavoratori dei servizi
essenziali, ma anche commesse, dipendenti nei centri commerciali.
Questo la dice lunga su quanto oggi il lavoro ha perso valore, in
una repubblica una volta fondata sul lavoro.
Una repubblica dove si è fatta strada l'idea che l'occupazione si
crea con la deregolazione, con la precarietà e, diciamolo pure, con
lo sfruttamento dei più deboli.
L'idea di Monti, il tecnico, il professore, delle domeniche
lavorative ha mostrato i suoi scarsi risultati.
Come il 25 aprile, anche oggi rischiamo di vivere una giornata di
festività senza contenuti. Avendo svuotato il lavoro del suo
significato (uno strumento per potersi realizzare, per poter
dimostrare le proprie capacità, una fonte di guadagno per una vita
dignitosa), in molti si chiederanno che senso ha festeggiarlo.
Penso a quanti sono in cerca di un'occupazione o magari passano da
un contratto a termine ad un altro contratto a termine, per cui va
bene lavorare anche il primo maggio.
Va bene anche lavorare senza orari, senza domeniche, senza troppe
tutele, senza sindacati di mezzo.
Che poi è proprio la direzione in cui si sono mossi tutti i
governi attuali, pure quello di Renzi.
Che sono quei sindacati che oggi si ritrovano a Malpensa, riuniti
tutti assieme nel luogo che doveva essere la porta d'ingresso per chi
arriva nella Lombardia e nel nord industriale. E che invece è
diventata solo un'industria di stipendi d'oro per manager padani.
Chissà se almeno loro, i segretari confederali, si ricordano
ancora del valore e del significato e del lavoro. Che non è una
maledizione per gli sfruttati. Ma un modo per sentirsi umani.
Che il modello Pomigliano, il modello bad company Alitalia, il modello Electrolux, il modello Ilva, il modello Thyssen possono andare bene solo per gli interessi personali di imprenditori, ma non fanno il bene del paese.
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