Una bomba d'acqua, dove però la mano dell'uomo ha fatto del suo, visto che si è costruito anche laddove non si doveva.
E cosa c'è scritto nel decreto che sblocca i cantieri?
Legambiente e i verdi di Bonelli hanno criticato le parti del decreto che permettono la cementificazione del suolo pubblico:
Legambiente attacca il governo parlando di “confusione rispetto alla direzione da prendere per portare il Paese fuori dalla crisi” che emerge da “scelte che spingono l’asfalto (alle autostrade vanno infatti risorse pubbliche dirette e attraverso sgravi fiscali, con il sostegno a interventi devastanti per il territorio), il petrolio (con vantaggi per le trivellazioni) e nuovo cemento da semplificazioni per interventi edilizi e in aree demaniali”. E’ su quest’ultimo aspetto che si concentra Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi, che lancia l’allarme sulle conseguenze dell’articolo 45 del decreto. Una norma “riservata ai fondi immobiliari di investimento”, per i quali, anche in concorso con la Cassa e Depositi e Prestiti, è prevista “la concessione o il diritto di superficie per beni pubblici, anche demaniali non utilizzati, per la realizzazione e lo sviluppo di progetti urbanistici-edilizi“. Tradotto: i fondi comuni che investono nel mattone potranno ottenere in concessione, spiega Bonelli, “aree pubbliche costiere per realizzare interventi edilizi in deroga anche ai piani regolatori”. In più, secondo Bonelli, Lupi “ha introdotto una norma che favorirà la proprietà fondiaria e i grandi costruttori a scapito dell’interesse pubblico” Si tratta dello sportello unico edilizio, che “toglie la pianificazione urbanistica al comune”: “Se, entro 30 giorni, chi presenta una domanda per edificare non riceve una risposta dalle amministrazioni interessate, il funzionario dello sportello unico assume la funzione di commissario ad acta per il rilascio delle concessioni. Una follia perché la finalità della norma è quella di esaurire, ovvero cementificare, tutte le previsioni edificatorie dei Piani regolatori dei comuni italiani: l’esatto opposto del ‘consumo suolo zero’”.E' questa la svolta buona?
I profitti dei fondi immobiliari valgono le devastazioni e i morti?
1 commento:
Buone Vacanze nella Repubblica fondata sul cemento ( e sulla corruzione)
L'ennesimo esempio di come una classe dirigente (nazionale e locale) famelica e corrotta, possa, nel corso degli anni, devastare un altro settore cruciale per l'economia italiana: il turismo. Con graduale perdita di posizioni (e di conseguenti posti di lavoro) dell'Italia nella graduatoria delle mete turistiche internazionali, superata ormai da tutti i principali paesi del Mediterraneo.
(estratto da un articolo di Mario Tozzi, geologo e divulgatore del CNR - La Stampa 11.08.2014)
I recenti dati sullo stato delle coste italiane sono terribili.
Probabilmente nessun Paese, con uno sviluppo costiero così cospicuo (quasi 8000 km), ha maltrattato e distrutto il fulcro del suo patrimonio turistico.
E lo ha fatto con una perseveranza che non trova riscontro neppure in Grecia o in Spagna, e che non si ferma nemmeno davanti ai ripetuti allarmi per l’eccessivo consumo di suolo lanciati negli ultimi anni.
In Italia l’occupazione delle coste è al 60% contro una media mediterranea del 40%, ma raggiunge vette dell’85% nel Lazio;
in Liguria solo 19 km di coste su 135 sono liberi dal cemento, in Emilia Romagna 24 su 104.
Il tutto aggravato da una feroce erosione delle coste che le ha ridotte del 40% negli ultimi decenni; erosione che trova la sua ragione nella moltitudine di dighe e cave lungo il corso dei fiumi che così non possono ripascere le spiagge.
Con le spiagge ce la siamo presa particolarmente: su circa 3500 km, quasi 1000 sono occupati dagli stabilimenti ufficiali, poi bisogna aggiungere campeggi, villaggi turistici, infrastrutture varie e le opere residenziali (molte abusive), arrivando a circa una buona metà del demanio marittimo occupato per usi privati.
Solo il 29% delle coste italiane (circa 2200 ettari) è libero da insediamenti e integro.
Quasi il 60% è invece stato già fatto oggetto di occupazione intensiva che ha comunque sempre comportato almeno la cancellazione della duna e della macchia. Come se non bastasse, il restante 11% è in via di occupazione.
Una volta la grande bellezza italica era anche il mare, ma negli ultimi 25 anni le nostre coste si sono sostanzialmente trasformate in aree urbane.
Se aggiungiamo che siamo il paese più caro del Mediterraneo, per quale ragione i turisti stranieri dovrebbero venire, e soprattutto tornare, al mare da noi?
E’ vero, il patrimonio artistico, storico e monumentale dell’ex Belpaese è ancora attraente, ma è sommerso dalla grande bruttezza di periferie inguardabili o assediato da costruzioni moderne nemmeno completate. Il valore di contesto, quello che rendeva unico un paese in cui, passeggiando in riva al mare, trovavi il teatro greco o il porto romano, le tagliate etrusche e i villaggi padani, è sfregiato orribilmente. Soprattutto è l’ambiente a essere stato impoverito e distrutto, così la qualità dei soggiorni, soprattutto dei turisti nord-europei è scaduta e ci lasciano a favore delle mete tradizionali (Grecia, Croazia e Spagna) o di quelle nuove.
Perché dovrebbero cercare una natura che non esiste più in Calabria o in Sicilia quando è ancora in gran parte intatta, costa molto meno e viene offerta con una ospitalità che noi abbiamo dimenticato?
(...)
E la costa perduta è perduta per sempre.
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