04 settembre 2014

Ma non chiamiamola austerity

Quando sento parlare di politiche di austerity, da portare avanti a qualunque costo, provo una sensazione di straniamento.
Ma di cosa stanno parlando questi qua?
E con questi qua intendo gli organismi sovranazionali come BCE, Ocse, Unione europea o anche i nostri economisti (specie quelli incapaci di fare previsioni), i giornalisti, i politici del rigore ..

Ma, per piacere, non chiamiamola austerity quello che si sta facendo, visto che a pagare il prezzo della crisi non sono tutti alla stessa maniera.
Tutte le politiche economiche messe in atto, i tagli al welfare, ai diritti sul lavoro, al pubblico sono semmai una forma di lotta di classe.

Un continuo chiacchierare su articolo 18, flessibilità, meno stato più privato, dismissioni, privatizzazioni ..
Come si fa a parlare di austerity e di spending review quando la cronaca giudiziaria racconta ogni giorno di scandali sulle grandi opere? Da Expo, al Mose, alle inchieste sulla sanità regionale.
Come si fa a parlare di tagli lineari i ministeri, quando nella sanità ogni regione spende quello che gli pare, senza un prezzario unico per medicinali?

Ma almeno adesso questa ipocrisia è saltata: siamo passati dalla spending r. ai tagli lineari di Tremonti.
Un po' come si è fatto per gli 80 euro necessari per Renzi (presi per esempio dalla Rai senza curarsi come poi l'azienda avrebbe tagliato sul servizio pubblico), anche ora per trovare i 20 miliardi (per la legge di stabilità) ogni ministero dovrà contribuire. In modo lineare.

Tutto ciò è incongruente.
Abbiamo appena sbloccato i cantieri (ma chi è che li bloccava?), senza chiederci se siano tutti necessari, in un paese dove ci sono regioni con treni a binario unico. Non riusciamo a spendere i fondi europei al sud e ora cerchiamo altri soldi con altri tagli.
Abbiamo appena rimesso gli 80 euro nelle tasche di parte degli italiani e ora blocchiamo gli aumenti di stipendio nel pubblico impiego, perché i soldi servono per assumere gli insegnanti nella grande riforma della scuola. I prof si pagano il costo della riforma da soli.
Privatizziamo, ma non Eni e Enel, per trovare risorse, ma lasciamo le municipalizzate in mano a comuni e regioni, anche quelle in perdita.

Niente revisione della spesa.
Niente tagli alla spesa improduttiva. Le auto blu? Chi se le ricorda?
E l'accordo sulla Svizzera per il rientro dei capitali?
E le norme sull'autoriciclaggio e sull'evasione? Quando?
Si taglia il budget della Rai senza tener conto della qualità del servizio, senza rivedere i super stipendi dei conduttori di talk (in perdita di share). Perché?

Forse Renzi deve aver pensato che, prima della fine di questi 1000 giorni, c'è tanto tempo per fare queste piccole riforme, quelle che servirebbe davvero ...

Stefano Feltri sul Fatto quotidiano:

Tagliare il 3 per cento in modo orizzontale permette di recuperare giusto 20 miliardi ma, avverte Fassina, “vuol dire tagliare di circa 10 miliardi la spesa per pensioni, di quasi 5 miliardi la spesa per il personale, di oltre 3 miliardi la spesa sanitaria”. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sempre abile a presidiare il suo ministero, una settimana fa aveva lasciato intuire cosa stava arrivando: “Addio sanità per tutti se ci saranno altri tagli”, era il titolo di una sua intervista al Messaggero che era sembrata un po’ fuori contesto.

In teoria il lavoro del commissario per la revisione della spesa Carlo Cottarelli doveva servire proprio a evitare tagli lineari, eliminando le voci di spesa meno prioritarie invece di una riduzione indiscriminata di risorse che colpisce allo stesso modo ministeri virtuosi e spreconi e che, soprattutto, indica la rinuncia della politica a stabilire come si spendono i denari pubblici. Saranno le singole strutture ministeriali a prendere le decisioni. A Renzi Cottarelli non è mai piaciuto: un po’ perché è stato scelto da Enrico Letta, un po’ perché sosteneva che doveva essere il governo e non un commissario a decidere interventi da miliardi di euro. Risultato: le proposte di Cottarelli vengono snobbate (inclusa la richiesta di chiudere molte aziende partecipate dal pubblico in perdita fissa, le norme c’erano nel decreto Sblocca Italia, ma sono sparite). Ma Renzi non ha idee migliori e quindi ricorre ai tagli lineari. Ma sarebbe sbagliato stupirsi: in fondo anche il bonus fiscale degli 80 euro per il 2014 era stato finanziato in parte con tagli lineari (700 milioni di euro in meno sia allo Stato che agli enti locali, riducendo in modo orizzontale la spesa per beni e servizi). Idem per la Rai: nessuna riforma per legge, semplicemente una sforbiciata al canone da 150 milioni di euro, poi tocca al direttore generale Luigi Gubitosi decidere se ridurre i costi in modo drastico o lasciar fallire l’azienda.

Il programma economico di Renzi nell’intervista al Sole ha numeri mirabolanti: copertura duratura del bonus degli 80 euro (10 miliardi), misteriose privatizzazioni (almeno 7 miliardi, ma il premier non vuole cedere quote di Eni ed Enel, quindi che farà? mistero), nessun accenno ai 12 che mancano per rispettare gli obiettivi europei e ai 3,5 di aumenti di tasse che stanno per scattare per clausole di salvaguardia presenti nelle leggi di stabilità del passato. Anche sul lavoro il premier ondeggia. Introdurrete sì o no il contratto unico a tempo indeterminato flessbile ma con tutele crescenti?, chiede il direttore del Sole Napoletano. Risposta vaga: “Introdurremo in Italia il modello di lavoro tedesco, non quello spagnolo”. E in Germania ci sono i mini job a tempo parziale pagati 400 euro al mese, non il contratto unico.

La conversione culturale di Renzi all’approccio che fu di Giulio Tremonti è completa. Presentandola come se fosse un’idea sua, Renzi propone: lega fiscale tuttora in Parlamento) mai attuata che doveva trovare 20 miliardi di risparmi. In assenza della riforma, scattava un taglio lineare di pari entità alle agevolazioni fiscali. Non è successo niente di tutto questo ma da tre anni quattro governi diversi si sono arrabattati per trovare quelle risorse che le forbici orizzontali facevano sembrare a portata di mano. I tagli lineari, nella storia recente, non funzionano mai.
PS: l'ultima mangiatoia su Expo, la spartizione degli appalti sulla ristorazione, denunciata dallo chef Piero Sassone.
“Abbiamo partecipato anche alla gara per l’Expo di Milano 2015: con un progetto che coinvolgeva dodici ristoranti stellati e sette chef internazionali. Ma siamo arrivati secondi. Battuti da Peck”, racconta Sassone. “A gara ancora aperta, il responsabile per l’Italia della San Pellegrino, Clement Vachon, ha telefonato alla nostra responsabile marketing per parlarle dell’eventuale fornitura dell’acqua minerale. Nel discorso, le ha detto che eravamo rimasti in due in gara. Come faceva a saperlo? Ma non basta: le sedute della commissione giudicatrice non sono state trasparenti e pubbliche, come invece prevedeva il bando, ed è stato reso noto un solo verbale, mentre le sedute sono state tre. E poi il file dell’offerta economica di Peck risulta modificato l’ultima volta il 3 aprile 2014 alle ore 17.37, quando il termine per la presentazione delle offerte era il 25 marzo e le buste sono state aperte dalla commissione alle 16.30 del 2 aprile”.

Mi raccomando, lasciamo che questi delinquenti  si mangino tutto quanto, i nostri soldi, la nostra credibilità, il nostro futuro.

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