Le prime righe:
“La sera precedente Ricciardi aveva avuto la sorpresa di ritrovarsi di fronte, all’uscita della questura, nientemeno che Bruno Modo, lo scanzonato dottore che alla cura dei tantissimi malati che confluivano ogni giorno all’ospedale dei Pellegrini, nel vicino quartiere della Pignasecca, affiancava la competenza del miglior medico legale della città.Se lo ritrovò appoggiato al muro che fumava, il cappello all’indietro, il colletto sbottonato dietro il nodo allentato della cravatta. Al suo fianco, come sempre a poco più di un metro, senza corda né guinzaglio, il cane pezzato che da circa un anno gli faceva compagnia.La sera era dolce e l’aria serena; settembre era avanzato, ma sembrava non aver la minima intenzione di mollare il ricordo della rovente estate che l’aveva preceduto…”
Doveva essere solo una raccolta
fotografica sulla Napoli in bianco e nero tra le due guerre: la
Napoli del dopoguerra (la prima), della nuova “borghesia
industriale arricchita dalla moderna economia”, la Napoli degli
anni ruggenti dei gerarchi fascisti col petto gonfio e il manganello
a portata di mano. La Napoli dei contrasti tra ricchezza e povertà,
dove attraversando una strada passi dai palazzi della vecchia
aristocrazia (decadente) ai quartieri dove i bambini girano scalzi e
nudi e “si fermano vicino ai pali della luce a fare la pipì,
proprio come i cani”.
La Napoli che abbiamo conosciuto nei
libri di Maurizio De Giovanni della serie dell'ispettore Ricciardi, il
commissario dagli occhi verdi e “spaventosi” come un lago
di montagna, sempre solitario, con rari sorrisi.
Maurizio De Giovanni e Luca Crovi alla presentazione del libro alla libreria Lirus a Milano |
Ma poi a Maurizio De Giovanni è
“scappata la mano”, come ha raccontato settimana scorsa
alla presentazione di un altro suo libro (“Cuccioli”, della serie
dei Bastardi di Pizzofalcone).
Lo scrittore, il racconta storie ha
avuto la meglio e non è riuscito a fermarsi a quelle striminzite
didascalie sotto le foto. Accanto alle foto, bellissime, frutto della
ricerca di Stefania Negro e Luca Sorbo, sono nati dei racconti, figli
o fratelli dei racconti “maggiori”, le quattro stagioni di
Ricciardi e poi i successivi.
La raccolta fotografica diventa dunque
una didascalia iconografica dei racconti e viceversa, i racconti
servono a spiegare meglio cosa si deve vedere oltre le foto. Non
fermarsi all'apparenza.
Una domenica il dottor Modo propone a
Ricciardi un pranzo al caffè Gambrinus: non solo per
scroccare al commissario un caffè e le migliori sfogliatelle di
Napoli. C'è anche voglia di guardare le bellezze della città, le
ragazze che passano, di confidarsi con l'amico.
Come hai scelto di diventare
poliziotto, commissario Ricciardi?
Scopriremo così, nel racconto “10
centesimi”, che nel 1919, l'allora solo barone Ricciardi di
Malamonte, era venuto a Napoli per studiare filosofia perché "dovevo
capire il significato del dolore", il senso la funzione ..
Già allora sapeva di essere vittima
del Fatto: “il dolore della morte vomitato dai cadaveri. Vederli,
ascotarli, subirli, senza poter scappare”.
Così, di fronte ad un muro, Ricciardi
si imbatte in una bambina
"Era una bambina. Poteva avere sette, otto anni al massimo, una semplice veste bianca che tradiva l'appartenenza agli strati meno abbienti della popolazione, e in mano un mazzolino di fiori di campo".
Perché e da chi era stata uccisa,
violentata a sangue da mani mostruose, quella bambina che vendeva
solo fiori per la strada, col premio di una zuppa di minestra la
sera?
“Ricordo che chiusi gli occhi per un attimo. dieci centesimi, pensai. Voleva vendere solo il suo mazzolino di fiori, per dieci centesimi.
A che serve, questo dolore?Poi li riaprii, e dissi: mi sapete dire dove ci si iscrive a giurisprudenza?”
Il secondo racconto è in realtà uno
sfogo del dottor Modo (“Partire
e lasciare”), per
tutte le amarezze di una vita in ospedale, a vedere morire le persone
più deboli (“quante cicatrici può reggere un solo cuore”) di
questa città: in questa
città dove non si può affezionare ai piccoli, “Pagano
sempre i deboli, e vengono a pagare da me.”
A Ricciardi racconta della lotta
tremenda per salvare la vita ad uno di questi, portato sulla soglia
dell'ospedale da una madre, giovane ma col viso segnato dalla
povertà e dalle fatiche delle donne che “vivono una vita intera
nella metà del tempo”.
Donne che devono
decidere se salvare quel figlio che hanno in braccio oppure pensare
agli altri cinque che hanno a casa e che l'ha aspettano, magari per
andare in Africa, dove hanno promesso a questi disgraziati
(dal Signore forse, dallo Stato di certo) una vita migliore.
“Potessi dare la mia vita per Peppino, la dentro, l'avrei già data; ma non posso”...
Abbiamo conosciuto
Rosa, la tata del signorino Ricciardi sin dai tempi in cui era
un bambino silenzioso a Fortino, il paese sui monti del Cilento. Lo
spirito della tata continua ad aggirarsi per la casa e a consigliare
la nipote Nelide, la “sgraziata” domestica che
parla per proverbi in dialetto stretto, affinché abbia lo “spirito
giusto”.
Consigliarla e
seguirla nelle sue compere per le bancarelle dei quartieri: la
bancarella del pesce, quella dove vendono il pane. E quella della
frutta, di Tanino 'o Sarracino, che cerca di conquistarla col suo
sorriso e con le sue battute. Inutilmente.
Chissà, se tanti
sforzi verranno premiati un giorno..
“Ma i' tanto ch'aggi' 'a vutá,
e tanto ch'aggi' 'a girá,
ca 'o ddoce 'e sott' 'a tazza,
fin'a 'mmocca mm'ha da arrivá”.
“Quando si dice il destino” è
invece un racconto interamente dedicato ad Enrica, la dirimpettaia
della finestra di Ricciardi: la dolce ragazza innamorata di
quell'uomo che la sbircia dalle imposte, che sogna una famiglia, dei
figli ..
Un giorno, a Mergellina, con in mano un
libro con cui rilassarsi nella lettura, si imbatte in un ragazzino,
uno di quelli con la pelle scura come il cuoio, senza scarpe, coi
calzoni tenuti su con uno spago.
Che sa leggere come gli altri
ragazzini, quelli che vanno a scuola e che ora si stanno godendo il
sole in colonia. La madre gli ha insegnato a leggere: la O si fa come
un cerchio, la P è come uno che caccia la lingua..
Così la madre gli racconta la sua
storia, la storia di un incontro, del destino, “quando si dice
il destino”.
“Raccontatemi, signora.
Raccontatemi dell’amore a prima vista” - chiede Enrica a
Rosaria, questo il nome della donna:
“Scese dalla barca per ultimo, io nemmeno li avevo visti gli altri. E nemmeno a lui avrei visto, se un bambino non avesse deciso proprio in quel momento di inseguire un cerchio per la ginnastica proprio vicino a quella barca che stavano tirando in secca. Me lo trovai davanti, faccia a faccia. Io con la divisa da maestra, il fiato corto per la rincorsa di quel monello di Marcati Alberto, terza B; lui in maniche di camicia, un basco in testa, la pelle coperta di sale. Puzzava di pesce, aveva la barba di due giorni e uno strappo sui calzoni. Non avevo mai visto niente di più bello in tutta la vita mia”.
Tocca a Maione
poi, passato per caso di fronte al Gambrinus e unitosi alla compagnia
perché ad una sfogliatella non resisto (e nemmeno al ragù, per la
verità, e alla parmigiana di melanzane, alla genovese, al polpettone
…).
E spiegare al
dottor Modo che anche quello del poliziotto è un'arte:
“Vorrei tanto capire in che cosa consiste quest'arte del poliziotto, si può sapere?Lo volete sapere? E mo' ve lo faccio vedere, subito subito. Lo vede quel tizio, là in fondo? Quello con la cravatta nera e la bambina in mano?”.
È la storia di un
ladro. Ma uno di quelli che, per il suo buon cuore, Maione non andrà
ad arrestare. Il ladro di “un mazzo di fiori” . Per
l'ultimo regalo di compleanno della moglie.
“Io l'avevo capito che quello era un furto, e quindi, come dicevamo prima, pure a fare il poliziotto ci vuole l'arte. Poi però uno deve fare l'uomo, no? E ci vuole arte pure in questo”.
“L'ultimo
giro di tango” sarà quello che Livia, la moglie del
tenore Arnaldo Vezzi (conosciuta ne “Il senso del dolore”)
concederà a Ricciardi , di cui si è innamorata. Il primo
uomo che, nella sua vita, non le è caduto ai suoi piedi, “l'uomo
che sedeva ancora, ingombrante e incoerente, in mezzo alla sua
anima”.
Livia lo intravede,
seduto al tavolino del Gambrinus assieme a Modo, mentre va a ballare
al circolo Canottieri di Napoli al Molosiglio.
“Esisti, dunque, pensò. Non sei
un'immagine emersa da un sogno bello e doloroso, che è diventato un
incubo”.
Infine
un caso di omicidio, maturato dentro le quattro mura domestiche, dove
si capisce subito chi sia il colpevole. Ma “a volte”
è meglio non entrare in quella
sfera del dolore.
“A volte è meglio, molto meglio non aprire le porte delle case. È meglio che si mettano tutti in posa, come davanti ad un fotografo. A volte è meglio credere nella funzione, e immaginare che sia tutto vero. A volte è meglio illudersi”.
Una storia, quella
di De Caro Assunta, vedova, che è quella in cui vedi una profonda
solitudine, “matrimoni che diventano una condanna all'ergastolo,
dalla quale prima o poi si tenta di evadere”.
A volte …
“A volte non c'è da indagare, e tutto si chiude con una cassa portata via e un reo confesso in galera. Sembra facile. Ma poi capita che si alza un tombino, e viene fuori l'odore della fogna che portiamo dentro e della quale ci dimentichiamo.Sembra facile ma non lo è mai”.
La scheda del libro
sul sito di Skira
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