Prologo
Distretto del Petén, Guatemala, 1º novembre 2012.
A Keller sembra di udire il pianto di un neonato. Il suono è quasi coperto dal rumore dei rotori dell’elicottero che si abbassa sul villaggio nella giungla. Il pianto, se si tratta di questo, è acuto e forte, un grido di fame, paura o dolore.O forse di solitudine. È l'ora più brutta della notte, il buio fitto prima dell'alba, quando arrivano i sogni peggiori, il sorgere del sole sembra lontano e le creature che popolano il mondo reale così come gli angoli bui dell'inconscio si aggirano con l'impunità del predatori, consapevoli che la loro preda è sola e indifesa.Il pianto dura solo pochi istanti. Forse la madre si è alzata, ha sollevato il bambino e lo ha cullato tra le braccia. Forse è stata solo l'immaginazione di Keller.
Ma gli è servito a ricordare che là sotto ci sono dei civili – perlopiù donne e bambini e qualche persona anziana – che presto si troveranno in mezzo al fuoco incrociato.
[..]Ci saranno dei morti. Come è giusto che sia, pensa Keller. Visto che è il Giorno dei Morti.
La guerra più
lunga.
“La guerra piú lunga, per l’America, è la guerra alla droga. Ormai sfiora i quarant’anni e non accenna a finire, pensa Keller. Io ero qui quando è stata dichiarata e qui sono ancora. E le droghe sono piú abbondanti, piú potenti e meno costose che mai”.
La guerra al narcotraffico è stato (ed
è tutt'ora) il conflitto più lungo che gli Stati Uniti abbiano mai
combattuto nel corso della loro storia: più lungo della seconda
guerra mondiale e più lungo della guerra in Vietnam. Più lungo
della guerra al terrore voluta da Bush contro Al Qaeda in Asia.
Eppure sono in pochi quelli che
conoscono questa guerra, che dura da più di trent'anni e che ha
assorbito miliardi di dollari americani, causato migliaia di vittime
civili (non solo tra i narcos e i loro eserciti personali), che ha
trasformato intere regioni dello stato federale del Messico in
deserti (colonizzati da persone fedeli ai signori della droga), dove
la gente è terrorizzata ogni giorno dalle pallottole, dalle torture
degli uomini dei narcos.
La corruzione in Messico è arrivata livelli così alti, da poter considerare i cartelli della droga una sorta di governi ombra nei territori da loro controllati.
La corruzione in Messico è arrivata livelli così alti, da poter considerare i cartelli della droga una sorta di governi ombra nei territori da loro controllati.
Don Winslow ci racconta di
questa guerra in questo romanzo “Il
cartello” che costituisce il naturale seguito da “Il
potere del cane”: per scriverlo l'autore ha dovuto documentarsi
sulle vicende messicane degli ultimi 10 anni, le guerre tra i
cartelli per contendersi le varie “plaza”, la
militarizzazione dello scontro sia da parte di questi gruppi
criminali, sia da parte dell'esercito messicano.
Il racconto riparte dagli stessi
protagonisti, reduci delle battaglie del precedente libro: Art
Keller, l'agente della DEA (l'unità antidroga del governo
federale), l'uomo della frontiera, il crociato. E Adàn Barrera,
il nipote superstite di “tio” Barrera, un
ex poliziotto che aveva usato Art Keller per far fuori gli altri
piantatori di coca: “Tío
aveva fatto di Keller il suo monigote, un burattino di cui si era
servito per togliere di mezzo i gomeros piú potenti di lui e aprirsi
la strada verso il controllo del traffico di oppio.”
Keller, per scampare alla vendetta, si
è ritirato in un convento a fare l'apicultore. Adàn, per salvarsi
da una lunga detenzione, decide di collaborare col governo americano,
in cambio dell'estradizione in Messico.
Ma in realtà sta solo preparando la
sua fuga, per tornare a casa sua nel Sinaloa e riprendersi il
suo posto, come “patron” del traffico di cocaina in
Messico. Creando un'alleanza “de sagre” con le due
famiglie alleate, i Tabia e gli Esparza.
Al proprio destino non si può
sfuggire, sia che si tratti di un agente della Dea che ha visto
troppe morti per una guerra senza vittorie, sia che si tratti
dell'ultimo superstite di una famiglia di Narcos che sa che il suo
posto è il trono. Quella tra Keller e i Barrera è anche una
questione personale: Adàn ha ucciso il miglior amico di Keller e
quest'ultimo gli ha impedito di vedere la figlia morta.
Così, Art Keller è costretto a
tornare in azione, perché non si può continuare a scappare per
sempre, guardandosi le spalle. Specie se sulla testa hai una taglia
da 2 milioni di dollari.
La fuga dal carcere è ispirata ad un
boss della droga in carne e ossa: "Chapo"
Guzman, signore della droga della regione del Sinaloa, cui
lui si è chiaramente ispirato per il personaggio di Adàn.
"ME LO aspettavo. "El Chapo" ha così tanto potere, soldi e capacità d'intimidazione che era inverosimile credere che rimanesse a lungo in un carcere messicano ".
Se lo dice Don Winslow bisogna credergli. Nessuno conosce "Chapo" Guzman meglio del grande romanziere americano, l'ex giornalista ed ex investigatore che nel suo Il potere del cane ha raccontato meglio di ogni altro la storia della guerra al narcotraffico. Il suo Adán Barreara, protagonista del romanzo, è modellato proprio su Joaquín Guzmán Loera, il re dei narcos messicani "El Chapo" fuggito ieri rocambolescamente dal carcere. Non credo che la sua fuga mi porterà a dedicargli un nuovo libro : che fuggisse, in fondo, era scontato...".Cosa glielo fa dire?"Dubito che sia andata come ce la raccontano. Sì, la cronaca parla di un tunnel e sono sicuro che il tunnel esiste. Ma non penso che sia passato da lì. Qualcuno gli ha semplicemente aperto la porta".Non le sembra un po' troppo la trama di un suo romanzo?"Niente affatto. Il cartello di Sinaloa è la più potente organizzazione di trafficanti di droga del Messico: non è irreale immaginare che nella sua fuga siano coinvolte guardie carcerarie, poliziotti e anche politici a vari livelli. Penso che il tunnel sia solo una copertura per nascondere tutto questo".
La lunga guerra, per il controllo del
traffico della droga che passa dal Messico verso gli Stati Uniti, ha
così inizio: sarà una partita a scacchi tra Art Keller,
l'idealista, l'uomo solitario, e i signori della droga in lotta tra
loro, con le alleanze che si creano e che si distruggono. Tra odi,
sospetti e tradimenti.
Il libro copre gli anni che vanno dal
2004 al 2012, attraversa due elezioni presidenziali e sebbene sia
ambientato quasi esclusivamente in Messico, riguarda anche le
amministrazione Americane e l'Europa.
“Il cosiddetto problema messicano della droga, è in realtà il problema americano della droga”.
Un problema che ha
dietro gli enormi guadagni dal traffico illegale della droga, dalla
Colombia, al Guatemala, al Messico, su per le strade che portano in
America:
“La cocaina da sola rappresenta negli Stati Uniti un giro d’affari da trenta miliardi di dollari l’anno. Il settanta per cento della coca che entra negli Usa passa da Juárez e dal Golfo”.
La guerra al narcotraffico è stata
ed è una guerra sporca: Don Winslow racconta in modo
estremamente realistico (anche troppo forse) le morti, le crudeltà,
il sangue, l'assenza di ogni remora morale che non risparmia nemmeno
donne e bambini.
“I corpi scuoiati di quattordici Zetas si trovano sui cassoni di alcuni camion della spazzatura. Un simbolismo appropriato, pensa Keller. Osserva i cadaveri spellati”.
Ma non è solo per questo “sporca”:
è sporca anche perché nata dall'altra guerra, voluta che
l'amministrazione Reagan voleva fare ai governi nell'orbita
comunista in centro america. Armi ai Contras in cambio della droga da
vendere in America. Droga che è causa di morte prima, per
l'accaparrarsi le linee di vendita migliori verso il nord (come la
città di Nueva Laredo), ed è causa di morte anche dopo, quando
arriva nelle nostre piazze.
La militarizzazione dei cartelli e
il bambino soldato
Nel romanzo, l'autore spiega come ogni
cartello si sia costruito il suo esercito personale, reclutando ex
membri delle forze speciali e dell'esercito. I Los Zetas per il
Cartello del Golfo, La linea e i Los Aztecas nella regione di Ciudad
del Juárez, la “Gente nueva” agli ordini dei Barrera.
Don Winslow racconta anche dell'ultima
prova di un baby soldato (che seguiremo nel corso di tutta la storia)
per entrare dentro questi corpi:
“Sul pavimento c’è un uomo in ginocchio con le mani legate dietro la schiena. Alle sue spalle, uno dei kaibiles consegna a Chuy un coltello dalla lama seghettata.Per il resto della vita, le volte in cui riuscirà a dormire, Chuy rivedrà quella stanza nei suoi incubi. Rivedrà la faccia di quell'uomo”.
Non è solo l'Isis
che decapita le vittime e registra i video per mandare messaggi. Ma i
narcotrafficanti non sono pericolosi come la jihad, come Al Qaeda,
come Isis, come il califfo El Baghdadi.
Keller commenta
amaramente il doppio comportamento dell'amministrazione USA, nei
confronti dei narcos e nei confronti del terrorismo:
“Nell’Asia meridionale il
governo ha il drone facile, ma non intende autorizzare nessun tipo di
raid, con o senza esseri umani, in Guatemala” -
dove uno di questi signori della droga ha trovato rifugio.
Controinsurrezione e antiterrorismo
Un altro punto toccato dal libro è la
risposta che il governo deve dare al narcotraffico: se questi si
creano delle strutture militari, anche la risposta del governo deve
essere militare.
Se i metodi dei narcos diventano sempre
più simili a quelli dei terroristi, anche la risposta dello Stato,
se vuole essere credibile ed efficace, deve essere come quella contro
il terrorismo. Con strutture (anche semiclandestine) addestrate e
selezionate che non si limitino a contenere le mosse dei trafficanti
di droga:
Orduña,
il responsabile di questa unità spiega la sua visione
all'agente della DEA:
“– Lei conosce la discussione tra le dottrine controinsurrezionali e quelle antiterrorismo?[..] La strategia controinsurrezionale, spiega, il modello adottato negli ultimi trent’anni per combattere il terrorismo, si focalizzava sulla difesa: prevenire gli attentati costruendo allo stesso tempo buoni rapporti con la popolazione locale, così da convincerla a non appoggiare i terroristi”.
Si tratta di tattiche costose, però:
“– Esatto, – gli fa eco Orduña. – Il controinsurrezionalismo è costoso, richiede tempo e alla fine è infruttuoso. Per questo le vostre forze militari di recente si sono spostate verso le dottrine antiterrorismo, che enfatizzano l'offensiva: attacchi precisi e mirati contro bersagli di grande valore”.
Non basta più arrestare uno dei vertici di un cartello, perché viene subito rimpiazzato con un altro: si tratta di abbandonare la controinsurrezione e adottare l’antiterrorismo:
– Sta parlando di un programma di omicidi mirati, – dice Keller.Ndrangheta
– Arrestarli se dobbiamo, – risponde Orduña. – Ucciderli se possiamo.
Il fenomeno del narcotraffico non si
limita al solo Messico: è come un germe che se lasciato prosperare,
produce solo povertà, distrugge i ceti più deboli, come una
metastasi della democrazia, la corrode dal suo interno, ma si espande
anche fuori. I narcos per acquisire sempre più potere hanno bisogno
di soldi: soldi per comprarsi i politici a livello locale e
all'interno del governo centrale (Los Pinos).
Soldi che arrivano dalla vendita della
coca verso il mercato europeo:
“Un chilo di cocaina negli Stati Uniti si vende intorno ai ventiquattromila dollari, mentre in Europa vale piú del doppio”.Il riferente per il mercato europeo è la nostra ndrangheta:
“– Stai parlando della ’ndrangheta, – dice Adán, riferendosi all’organizzazione mafiosa italiana che domina il commercio di droga in quasi tutta l’Europa. – Il Cdg ha già degli accordi con loro”.
Quasi tutta l’eroina arriva ancora dall’Afghanistan e dal Pakistan attraverso la Turchia, la marijuana arriva dal Nordafrica attraverso il Marocco. Ma la cocaina arriva dal Messico e la gestisce questa potenza criminale, il cui potere è stato per anni sottovalutato, ma che in realtà è
“la piú ricca organizzazione criminale del mondo. La base della ’ndrangheta è in Calabria e, in confronto, la piú antica e famosa mafia siciliana fa la figura della cugina povera. L’ottanta per cento della cocaina distribuita in Europa passa dalla ’ndrangheta ..”.
Un romanzo epico a più voci.
Il cartello è forse uno dei pochi
romanzi cui la defizione “opera monumentale” sia meglio calzante:
per la capacità nel raccontare una guerra lunga decenni, per la
coralità del racconto che a volte assume anche toni epici. Perché
se in questo lungo racconto incontriamo tanti cattivi, ci sono anche
degli eroi buoni.
Come il direttore del giornale di
Ciudad Juárez che si fa piegare dalle minacce dei narcos e continua
a raccontare le violenze, le morti, le torture nella valle, che il
cartello sta colonizzando, la stessa guerra di sempre:
“la guerra tra chi ha e chi non ha, tra i potenti e gli impotenti. Uno ha il potere di infliggere sofferenza, l’altro ha solo il potere di sopportarla”.
Una guerra che si
combatte anche mediaticamente: da una parte minacciando i
giornalisti, dall'altra lasciando i macabri messaggi accanto ai
morti.
Troveremo anche una bella e coraggiosa
dottoressa che ha scelto di lasciare Città del Messico per aprire
una clinica per le donne a Valverde.
Conosceremo don Pedro Alejo de
Castillo, diventato eroe a settantasette anni, per non aver voluto
cedere ai soprusi di questi “malandros”.
Eroi, loro malgrado, per convinzione,
per spirito o solo perché non c'erano altre possibilità.
“Il guerra e pace della lotta
alla droga”
Così lo ha
definito sulla copertina dell'edizione italiana Ellroy: ma se la
guerra è quella che viene raccontata, la pace è solo una speranza
che ancora deve realizzarsi.
La guerra personale
tra Keller e i Barrera (e tra i cartelli della droga tra di loro)
avrà un epilogo (e Keller sarà costretto a scegliere il male minore
per la sua battaglia), ma la questione della droga sarà ancora lunga
dal risolversi.
Altre cicatrici
copriranno il corpo e altri incubi popoleranno il sonno dei
protagonisti:
“Siamo tutti storpi, pensa Keller, che procedono zoppicando in questo mondo storpio”.È molto amaro il finale, come è giusto che sia e lascia spazio a tante riflessioni su come i paesi occidentali percepiscono il problema della droga. Come una questione secondaria. Secondaria rispetto al terrorismo.
Coi governi che non vogliono seriamente
impegnarsi nel contrasto ai grandi trafficanti di droga (per
concentrarsi sui piccoli spacciatori, con qualche sequestro di droga
ogni tanto per far bella figura).
Eppure questi signori governano
nell'ombra interi territori, spostano soldi attraverso banche
compiacenti, comprano funzionari dello Stato, si creano degli
eserciti personali, impediscono alla gente di vivere e di godere dei
loro diritti. E non vale solo per il Messico ma anche per la
ndrangheta e le sue ndrine in Italia e in Europa. Oltre a questo c'è
anche il danno sociale che poi le droghe causano.
Finché continueremo a considerare la
droga solo come un problema dei paesi produttori, dei piccoli
spacciatori, dei piccoli tossicodipendenti, ci porteremo dentro
questo tumore.
Come racconta, nel romanzo, uno di
questi giornalisti coraggiosi, la vostra guerra alla droga, per la
pulizia delle strade, è solo una guerra agli ultimi:
“Parlo per quelli che non possono parlare, per chi non ha voce. Alzo la mia, di voce, agito le braccia e grido per coloro che non vedete, che forse non potete vedere, per gli invisibili. Per i poveri, gli impotenti, i diseredati.[..] Parlo per loro, ma parlo a voi, i ricchi, i potenti, i politici, i comandantes, i generali. Parlo a Los Pinos e al parlamento, alla Casa Bianca e al Congresso, parlo all’Afi e alla Dea, ai banchieri, ai latifondisti,[..] Siete tutti uguali. Siete tutti un cartello. Siete tutti colpevoli. Colpevoli di omicidio, di tortura, di violenze sessuali, di sequestri, schiavitú e oppressione,[..]Questa non è una guerra alla droga. È una guerra ai poveri. Una guerra ai poveri e agli impotenti, a chi non ha voce, agli invisibili. A coloro che vorreste solo veder sparire dalle vostre strade,Avete fatto pulizia. Una limpieza. La nazione ora è al sicuro, per i vostri centri commerciali e residenziali,E ora sono anch’io senza voce, e invisibile. Io sono Pablo Mora.
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