36 anni dopo siamo ancora punto e a
capo: a domandarci chi uccise il presidente della regione siciliana
Piersanti Mattarella, come mai nonostante le inchieste, siamo ancora
agli identikit e alle ipotesi.
Conosciamo però il contesto in cui fu
deciso il delitto: quella zona grigia tra politica e mafia, che si
ingrassa coi fondi pubblici da dirottare verso gli amici (negli
appalti, nell'agricoltura..), e che vive e prospera grazie a quella
convergenza per cui la mafia porta i voti e la politica la protezione
dalle inchieste.
L'inchiesta sul delitto Mattarella ha
portato alla luce l'anima sporca della DC siciliana, quella di Lima,
Ciancimino e Andreotti. Quella di Riina e Bontade.
Ma la storia di Mattarella racconta
anche altro: Piersanti portava un cognome pesante, per lungo tempo f
considerato solo il figlio di Bernardo Mattarella, potete uomo della
DC siciliana, ministro, ma anche uomo tirato in ballo da Pisciotta
durante il processo di Viterbo, per i mandanti della strage di
Portella.
Piersanti riuscì a conquistarsi luce
propria, per la sua politica di pulizia in regione e nel partito, fino a quel giorno dell'Epifania del 1980.
Questo il ritratto che fa Saverio
Lodato, autore del saggio “Quarant'anni
di mafia” BUR , di Piersanti Mattarella, il moroteo di
Palazzo D'Orleans:
Piersanti Mattarella si era liberato presto dal fardello di un'eredità difficile. Nato a Castellammare del Golfo il 24 maggio 1935, venne considerato all'inizio della sua giovane carriera politica il rampollo che avrebbe preso il posto del padre Bernardo, il potente democristiano – deceduto nel 1971 – che per una ventina d'anni era stato ministro di tutti i governi della Repubblica.
Ma fin dagli esordi Piersanti preferì frequentare la biblioteca comunale e i circoli dell'associazione cattolica piuttosto che i comitati elettorali dove non era difficile imbattersi nei capimafia della provincia trapanese. A suo padre, che lo scrittore Danilo Dolci, siciliano d'adozione, aveva indicato nel 1965 alla commissione antimafia cone politico legato ai boss fin dal dopoguerra, Piersanti era legato esclusivamente da affetto filiale.Certo, lo urtavano frasi del tipo: «Quel cognome non gli porterà nessun vantaggio», oppure sentirsi definire, quasi che lui ne fosse in qualche modo colpevole, «il figlio di Bernardo».Dovette fare i conti con questo scomodo retaggio già nel 1961, quando diventò per la prima volta consigliere comunale a Palermo nel vivo di durissime polemiche. Ottima preparazione giuridica, esperto di diritto civile, una materia che insegnò per un lungo periodo all'università, Piersanti Mattarella dimostrò in fretta la sua natura di cavallo di razza. Nel 1971, ancora una volta eletto deputato, fu nominato assessore al bilancio. Anni che videro la regione siciliana travolta da una catena di scandali mentre risultavano sempre di più, anche per esplicito riconoscimento dei partiti d'opposizione, le doti di quest'amministratore giovane e serio pervaso dalla volontà di svecchiare le strutture più compromesse del suo partito.Piersanti Mattarella non volle mai mettersi in lista nel collegio elettorale di Castellammare, sebbene avrebbe potuto contare su un'elezione automatica e plebiscitaria. Partecipare al comizio di chiusura della campagna elettorale: ecco l'unica concessione che era disposto a fare aio democristiani castellamaresi.
Scrisse su «L'Ora» (il 9 gennaio 1980) il giornalista Marcello Cimino: «Era per lui come un debito che voleva pagare a una tradizione dalla quale poi non traeva alcun vantaggio diretto. Anzi. Dalla tradizione clientelare, paternalistica e ministeriale del partito democristiano, quale andò crescendo in Sicilia dopo il 1948 sempre più abbarbicato al potere, Piersanti Mattarella si tenne sempre discosto.. ».E' un ritratto esatto. Rigoroso ma di ampie vedute Mattarella – diventato presidente della regione Sicilia nel 1978 – si distinse immediatamente nello sforzo di moralizzazione. Decise, accogliendo la denuncia dell'opposizione comunista, di andare a spulciare le mille pratiche per concessione di finanziamenti dell'assessore ai lavori pubblici Rosario Cardillo il quale, a conclusione di quell'inchiesta, si dimise: venne accertato infatti che sborsava miliardi sempre alle stesse imprese, agli stessi personaggi, qualche volta anche in odor di mafia.Il giorno dell'Epifania del 1980, Piersanti Mattarella venne assassinato. Stava uscendo di casa per andare a messa. Era con moglie e figli. Niente scorta, che sistematicamente rifiutava nei giorni festivi. Un killer li seguì con calma. Appena il presidente della regione si mise alla guida della sua 132, il killer si avvicinò al finestrino e iniziò a far fuoco. Irma chiazzese, la moglie di Piersanti, lo vide e lo supplicò di non sparare. Parole inutili. L'esponente della Dc venne trasportato in ospedale ancora vivo. Morì sotto lo sguardo sgomento di Sergio, il fratello, che era accorso subito avendo udito le prime detonazioni. Identikit e supposizioni. Polemiche per la mancata vigilanza sotto l'abitazione del capo del governo siciliano. Profonda costernazione popolare. È morto come Aldo Moro, dicevano tutti.
Quarant'anni di mafia, di Saverio Lodato – Un moroteo a Palazzo D'Orleans
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