Le prime righe:
“Il primo senso che lo abbandona, appena la vampata bollente lo investe come un montante, è la vista. Le ciglia evaporano all’istante e i bulbi oculari palpitano. Barcolla. Le pareti vorticano in un gorgo asfissiante. Le fiamme aggrediscono il cotone che s’incolla subito alla pelle. Feriscono la carne, lacerano i muscoli, scorticano i nervi”.
C'è un serial
killer che si aggira per le strade di Roma, per i suoi monumenti,
rovine di un'epoca di maestà decadente, per le sue rovine
industriali, anche questi ricordi di un'epoca industriale passata.
“Sopra l’alto reticolo d’acciaio, il disco freddo della lune era sfocato dall’acqua che il cielo scaricava sulla città. Sulla sponda del Tevere, tra le macerie dei vecchi stabilimenti Mira Lanza, un’ombra si mosse nell’intrico di arbusti.”
Un assassino che
uccide le sue vittime seguendo un rituale macabro, lasciando la sua
firma sui corpi e anche dentro i corpi. Di lui non sappiamo nulla, se
non che è enorme, con due occhi neri e profondi.
Per acciuffare
questo assassino seriale che, nelle sue mail inviate ad un cronista
in pensione si firma come l'ombra, c'è un solo profiler nella
polizia della capitale, capace di acciuffarlo.
Perché questo è
il suo lavoro, per questo si è specializzato seguendo dei corsi a
Quantico, seguendo le lezioni di criminologia del suo professore
Biga.
Il profiler Enrico
Mancini e l'Uomo ombra, il cacciatore e la preda, che
l'autore di questo romanzo ci fa conoscere poco alla volta. Così
distanti, nell'ambito di questa caccia eppur così vicini per tutto
il dolore che hanno dovuto sopportare. E anche questa vicinanza verrà
alla luce poco alla volta, per deflagrare nel finale.
Perché Mancini,
ora, è solo un funzionario del commissariato di Montesacro:
la morte della moglie Marisa per un tumore, l'ha lasciato solo e
svuotato di ogni interesse nel suo lavoro di profiler.
Lo scopriamo poco
alla volta il suo dolore, le sue fobie (il voler portare sempre i
guanti), le sue angosce e anche i suoi sensi di colpa per aver
abbandonato Marisa, nei giorni dopo la cura, ed essere partito per
gli Stati Uniti. Per ritrovarla poi in agonia.
Il dolore buio che
ha dentro lo porta ad allontanare da sé il primo caso, la prima
vittima dell'Ombra:
«Una studentessa. Ha trovato il cadavere di una donna sulla quarantina. Squartata come una bestia. Aperta in quattro, con una croce al centro, come le pagnotte...»
Una studentessa, Nora, trovata morta a porta San Paolo vicino alla Basilica.
La prima di altre
vittime: un frate francescano in un mattatoio appeso per i piedi, un
probabile senzatetto nel Gazometro sul Tevere (le reliquie dell'epoca
industriale romana), un altro uomo di cui non si conosce l'identità
trovato morto nel tempio di mitra....
Ogni morte racconta
qualcosa che solo Enrico sa riconoscere: su pressioni del Questore
accetta il caso ed è costretto ad abbandonare temporaneamente il suo
di caso. La scomparsa dell'oncologo che aveva seguito l'iter della
malattia della moglie, il prof. Carnevalo.
In un bunker, al
centro di Roma, lontano dalle telecamere, si riunisce la squadra
investigativa che darà la caccia al serial killer, prima che la
stampa si scateni.
Walter Comello e
Caterina De Marchi, l'ispettore che lo aiuta a Montesacro e la
fotografa del reparto scientifico. Antonio Rocchi, il medico legale
di cui Mancini si fida. Il pm Giulia Foderà, uno di quei magistrati
che non si fa intimidire in un mondo popolato da soli maschi. E il
professor Carlo Biga “maestro” del commissario.
Da cosa partire?
When, How, Why.
Le domande da cui iniziare la ricerca. E poi le mail che l'Ombra ha
mandato ad un giornalista (perché avrà scelto proprio lui?), i
messaggi che vi ha lasciato dentro, i messaggi che ha lasciato nella
scena del crimine e, particolare ancor più macabro, dentro il corpo
delle vittime:
“mi sono convinto che i luoghi dei ritrovamenti, gli oggetti e i cadaveri abbiano a che fare gli uni con gli altri, come se fossero legati assieme da uno spago per noi ancora invisibile.”
L'assassino sembra
colpire in una specie di triangolo, tra la Basilica di San Paolo, il
Gazometro e l'ex mattatoio: qui
si concentrano le prime ricerche per cercare cosa avevano in comune
le vittime, cosa c'è in comune nel modus operandi dell'assassino,
nel modo in cui sono stati lasciati i corpi.
Tutto questo costituisce il cuore del lavoro di Enrico Mancini e
della sua task force:
“Ciò che davvero lo aveva sempre affascinato erano i meccanismi, i processi mentali alla base dei crimini efferati e ora si trovava a ricostruire quello che Biga chiamava il modus sentiendi dell’Ombra”.
Pregi e difetti
di questo libro: la prima parte ha un ritmo molto lento, l'autore
si sofferma troppo nel raccontarci il mondo dei profiler da vicino e
non risparmia nemmeno dettagli troppo crudi delle “macellerie”
del serial killer.
Anche il racconto
del mondo di dentro del protagonista, su cui la storia ritorna
spesso, rende poco scorrevole la lettura. Questo almeno il mio
giudizio.
Ma si può vedere
la cosa anche dall'altro punto di vista: Mirko Zilahy nel suo
esordio letterario ha tirato fuori una storia ben raccontata dove
dimostra di essersi ben preparato, sia dal punto di vista tecnico,
sia come scrittore riuscendo a mostrarci un personaggio di poliziotto
che non è un superman ma una persona vulnerabile come tanti.
C'è poi la
descrizione di Roma, in un fine estate molto piovoso e grigio (poteva
essere diversamente in un noir):
Nella parte
finale lo stile descrittivo lascia più il passo all'azione e
tutti gli enigmi della storia (Why, How ..) trovano man mano una
spiegazione. E ci troveremo di fronte a delle risposte che ci faranno
capire perché “è così che si uccide”.
«Tutti questi morti? La morte è la tua condivisione?»
«La giustizia, Enrico. La giustizia. Tu eri l’unico degno di trovarmi e di rendermi giustizia.»
«Quale giustizia? Come?»
«Testimoniando tutto questo. Io volevo te. Sapevo che mi avresti trovato.
Il buono e il
cattivo, il cacciatore e la preda hanno qualcosa che li lega nel
profondo dell'anima: la conoscenza del dolore per la perdita di una
persona cara. E più non voglio dire ..
Dall'intervista a
Repubblica
dell'autore:
La Roma del tuo romanzo è un luogo oscuro. Qual è il tuo rapporto con la città?
La mia è una Roma “diversa”, oscura e sconosciuta perché mi interessano poco le cose positive e luminose, come i monumenti o gli edifici storici che popolano la città, e se devo osservarli preferisco cogliere le ombre che proiettano. Altrimenti prediligo i loro doppi, i loro corrispettivi oscuri, come il Gazometro, che fa un po’ da contrappunto ferroso al Colosseo, ad esempio. In questo sono rimasto legato alle atmosfere degli autori vittoriani che amo, all’industrializzazione che in una città come la mia si scontra frontalmente con l’arte e la storia antiche. Ho voluto mettere insieme la Roma imperiale, quella barocca e quella, perlopiù ignorata, dell’archeologia postindustriale. Ma il tratto forse più caratteristico è il ribaltamento stilistico che ho operato per raccontare la città. E così il Gazometro è descritto come se fosse un monumento, con un’attenzione maniacale alla descrizione delle parti, poi ho cercato di cogliere l’anima, l’energia che lo anima ed è venuto fuori questo ibrido tra un edificio e una macchina gigantesca. Mentre il Colosseo in È così che si uccide acquista le sembianze del mostro, un’enorme mascella di pietra spalancata. Lo stesso vale per il vecchio mattatoio di Testaccio Luoghi che diventano personaggi della storia, che hanno un’anima, una voce. Per quanto poco conosciuta, la mia Roma esiste, è lì. È reale ma ha la qualità diafana degli spettri e come molti di loro resta spesso invisibile agli sguardi.Come nasce un titolo di successo?
Incrociamo le dita, ma aspetterei per parlare di successo. Diciamo che per ora il mio successo più grande è di essere riuscito a suscitare la curiosità e l’interesse nei lettori e di aver potuto lavorare con delle persone che hanno amato fin da subito questo thriller atipico.
La scheda del libro su Longanesi,
qui potete scaricare il primo capitolo in PDF
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