Il generale con gli alamari cuciti
addosso.
Il generale che aveva sconfitto il
terrorismo.
Il super-prefetto mandato a Palermo per
sconfiggere anche la mafia.
È stato chiamato in tanti modi il
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avendo avuto una carriera
nell'arma dei carabinieri intensa e lunga: dalla lotta al bandito
Giuliano, a fine anni '40 a Corleone, dove indagò sull'omicidio del
sindacalista Palcido Rizzotto per mano della mafia, incrociando per
la prima volta la sua strada coi corleonesi.
A Palermo negli anni 70, dove elaborò
la prima mappa della famiglie mafiose della provincia.
Al nord, a Torino, a combattere il
terrorismo rosso, con quei pieni poteri (che in seguito non ebbe come
prefetto a Palermo).
Gli arresti dei leader storici Curcio e
Franceschini, l'infiltrazione di frate mitra, Silvano Girotto.
Il pentimento di Patrizio Peci.
L'irruzione nel covo di via Fracchia.
Una carriera con tante luci e tante
interruzioni.
Come quella che lo mandò via da
Palermo, negli anni in cui la mafia stava passando dal business degli
appalti pubblici a quello della droga.
E la seconda interruzioni, quando la
sua brigata antiterrorismo fu sciolta. Eravamo alla vigilia
dell'attacco al cuore della Stato, col rapimento del presidente della
Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
Il suo nucleo fu ricreato dopo la morte
di Moro. Anche qui, altri successi: la scoperta del covo di via Monte
Nevoso e di parte del memoriale del presidente, che i brigatisti
(diversamente da quanto avevano promesso) avevano lì nascosto.
Una seconda parte di quel memoriale fu
poi ritrovata quasi dieci anni dopo, nel 1990: un caso o un mistero.
O forse una mano che aveva nascosto parte del materiale, che il
popolo italiano non doveva conoscere (Gladio, la guerra sporca contro
le sinistre ..).
Nella sua carriera incrociò la strada
con la mafia, col terrorismo rosso: a seguito della morte del
segretario comunista siciliano, Pio La Torre, fu rimandato a Palermo,
come prefetto con “pieni poteri” per affrontare la mafia. Ad
Andreott, a Roma, disse che non avrebbe avuto riguardi per le
correnti DC dell'isola.
Non ebbe né i pieni poteri né il
tempo di fare pulizia sull'isola.
Morì in un'agguato della mafia il 3
settembre 1982, in via Carini.
La macchina viene ritrovata con le portiere aperte, il cadavere del generale è riverso su quello della moglie che ha tentato di proteggere col suo corpo. I funzionari di polizia, dei carabinieri e dei servizi segreti che accorrono sul posto - tra di loro c'è uno dei migliori investigatori antimafia, Bruno Contrada – sono d'accordo a coprire decorosamente i corpi massacrati. Agenti vengono quindi inviati a villa Pajno per prendere un lenzuolo. Dichiarano di aver trovato la cassaforte aperta, vuota e senza chiave. La chiave viene ritrovata sette giorni dopo in un cassetto già perquisito.Patria 1978-2008, Enrico Deaglio
Una mano dipinse poco lontano dal luogodella strage, la scritta: “qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.
Un delitto strano, quello del prefetto
Dalla Chiesa: era nell'isola da troppo poco tempo per aver dato
fastidio veramente alle teste che contano.
E quei super poteri, erano solo
chiacchiere. Poteri che arrivano al suo successore, il prefetto De
Francesco, messo a capo dell'Alto Ispettorato nella lotta alla mafia.
Fu solo mafia?
Oppure Dalla Chiesa fu ucciso da un
commando mafioso, ma dietro c'era una “convergenza di interessi”
con altri pezzi dello Stato, anzi dell'antistato? Persone, dentro la
finanza, dentro i partiti, che ritenevano che il generale fosse
ancora troppo ingombrante (come disse il pentito Buscetta a Falcone).
I segreti sul rapimento di Aldo Moro,
sul memoriale.
I segreti sul rapporto tra la mafia in
Sicilia e la democrazia cristiana in Sicilia, ovvero Salvo Lima e
Andreotti.
Dopo la morte di Della Chiesa lo Stato
fi costretto (come dieci anni dopo, con le stragi di Capaci e via
D'Amelio) a varare la legge Rognoni-La Torre: per la prima volta,
veniva riconosciuto il reato di associazione criminale di stampo
mafioso. E, cosa più importante, si colpivano i mafiosi nei loro
patrimoni, che potevano essere sequestrati.
Un passo avanti importante, certo. Ma
cosa nostra, il dominio dei corleonesi, andranno avanti per altri
dieci anni: fino alla sentenza del maxi processo, alle stragi contro
i giudici Falcone e Borsellino (e le rispettive scorte), alla
stagione delle bombe. E alla stagione della trattativa stato –
mafia.
Altri segreti, misteri alla luce del
sole.
Tornando a Dalla Chiesa, di certo c'èche morì da solo. Ucciso, assieme alla moglie Emanuela Setti
Carraro, nella sua auto mentre girava per Palermo con una scorta
ridotta al minimo, l'agente Domenico Russo.
Nell'intervista a Bocca, pochi giorni
prima di venire ucciso, l'aveva anche detto:
«Credo di aver capito la nuova
regola del gioco. Si uccide il potente quando avviene questa
combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso, ma si può
uccidere perchè isolato»
Isolato
dallo Stato, che era anche lo stato della DC e di Andreotti che a
Tano Badalamenti, il boss mafioso, in un incontro, aveva detto
“ci vorrebbero uomini come lei in ogni piazza d'Italia”.
La DC di Salvo Lima
e di Ciancimino, dei fratelli Salvo, grandi elettori del partito
cristiano e democratico, cui questo partito aveva concesso in Sicilia
la riscossione delle tasse con un aggio molto favorevole.
Isolato anche dalla
Chiesa: non devono confondere le parole del cardinale Pappalardo, al
funerale del generale “mentre a Roma si discute ..”. Sono le
prime (e di fatto le uniche) parole contro la mafia fatte in pubblico
da un alto esponente della chiesa.
Peggio l'aborto
della mafia, secondo il cardinale.
I mafiosi, in
fondo, sono buoni cattolici: Riina aveva fatto battezzare tutti i suoi
figli ..
In dieci anni cosa
nostra uccise un prefetto, un presidente di regione, il capo
dell'ufficio istruzione, il procuratore capo, il capo della mobile e
il capo della squadra catturandi.
I due magistrati
più importanti nella lotta alla mafia.
I corleonesi non
comandano più dentro cosa nostra, i loro capi sono stati arrestati,
schiacciati da lunghi ergastoli.
Oggi la mafia non
uccide più nelle strade, come succedeva nei primi anni '80, gli anni
della Mattanza (quasi mille morti in pochi anni a Palermo e
provincia, senza che la cosa suscitasse troppa indignazione nel
paese).
La Chiesa si è
schierata contro la mafia (le parole di papa Wojtyla ad Agrigento,
dopo l'uccisione del magistrato Livatino).
La Democrazia
Cristiana e gli altri partiti storici sono spariti: sono rimasti i
capibastone, i portatori di voto, i ras locali che, in vista delle
prossime elezioni regionali, si stanno mettendo d'accordo per
dividersi la torta.
Sembra che in
Sicilia l'orologio si sia fermato, dai tempi del generale Dalla
Chiesa.
Nessun partito,
coalizione che abbia voluto fare pulizia dal suo interno. Riciclati,
indagati, condannati. Ex cuffariani e lombardiani.
La parola mafia è
scomparsa dall'agenda politica e pure dalla campagna elettorale in
regione (perfino dal M5S), in questa campagna tutti i candidati hanno
espresso toni morbidi nei confronti delle abitazioni abusive (erano i
giorni della scossa a Ischia, che aveva causato un crollo di una
palazzina).
Siamo ancora alla
confusione (o lo scambio) dei diritti coi privilegi e dei favori.
Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l'hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l'ala socialista dell'Evis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare."Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
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