Questa sera il principale servizio di
Report, a cura di Giovanna Boursier, ci racconterà dello stato della
politica industriale in Italia.
Un secondo servizio sarà dedicato al
peso dei lobbisti in Italia e in Europa, infine un pezzo sulla parità
retributiva tra uomo e donna.
Prima un approfondimento sulla salute
alimentare:
Il mondo delle ricerche alimentari
Ogni giorno escono
studi innovativi sul cibo: i grassi? Non è vero che fanno male; il
latte? Aiuta le ossa ma occhio alle proteine animali. La carne rossa?
Si salvi chi può...
E allora uno che
cavolo mangia?
Walter Willet,
nutrizionista all'università di Harvard racconta alla giornalista
come oggi su internet e sui giornali si trovino ricerche con titoli
sensazionalistici, che dietro hanno poca base scientifica.
Gli studi
finanziati dalla Mars, per esempio, dicono che il cioccolato fa bene
un po' per tutto: dall'umore alla pressione, ma uno studio
indipendente spiega come l'effetto siamo minimo e solo per i soggetti
ipertesi.
E' importante
sapere chi finanzia una certa ricerca, per capirne la validità: il
commissario europeo per la sicurezza alimentare, Andriukaitis
ammette che oggi non esiste una regolamentazione sui finanziamenti
degli studi di ricerca alimentare, e che dunque servirebbe avere
soldi pubblici per dare la possibilità ad EFS di fare studi
indipendenti, per garantire più trasparenza, per dare più fiducia a
queste ricerche.
Qui
una anticipazione su Raiplay
La scheda del servizio: Che
cavolo mangio di Alessandra Borella
Caffè: dannoso per il cuore o elisir di lunga vita? Latte: previene alcune malattie o ne aumenta il rischio? E la carne, fa male oppure no? Esistono davvero cibi miracolosi per la salute, come le bacche di goji? Stando a quello che si legge su internet e che esce sui giornali e in tv, è vero tutto e il contrario di tutto quando si tratta di quel che mangiamo. Sono spesso gli stessi studi scientifici ad avere conclusioni contrastanti tra loro. Come si fa a distinguere quelli scientificamente più affidabili? Cosa dobbiamo considerare per capire se ci possiamo fidare o no? Visto che l'industria può influire sui risultati di una ricerca alimentare e anche sulla sua pubblicazione. Allora come ci si orienta nella giungla nutrizionale?
Lo stato della politica industriale
in Italia
Non siamo più ai tempi dell'IRI e
dello Stato imprenditore in (finta) concorrenza col privato: dopo la
crisi del 1992 abbiamo cominciato a dismettere (e a volte anche a
chiudere) asset industriali come l'Ilva, Telecom, le autostrade (date
in concessione).
Un pezzo dopo l'altro abbiamo perso
l'industria chimica, stiamo perdendo l'auto, l'industria siderurgica
è in crisi.
Le auto e le moto le abbiamo date a
tedeschi e americani.
Le squadre di calcio ai cinesi, con
alterne fortune e dove nemmeno sappiamo bene chi siano i proprietari.
Il lusso è finito ai francesi, come la
Telecom e anche alcuni marchi alimentari.
Parte della Sardegna è in mano al
Qatar.
L'acciaio dell'Ilva agli indiani e
ancora dobbiamo capire se verranno rispettate le prescrizioni per le
bonifiche e se verrà mantenuta la produzione e l'occupazione in
Italia.
A decidere dove far arrivare i turisti
in Italia, via aereo, sarà una compagnia straniera (quella che si
prenderà Alitalia,
speriamo non in formato spezzatino) che potrebbe non aver voglia di
favorire i nostri scali.
I nostri asset strategici (la rete, le
auto, ..) finiscono in mani straniere, portandosi via brevetti e
know how e in Italia rimangono i veleni. Come quelli di Taranto.
La politica industriale, il famoso
piano industria (o
impresa) 4.0 è basato su sgravi
per chi ammoderna
impianti, per chi fa corsi di formazione: altri soldi pubblici che
finiscono alle imprese con l'obiettivo di aggiornare le competenze e
di migliorare i processi produttivi.
Un ruolo quasi passivo rispetto a
quanto ha fatto ad esempio la Francia
sul caso Fincantieri.
La scheda del servizio: A.A.A.
ITALIA VENDESI di Giovanna Boursier Collaborazione di Ilaria Proietti
La vicenda Telecom sta facendo emergere la dismissione della grande azienda italiana, perché una parte importante dell’industria del nostro paese sta andando all’estero. La francese Vivendi, con appena il 23,9%, controlla Telecom, all’Ilva di Taranto, dopo anni di querelle e un’infinità di decreti in deroga alle autorizzazioni ambientali, arrivano gli indiani di Mittal. Le trattative con i sindacati sono in corso ma anche i ricorsi al Tar, e c’è il rischio che salti tutto: il ministro Carlo Calenda il 29 novembre ha bloccato i tavoli. Intanto l’alta moda e il lusso vanno ai francesi, la Sardegna al Qatar, così come Meridiana, mentre speriamo di vendere Alitalia. Ma quando Fincantieri, azienda pubblica, cerca di ingrandirsi e firma un contratto per assorbire i cantieri navali francesi, la politica d’oltralpe ci blocca. Giovanna Boursier intervista in esclusiva il ministro dello Sviluppo Calenda.
Il potere delle lobby in Italia e in
Europa
A Bruxelles ci sono 35mila lobbisti,
uno per ogni dipendente della commissione europea, che sono un po'
marcati ad uomo, come nel vecchio calcio. Il servizio di Giorgio
Mottola spiegherà come e quanto influenzano la nostra vita.
Un'influenza che possiamo valutare ricordando quanto i lobbisti hanno
speso nel 2016 in Europa: si parla di 1,5 miliardi di euro. A cosa
sono servizi tutti questi soldi?
Ma mentre in Europa esiste da anni un
registro dei lobbisti, in Italia la Camera
ha appena introdotto un registro per i lobbisti, ma non sappiamo chi
incontrano e cosa fanno: per il legislatore è come se fossero dei
semplici visitatori delle stanze dove si fa politica.
Siamo uno dei paesi meno trasparenti
per il rapporto lobby e politica.
Ma quanto incidono sulle decisioni
politiche le lobby? Per capirlo, Report racconterà la
vicenda della sigaretta elettronica. Qualche anno fa c'è stato
un boom, poi molti hanno smesso di usarla.
Il boom della sigaretta elettronica
rischiava di diventare una rogna per la lobby del tabacco: era il
2010 e oltre 6 ml di persone iniziarono a provare il gusto dello
svapo e molti imprenditori come Riccardo
Ascione, (AD di Ovale) si sono lanciati in questo settore.
Ascione racconta di come nel 2010 uscì
sui media la notizia per cui la sigaretta elettronica era
cancerogena, citando una dichiarazione dell'OMS che non è mai
esistita.
Nel 2013 il colpo finale:
il Parlamento introduce una tassazione severa sulla sigaretta
elettronica: l'emendamento che aumenta il costo del +200% è dell'ex
tesoriere DS Sposetti, la cui campagna elettorale risulta essere
stata finanziata dalla lobby dei tabaccai, con 37mila euro.
Giorgio Mottola ne ha chiesto conto al
senatore che ora nemmeno si ricordava dell'emendamento, salvo poi
uscirsene con "me ne dovevano dare di più"
La
scheda del servizio: LOBBY CONFIDENTIAL di Giorgio Mottola
Collaborazione di Alessia Marzi e Carla Rumor
Cosa sappiamo realmente di cosa fanno le lobby e soprattutto di chi sono i lobbisti? Poco o nulla: l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non avere una legge che regolamenti il settore. La Camera dei deputati ha di recente introdotto un registro per i portatori di interesse, ma non è obbligatorio dichiarare né chi si incontra né cosa si fa. A Bruxelles, invece, dove esistono regole molto stringenti, sono registrati presso il Parlamento europeo oltre undicimila lobbisti. Ma in realtà se ne stimano più del triplo e, considerando che per la Commissione europea lavorano 33.000 persone, c’è un lobbista per ogni dipendente. Quanto incidono sulle decisioni politiche le lobby? Per capirlo, Report vi racconterà la vicenda della sigaretta elettronica. Qualche anno fa c’è stato un boom, poi molti hanno smesso di usarla. Come mai?
La parità salariale uomo donna
L'ultimo servizio tocca uno dei
principi della Costituzione
che invita il legislatore a “ rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese ”.
Sulla disparità
tra i salari di uomini e donne c'è ancora molto da fare.
La scheda del servizio: L’ISOLA
DELLE PARITÀ di Giulia Presutti
In Italia la parità retributiva tra uomo e donna è garantita dalla legge: per le stesse mansioni, dovrebbero guadagnare la stessa cifra. Eppure, secondo l'Istat esiste nel settore privato un divario del 12% tra gli stipendi di lavoratori e lavoratrici: questo perché ci sono meno donne ai vertici delle aziende, ma anche perché, a parità di ruolo e di lavoro svolto, la donna guadagna di meno. Il problema riguarda molti paesi e in Islanda, per risolverlo, hanno inventato uno strumento matematico: uno standard al quale tutte le imprese devono conformarsi, valutando le qualità dei dipendenti e la difficoltà dei compiti che svolgono. A ciascuno viene assegnato un punteggio e in base a quello viene riconosciuto lo stipendio, che è sempre pubblico in base alle regole di trasparenza.
Anche in Italia le aziende sono obbligate, ogni due anni, a inviare un rapporto sulle differenze di genere. Ad analizzare i dati è un organismo di tutela: la consigliera di parità. Ce n'è una in ogni regione e anche una in ogni provincia, per intervenire sulle discriminazioni e promuovere politiche di genere. Ma cosa fanno le consigliere? L'Italia ha le regole giuste, ma farle rispettare è un altro paio di maniche. E quando un paese ha il tasso di occupazione femminile più basso d'Europa, con una donna inattiva su due (solo la Grecia sta peggio di noi), è necessario tenere alta la guardia.
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