Incipit
Fino a quando la ragazza non disse la prima parola, Steno Molteni fu convinto di essere solo nel letto. Poi lei parlò, spazzando via il dormiveglia e quell'idea sbagliata.«Dove sono?» domandò.«Nel mio letto», rispose Steno.«Che ore sono?» rilanciò la ragazza.
Fuori c’era tanta luce. Per quanta
luce possa esserci a Milano a inizio dicembre, con tutta quella neve
che veniva giù.
Ci sono persone che, seppure incontrate
da poco, per il loro carattere, per come ti parlano, dopo poco ti
sembra di averle conosciute da sempre.
Questa è l'impressione personale dopo
le prime pagine de Il
caso Kellan, secondo noir del giornalista di Repubblica Carlo
Vanni con protagonista Steno
Molteni, cronista de La Notte:
un buon giallo ambientato in una Milano sepolta dalla neve (una delle
poche cose che differiscono dalla realtà) dove in una fredda mattina
il corpo di un ragazzo viene scaricato davanti all'ospedale
Fatebenefratelli.
Si scoprirà poi che il morto, Kellan
Armstrong, è il figlio del console americano a Milano, e che è
stato picchiato e poi portato in ospedale da due individui, poi
scappati.
E' un omicidio che per gli agenti
assegnati al caso è una bella patata bollente, per tutta
l'attenzione rivolta sul caso, sia da parte dell'Ambasciata che del
Questore (amico del console tra l'altro).
L’agente scelto Cinà Raffaele, detto Scimmia, era fermo immobile sul marciapiedi, di fronte all’ingresso dell’hotel.
Per questo l'agente scelto Cinà
decide di chiedere aiuto al vecchio amico Stefano Molteni, detto
Steno.
Un giornalista che scrive di cronaca
nera per il settimanale La notte, un laghee di
Bellaggio, trapiantato a Milano e ora domiciliato all'hotel Villa
Garibaldi, in una stanza che è diventata la propria casa, grazie
all'amicizia del padre col portiere di questo albergo,
l'imperturbabile signor Barzini.
Incontriamo Steno proprio in questa
camera, reduce da una serata allegra con una ragazza, anche lei
milanese di adozione (termine brutto, ma giusto per capirci), Sabine,
eritrea ma milanesissima per essere cresciuta sotto la Madunina.
«Mamma mia», disse Steno senza volerlo. Era bella. Molto bella, anche più di come la ricordasse. Una di quelle sorprese che al risveglio dopo una notte con una conosciuta in discoteca non capitano spesso.
Il brusco risveglio arriva proprio
dalla telefonata dell'amico poliziotto, Raffaele Cinà detto
Scimmia, che gli chiede una mano.
« ...Ti prego, ti supplico, se scopri qualcosa prima di allora, dimmelo. Mio padre lo diceva sempre che tu le indagini le sai fare. Per me è importantissimo. Mi hanno messo su questo caso perché so l’inglese, ma mi cago sotto.»
Nonostante le sue particolarità
(vivere in una stanza d'albergo, girare per Milano su una Maserati
Ghibli degli anni '70), Steno è un (giovane) giornalista capace di
fare il suo lavoro: sa come muoversi per Milano, sa a chi far
domande, sa come mettere assieme i fatti e trovare una pista.
In cambio dell'esclusiva della notizia,
da pubblicare nel prossimo numero de La notte, si mette a
disposizione dell'amico e inizia così una sua inchiesta, non del
tutto autorizzata, che parte dalle poche carte della relazione di
servizio e dalle immagini delle telecamere notturne attorno
all'ospedale.
Che porta ad una jeep russa, molto
particolare.
Intrufolandosi nella stanza della
dottoressa Tajani, il pm che segue il caso, riesce ad avere altre
informazioni: la ferita alla nuca, probabile causa del decesso,
l'auto che ha scaricato il ragazzo, poi dileguata via..
Steno riesce a ricostruire un contesto
di quanto potrebbe essere accaduto quel freddo lunedì notte: una
storia che parte da incontri clandestini di omosessuali, che si
mettono in contatto tramite delle chat online, incontri che avvengono
nella “buca”, il boschetto sotto il ponte della Ferrovia vicino
Cadorna, in zona Triennale.
Steno entra in contatto con un signore,
strano, con una cerata che non si toglie mai, che gli racconta di
un'aggressione ad una coppia di ragazzi.
«Pare che qui nella buca ieri sera sia successo un bel casino», disse l’uomo con la cerata.
«Non che sia una novità, ma sembra che si siano menati. Almeno così dicevano oggi pomeriggio alcuni ragazzi in chat...»
Storia che gli viene confermata da un
altro gruppo di ragazzi, che conoscono il giro di incontri attorno
alla “buca”, che si ritrovano in un locale dedicato a Harvey
Milk, un'icona per i diritti dei gay.
Grazie all'aiuto e alle foto di Sabine,
girando per le strade innevate di Milano (e di Torino), arriverà ad
una verità sulla morte di quel ragazzo, il caso Kellan, che poi
troverà posto sul numero de La notte.
Steno tolse la giacca, si appoggiò alla scrivania di Roberto e raccontò tutta la storia dall’inizio: il figlio del console americano morto al Fatebenefratelli, la Lada Niva, la buca di notte, l’uomo con la cerata, il commercialista di Torino, gli Spazzini.
Ma, in parallelo all'indagine della
polizia (e a quella di Steno), c'è un'altra indagine che il padre di
Kellan, Liam Armstrong, affida ad un amico, all'apparenza un semplice
cuoco del ristorante Hanoi in via Ugo Foscolo, zona Duomo, nella
realtà qualcosa di più.
Han aveva imparato l’italiano a Milano, dove aveva vissuto quasi tre anni da ragazzo facendo l’aiuto cuoco all’Antica trattoria della Pesa. Aveva scelto Milano, e la Pesa in particolare, perché in quelle cucine aveva lavorato suo zio Ho.
Ho è Ho
Chi Minh, che effettivamente è stato residente a Milano negli
anni '20.
Questa persona si chiama Han e viene
dal Vietnam, lì dove ha conosciuto il padre di Kellan, allora agente
della CIA.
Partendo dal cellulare e dal portatile,
che la famiglia non ha dato subito alla polizia, anche Han seguirà
una sua pista coi suoi metodi: partendo dagli amici di Kellan,
dell'alta borghesia milanese, arriverà anche lei a scoprire il giro
di incontri attorno alla “buca” e ad un gruppo di omofobi
estremisti che vanno in giro a picchiare i gay.
«Ok. Comunque non sono cinese, sono vietnamita.»«Non cambia niente. Il nostro mondo si divide in due: Milano centro e tutto il resto.»
E pure ad una sua verità sul caso
Kellan, che sarà difficile da accettare per la famiglia.
Perché alla fine si scopre che i
propri figli, anche se li vedi tutti i giorni, forse non li conosci
del tutto.
Ora Carlotta [la madre di Kellan] avrebbe dato qualsiasi cosa perché quel bacio Kellan glielo avesse dato davvero, non solo a parole. Perché lei non se lo ricordava l’ultimo bacio che le aveva dato il suo unico figlio. Non se lo ricordava.
Il caso Kellan avrà così una sua
soluzione, anzi due soluzioni: quella che verrà rilanciata sui
giornali e accettata da tutti (un altro “Tonypandy”),
perché è la notizia che tutti vogliono leggere.
E quella vera, che in questo romanzo si
intuisce solo o quanto meno che Steno arriva ad intuire e Han ad
avvicinarsi.
In questo secondo suo romanzo, Franco
Vanni conferma le sue doti di buon giallista: ben congegnata la
trama, interessanti e non banali i personaggi, sia quelli principali
sia quelli che rimangono sullo sfondo, come l'amico Alberto, un
senzatetto che però ha conservato il suo orgoglio, nonostante le
notti passate al freddo.
Un romanzo che conferma anche la natura
multietnica di Milano, perché in fondo quasi tutti i protagonisti
sono milanesi di adozione: lo è Sabine e lo sono Steno e Scimmia
(l'amico poliziotto) che a fine libro faranno pace al termine di una
gara sulle salite verso al Ghisallo, in Brianza, affacciandosi a quel
quadro dipinto dalla natura che è il Resegone.
La scheda del libro sul sito di Baldini
+ Castoldi
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