Immagino che in molti abbiano seguito l'intervista di Renzi a Di Martedì, ieri sera.
Come in molti abbiano sentito Berlusconi in una delle sue recenti interviste: da Fazio, da Belpietro.
Entrambi contrari, a parole alle larghe intese (loro, non i loro alleati). Entrambi contrari ad ogni alleanza con gli estremisti.
Così lontani e così vicini, non solo per il patto del nazareno (pure rivendicato): se li avete sentiti parlare avrete notato che entrambi non parlano al paese, a tutti gli elettori.
Nemmeno quando entrambi erano presidenti del Consiglio: Renzi e Berlusconi si assomigliano perché tutti e due parlano ai loro elettori. Anzi, ai loro fan, ai loro tifosi, alla claque.
Quando parlano dei numeri dell'occupazione (e un commento sul servizio di Presa diretta di sabato sera?), quando parlano delle tasse da abbassare (e chi ha evaso le tasse dovrebbe avere il pudore di starsene zitto). Quando parlano di etica, competenza (quando entrambi, una volta varcato Palazzo Chigi si sono circondati di amici, signorsi, finanziatori o avvocati).
Non sono statisti, almeno non nel senso che intendo io.
Nemmeno il Renzi che rinfaccia agli avversari gli scandali (quello che i giornali chiamano rimborsopoli, parlamentari del M5S che non hanno rispettato un accordo interno, non hanno rubato nulla) mentre si trincera dietro le inchieste dei magistrati per i suoi (per le spese pazze in regione, per l'ultimo scandalo che coinvolge i De Lucas in Campania).
Non ce ne sono molti di statisti attorno.
Nemmeno tra i leader costruiti a tavolino dai giornali italiani, come Calenda e Bonino.
Entrambi convinti europeisti che oggi si accorgono che nell'Europa le aziende possono spostarsi dove conviene.
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