Sul Fatto Quotidiano di martedì 12/05 è uscito uno stralcio del saggio di Riccardo Iacona “Il sistema sanitario nei giorni del Covid-19”, edito da Piemme.
Si parla del piano di pandemia nazionale, che non è stato aggiornato dal 2009 (se ne è occupata la scorsa puntata di Report).
“La parola d’ordine era risparmiare, i tagli hanno smantellato la Prevenzione”
Pubblichiamo uno stralcio di “Il sistema sanitario nei giorni del Covid-19”, edito da Piemme.
A fine marzo del 2020, grazie alle inchieste dei giornalisti, scopriamo dell’esistenza di un “Piano pandemico nazionale”, ma questa parola prima non era mai circolata da nessuna parte. Basta fare una semplice ricerca su tutte le agenzie nazionali, e battere “piano pandemico nazionale” nell’arco temporale tra il 15 gennaio e il 25 febbraio del 2020, quando si scopre il primo caso italiano, e non esce fuori alcuna occorrenza. (…) È stato approvato dalla Conferenza stato-regioni nel 2006 ed è stato aggiornato l’ultima volta nel 2010. Con questo documento l’Italia si era allineata alle prescrizioni dell’Oms, che invitava tutte le nazioni a dotarsi di questo strumento già dal 2003, a seguito dell’epidemia della Sars e di aggiornarlo ogni 3 anni. Il Piano è costruito per rispondere alle sei fasi pandemiche eventualmente dichiarate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (…).
Americo Cicchetti dirige l’Alta scuola di Economia e Management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica. Tra i 300 studenti che la frequentano ci sono molti professionisti della Sanità pubblica, direttori sanitari e direttori generali. Nata dalla collaborazione tra la facoltà di Economia e quella di Medicina e Chirurgia, ha come obiettivo quello di formare al più alto livello il management del Servizio sanitario nazionale. Cicchetti è stato nel Consiglio di amministrazione dell’Istituto Superiore di Sanità e per sei anni ha lavorato nel Comitato prezzi e rimborsi dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco; insomma, è un profondo conoscitore di come funziona la macchina della Sanità anche ai livelli istituzionali più alti. E mi conferma che il Piano pandemico nazionale in quelle settimane non era nell’agenda del governo: “Nel mese che va dal 31 dicembre, quando è nata la task force, fino al 22 febbraio, non si è mai parlato del Piano pandemico. E neanche si è pensato di riprenderlo in mano e magari di aggiornarlo; avevamo un mesetto di tempo, ma nessuno ci ha pensato”. “Perché, secondo lei?”, domando.
“Secondo me è dipeso dal momento di debolezza che aveva il dipartimento della Prevenzione al ministero della Salute, da cui dipendeva il Ccm, il Centro per il controllo delle malattie che è proprio la struttura ministeriale dedicata al controllo delle epidemie. Una struttura importante, che negli ultimi anni è stata sottofinanziata. Io sfido tutti in questi giorni a dirmi il nome del direttore del dipartimento della direzione della Prevenzione al ministero della Salute. E sa perché? – continua Cicchetti – Perché il direttore generale di quella struttura era a fine mandato, doveva tornare in Regione Abruzzo perché è un dirigente, e non è stato sostituito.
Ma di fatto quel dipartimento era in fase di smantellamento. La struttura teoricamente c’era, ma ne erano stati ridotti di molto i finanziamenti. Questo è stato un problema enorme, perché quella struttura, che aveva la responsabilità di riprendere in mano il Piano pandemico nazionale per aggiornarlo nell’arco di un mese, alla fine non l’ha fatto. Quindi il Piano è rimasto sulla carta, ma sarebbe stato utilissimo – conclude Cicchetti – perché prevede tutte le possibili fasi dell’epidemia. C’è tutto lì dentro, anche come formare le persone che avrebbero dovuto affrontare in prima linea il contagio”.
Chiedo anche al prof. Giovanni Rezza (da pochi giorni nominato proprio alla Prevenzione del ministero, ndr) di parlarmi del Piano pandemico nazionale e il suo commento è lapidario: “Uno può fare i piani pandemici più belli del mondo, ma poi bisogna applicarli. C’è da capire tra Ministero e Regioni chi, durante questi anni, avrebbe dovuto renderli operativi. Certamente il Ccm, il Centro per il controllo delle malattie presso il ministero, è stato definanziato nel corso degli anni”. “Perché? Non era considerato importante?”, domando. “Perché la parola d’ordine è stata ‘risparmiare’, e alla fine si taglia dove si pensa che faccia meno male tagliare. Poi scoppia una pandemia e ci si rende conto di quanto quei tagli siano stati poco lungimiranti”.
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