28 maggio 2020

Per non dimenticare

Uno dei casi del destino ha fatto sì che, nello stesso giorno, si ricordino sia una delle vittime del terrorismo rosso che le vittime del terrorismo nero.
Walter Tobagi, ucciso il 28 maggio 1980 a Milano da un commando di un gruppo della galassia del "partito armato" che, con quell'omicidio intendeva affermarsi agli occhi delle Brigate Rosse.
Walter Tobagi, steso laggiù, aveva 33 anni, ma a noi giovani cronisti da battaglia sembrava molto più vecchio, era una delle prime firme del Corriere, aveva un viso e un portamento antichi, vestiva abiti scuri e cravatta, come già ai tempi del liceo Parini, considerando quel vestire una forma di rispetto per sé e per gli altri, proprio come quando scriveva estraendo dal disordine insanguinato del terrorismo in corso, la limpidezza di una cronaca che non voleva mai stupire, ma raccontare, spiegando il baratro. Cosa che non era facile come dirlo, visto che in quegli anni furiosi almeno 90 gruppi armati inneggiavano alla rivoluzione, dietro la coda insanguinata delle Brigate Rosse, sparavano a magistrati, politici, giornalisti, convinti che il terrore avrebbe sfibrato la falsa democrazia borghese, aumentato la repressione, accelerato i tempi della battaglia. 
Dieci anni dopo ho conosciuto e parlato a lungo con il soldato di quella rivoluzione, il titolare di quel corpo ucciso nella pozzanghera. Si chiamava Marco Barbone, figlio di un alto dirigente della Rizzoli, faccia da ragazzo bene, riccioli neri, occhi senza fondo. Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa che lo avrebbe arrestato tre mesi dopo l’omicidio, lo aveva soprannominato “il piccolo dio” perché pentendosi aveva dettato, con la sua erre blesa, 150 nomi dei suoi compagni, confessato ferimenti, rapine, ricostruito l’organigramma di una trentina di gruppi armati, dalle Formazioni comuniste combattenti a Senza tregua, da Guerriglia rossa a Prima linea. Cioè quasi per intero l’apparato militare della lotta armata a Milano. E aveva spiegato le ragioni dell’omicidio Tobagi che aveva ideato e voluto, anche se ne parlava al plurale: “Volevamo fare una azione eclatante, salire nella gerarchia, accreditarci per entrare nelle Brigate Rosse”. 
[ Tobagi la preda dei figli di papà - Pino Corrias da Il Fatto Quotidiano]

E, sempre il 28 maggio ma del 1974, la strage fascista a Brescia, la bomba fatta scoppiare in piazza della Loggia durante un raduno dei sindacati che intendeva denunciare proprio il crescendo di atti di violenza da parte dei neofascisti.

Due storie diverse, che però fanno parte della nostra storia e che non dobbiamo dimenticare.
La storia del giornalista del Corriere, che voleva raccontare la realtà del tempo in cui viveva, compresa l'assurda guerra dichiarata da un gruppo minoritario contro magistrati, avvocati, giornalisti, dirigenti per far accendere la scintilla di quella rivoluzione che non sarebbe mai arrivata.

E la storia di un gruppo di persone che voleva cambiare il paese in senso democratico e che non accettava più le provocazioni fasciste, tutto il vecchiume dello Stato che ci portavamo dietro da troppo tempo: tra questi Manlio Milani, zio Manlio come lo ha chiamato nel suo bel libro Benedetta Tobagi (che è poi la figlia di Walter, un altro strano intreccio di questa storia) che alla strage di piazza della Loggia perse la moglie.

Tutte e due queste storie hanno avuto un risvolto giudiziario che, fino ad un certo punto, ha dato giustizia alle vittime.
La strage di Brescia, diversamente dalla sorella di Milano, ha dei colpevoli: i fascisti di Ordine Nuovo del gruppo veneto di Carlo Maria Maggi, con le solite complicità di organi dello stato, per esempio l'armiere di Ordine Nuovo che era anche una fonte del Sid, che dunque poteva sapere della bomba.
Tra il 1973 e il 1974, quando Ordine Nuovo viene messo fuori legge, l'area di cui parla Vinciguerra subisce un'ulteriore mutazione. La strage di Brescia matura in questo contesto, nel cuore di una destra radicale che indossa nuove maschere ma che ha sempre lo stesso scheletro. Una rete di ragazzi e di uomini ormai ben addestrati e pronti a tutto, perché non hanno davvero niente da perdere,e sono carichi di esplosivo fino ai denti.Hanno cominciato ad accumularlo fin dagli anni sessanta. Anfo, plastico, tritolo, gelignite, dinamite in pacchetti, cilindri, mattonelle, scaglie, granuli scuri, perle rosate, candelotti, trasportato in valigie, immagazzinato in santabarbare, garage, armadi, sottoscala, appartamenti, ristoranti, chili, quintali, tonnellate. Un fiume di esplosivo scorre per anni inosservato lungo la traccia pulsante di arterie nascoste che irrora tutto il paese, il vero granchio d'ombra, il più pericoloso.[Una stella incoronata di buio, Benedetta Tobagi Pagina 290 ]
Anche gli assassini di Walter Tobagi sono stati presi: il capo del gruppo XXVIII Marzo Marco Barbone, dopo essere stato arrestato, si pentì e raccontò ai carabinieri tutto l'organigramma delle cellule terroristiche di cui era a conoscenza e per questo fu salvato dalla condanna in processo.

Per non dimenticare: i nostri morti, la guerra asimmetrica combattuta contro il terrorismo, la nostra storia condizionata da fattori esterni.

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