Che significato ha oggi, celebrare una volta ancora la Festa della Liberazione, il 25 aprile? Me lo sono chiesto, oggi. Per darmi una risposta mi sono immaginato di svegliarmi un 25 aprile senza Liberazione.
Perchè dobbiamo ricordarci che, nella nostra storia c'è stato un prima e un dopo. Un prima dove governava un regime dittatoriale, senza partiti di opposizione. Che spiava, perseguitava, mandava al confine gli oppositori politici. Non dava tutele ai ceti deboli (qualche premio simbolico alle famiglie numerose), non garantiva un'istruzione libera per tutti; un regime dove non esistevano sindacati, non potevano esistere associazioni al di fuori del “partito”. Non esisteva nessuna voce critica.
Che questo regime fosse fascista, comunista, poco importa. Sempre un regime che ti tappa la bocca. Un regime che ti privava della libertà.
Sotto questo regime rischiavi di finire ad Auschwitz con la stella gialla se eri ebreo; con la stella rosa se omosessuale; con la stella rossa se comunista.
C'è stato un prima e c'è stato un dopo. C'è stata anche la guerra di Liberazione dal regime fascista, non dimentichiamocelo. Assieme all'esercito alleato (che in Italia perse migliaia di uomini e di cui per questo saremo sempre grati) altri italiani fecero la scelta.
Facile oggi scendere in piazza a sventolare la bandiera rossa: meno facile lo era allora.
E in molti fecero la scelta giusta. È il caso di ribadirlo, proprio oggi. Che, in quei mesi difficili, specie dopo il crollo del regime nel settembre 1943, ci furono persone che fecero una scelta giusta e altri quella sbagliata. Repubblichini e partigiani. Dobbiamo anche dire che morire per un ideale sbagliato non significa redimerli dalle loro colpe. Magari inconsapevoli.
Non tutti scelsero la lotta: alcuni rimasero a guardare, altri cercarono di aiutare chi combatteva come meglio poteva. Magari nascondendo un ebreo, un ricercato, un militare alleato.
Qualcuno di loro pagò con la vita questa scelta. Dallo scugnizzo Gennaro Capuozzo che a 12 anni scelse di imbracciare il fucile mitragliatore per scacciare i tedeschi da Napoli. Dai soldati della divisione “Acqui” che a Cefalonia decisero quale di non cedere le armi (e l'onore) alla Germania. Ma altre vittime innocenti ci ricordano il prima e il dopo: le vittime di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, Fivizzano, delle Fosse Ardeatine (10 italiani per un tedesco) ...
Anche grazie a loro c'è stata una lotta, una guerra civile (“Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione” come diceva Cesare Pavese), un dopo.
Un dopo nel quale non si è voluto fare una vera epurazione, una vera pulizia della burocrazia fascista nella macchina dello stato italiano: dalla polizia, all'esercito, ai magistrati.
Questo il peccato originale della nostra Repubblica: vergognarsi ogni 25 aprile di quella guerra di Liberazione.
Chiaro che, così stando, sia una ricorrenza che divide: chi rimane fascista (anche senza camicia nera) non può festeggiare.
A chi ha cercato, quando è andato al potere, di impostare un regime mediatico nel quale controllare informazione, bloccare l'azione della magistratura, fare leggi antidemocratiche, non c'è nulla da festeggiare.
A questa persona una canzone come “Bella ciao” sembra una canzone da cantare ad una delle tante veline con cui ama fotografarsi.
Eppure dovrebbe ricordarsi che, se oggi può odiare quelle bandiere rosse nelle piazze (mentre la guerra di liberazione abbracciava tutti i colori, anche quelli del vaticano per tutti i preti morti), se può gridare al lupo al lupo per la paura dei comunisti, se può dire che lui non scende in piazza “perchè è una manifestazione di parte”, è anche grazie al quelle persone che più di 60 anni fa fecero la scelta giusta.
Oggi ho aperto il giornale (il corriere): la notizia della Festa era a pagina 12, assieme alle polemiche sulla festa di parte, storia stravolta e altre palle ..
Ho acceso la televisone e sulla Rai le stesse tramissioni su vip, diete, paparazzate ...
Oggi mi è sembrato di vivere un 25 aprile senza. Ogni anno sbiadisce il ricordo, diventano sempre meno quelli che ricordano, che pur scendendo in piazza, si ricordano del prima e del dopo.
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