04 ottobre 2010

Presa diretta senzafabbriche – seconda parte

Se nella prima parte si è parlato dello stato delle imprese nel distretto di Reggio Emilia, nella seconda parte di Presa diretta - Senzafabbriche si è raccontato del nuovo fenomeno di emigrazione di imprese verso la Svizzera, delle aziende Fiat (Pomigliano, Melfi e Termini Imerese) e del più grande caso di licenziamento di massa della storia. Il taglio ai precari della scuola.

Imprenditori all'estero.
Parlando del caso delle viti Costato, Domenico Iannacone ha avuto modo di raccontare delle tante imprese che ha fatica cercano di mantenere la produzione in Italia.
La Costato, a Cinisello Balsamo, è passata da 20 ml di pezzi a 5 milioni: hanno dovuto abbandonare i nuovi capannoni (ora occupati da una lavandieria di proprietà di cinesi) per la vecchia sede. Un ridimensionamento di volumi dovuto alla crisi, al blocco dei fidi da parte delle banche che non si sono fidate e che ha portato a non far lavorare i propri dipendenti per mesi.
Perchè, spiegava uno dei proprietari, l'azienda si deve confrontare con concorrenti che anziché pagare stipendi da 1000 euro (+1000 per il welfare), ne pagano 200 (+200 per il welfare). Chi compra se ne frega se quei 1000 euro sono anche per il suo welfare e cerca solo il prezzo più basso.
Eppure l'azienda Costato ha molti brevetti alle spalle, ha saputo innovare: ma oggi lo stato sembra non essere interessato a che loro continuino a lavorare. “Per lo stato noi siamo come una banca, perchè anticipiamo le imposte”: questo succede in Italia, dove per timore delle tasse da pagare si rinuncia alle commesse.

Con questa situazione si prende in considerazione l'idea della delocalizzazione all'estero: senza andare troppo lontano. La Svizzera, come ha raccontato il servizio, sembra oggi molto interessata ad attrarre imprese e creare posti di lavoro.
L'ente economico svizzero ha contattato la Costato che, assieme ad altre migliaia di imprenditori si è riunita nell'associazione “Imprese che resistono”: ma fino a quando?

Il modello di sviluppo svizzero.
Iannacone ha seguito il “viaggio della speranza” da Torino verso il cantone Vallesse di una ventina di piccoli imprenditori: il funzionario che segue la programmazione economica del cantone, Lupper, ha accolto le persone “Benvenuti in Svizzera”, illustrando da subito i benefici che avrebbero avuto trasferendosi lì.
Un sistema di imposizione basso, servizi gratis del cantone per la compilazione dei documenti, la ricerca del personale. Soprattutto un'esenzione fiscale per l'assunzione di dipendenti: per 5 anni se si assume meno di 10 anni e di più man mano che si assume più persone. Una sola aliquota del 7,4%, per il resto.
L'affitto dei capannoni costa 2 euro al metro quadro; bastano 3 mesi per i permessi di costruzione (latro che gli anni che servono in Italia): parliamo di zone ex agricole vicino ad autostrade e ferrovie. Non come Melfi, sperduta nella Basilicata.
E così l'Italia rischia di perdere la propria eccellenza industriale a discapito di un concorrente, la Svizzera, proprio grazie alle politiche fiscali messe in atto. In Svizzera la volontà politica è quella di creare nuovi posti di lavoro sani, in proiezione futura (oggi il tasso di disoccupazione è del 3%).
In Italia invece, pare che non ci siano altre prospettive se non chiedere la cassa integrazione.
Diceva uno di questi, dopo aver visto le meraviglie svizzere: “ci stanno costringendo ad andarcene .. non hanno capito niente”.

Cosa ha atto il governo, se si esclude la Cassa integrazione (che però può essere considerata una misura a breve termine, in attesa di una ripresa che non ci sarà): la Tremonti ter è scaduta a giugno ed è durata un solo anno.
E ora?

Il caso Fiat.
Per tenere i posti di lavoro in Italia la Fiat di Marchionne ha creato una newco “Fabbrica Italia”, con un nuovo contratto, in deroga al contratto collettivo nazionale.
A Pomigliano ci sono 5300 dipendenti: nel 2010 han lavorato poco o nulla, e alla ripresa della produzione, a settembre, pochissimo operai avevano voglia di parlare con il giornalista di Presadiretta: c'è un clima di intimidazione e la gente ha paura di parlare, si sente dire, dopo il referendum dei mesi passati.
Referendum che ha portato ad una spaccatura tra i sindacati e tra i lavoratori (a tutto vantaggio dei falchi tra politici e imprese): “Abbiamo votato, sì, perchè abbiamo famiglia”. E come dargli torto?
La paura nasce anche dal fatto che non sanno cosa succederà con la newco: verranno assunti tutti o solo quelli che han votato in un certo modo? Sarà un'adesione spontanea o, come si è detto, con la pistola alla tempia?
Andrea Amendola della Fiom illustrava i motivi del no: in caso di violazione di uno dei punti dell'accordo, il lavoratore rischia una sanzione disciplinare. L'azienda può chiedere fino a 120 ore di straordinario senza passare per i sindacati (prima erano solo 40 le ore concordate). Finite le 7,5 ore alla macchina, gli operai potrebbero dover rinunciare alla pausa mensa per continuare il lavoro.

Anna Solimeno parlava della sua situazione di lavoratrice Fiat, mamma e moglie. Dopo la pubblicità della Fiat (con la voce di Tognazzi dove si parla degli investimenti e dell'aumento della produzione) ha scritto una lettera aperta ai figli: la realtà è che raddoppieranno gli utili ai vertici della Fiat, ma anche i carichi dei dipendenti, che rischiano di diventare schiavi moderni.
Schiavi di un mercato in enorme crisi: chi comprerà tutte le auto che si produrranno?
Può passare così una politica del ricatto?

I licenziamenti di Melfi.
Lo sciopero da cui è partita tutta la storia, è stato indetto perchè qui la gente lavora per 15 gg facendo la produzione del mese. Per i restanti 15 gg rimane in cassa integrazione.
Durante lo sciopero 3 operai delegati Fiom sono stati accusati di bloccare la produzione, di fare sabotaggio e dunque licenziati.
In primo grado sono stati assolti, ma l'azienda si è rifiutata di farli rientare al lavoro.
Anche qui le stesse scene: operai che non parlano. Qui le lettere di licenziamento sono state consegnate davanti a tutti, per dare un segnale. “Colpirne uno ...”. E il risultato è che i delegati che hanno firmato la lettera di condanna ai licenziamenti, oggi si rifiutano di rispondere alla giornalista Lisa Iotti.

Questo licenziamento viene vissuto come una lesione all'attività sindacale nell'azienda e come un voler ledere il diritto allo sciopero: oggi i 3 rischiano un procedimento penale.
Marco Pignatelli, Giovanni Barozzino, Antonio La Morte.
Tra 2 giorni, il 6 ottobre, inizierà il processo di appello, ma forse ci vorranno mesi per avere una risposta dalla giustizia.

Termini Imerese.
I 2000 lavoratori di Termini Imerese il lavoro l'hanno già perso: nonostante le rassicurazioni dell'ex ministro Scajola dell'inverno 2009, la Fiat ha deciso di chiudere entro il 2011. Una promessa da marinai, verrebbe da dire (essendo ligure …).
Oggi cui c'è rassegnazione e stanchezza perchè oltre la Fiat e le aziende dell'indotto non c'è nulla.
Perchè qui la Fiat ha distrutto anche il futuro: ha distrutto spiagge e coste; il porto costruito per nulla si inotra nel mare per un buon tratto. Porto inutile perchè la Fiat per mandare via le auto, si appoggia a Catania.
E se gli operai della Fiat sperano nella cassa integrazione, quelli dell'indotto temono di non prendere nemmeno quella: “quando ad una persona manca il lavoro, manca la dignità .. arriva la morte dentro, prima della morte fuori”.
Poi c'è il caso della Magneti Marelli, dove a perdere il lavoro sono state solo le donne cpn contratto a termine: “le donne in Sicilia non possono lavorare”.

Chi dovrebbe occuparsi dello sviluppo a Termini è Invitalia, affidata a quel Giancarlo Innocenzi che si è dimesso dall'Agcom ..
Ci sono alcune proposte: Einstein multimedia vorrebbe costruire qui degli studio televisivi.
Cimino vorrebbe costruire auto elettriche e creare stazioni di rifornimento nell'isola.
Rossignolo, l'imprenditore che ha rilevato De Tomaso e una parte degli impianti Pininfarina, vorrebbe costruire auto di lusso.

Il problema sono i tempi della politica, troppo lunghi: la lista degli investitori sarà consegnata non prima di novembre.

Il licenziamento di massa nella scuola.
160000 persone tra professori e personale tecnico, verrà licenziato dalla scuola.
I precari lasciati a casa hanno protestato: il 12 settembre hanno bloccato lo stretto a Messina, altri hanno fatto uno sciopero della fame.
Tutto inutile: i tagli ci saranno. E sarà un taglio al lavoro, un taglio alla qualità della scuola e un taglio all'economia: un danno sociale che si avvertirà nei prossimi mesi.
Eppure continueranno i finanziamenti alla scuola privata: forse, dietro il piano del ministro Tremonti c'è la volontà di tagliare la scuola pubblica, perchè capace di sfornare menti pensanti.
Dice il ministro Gelmini che “20000 precari sono troppi”: ma troppi rispetto a cosa, visto che è gente che lavorava prima?

In Italia abbiamo un problema di futuro, di lavoro, di coesione sociale: il rischio è che la tensione sociale non farà che aumentare.

Per fortuna oggi attorno ad un tavolo si siederanno i sindacati e i vertici di Confindustria.
Chiederanno alla politica una revisione dei meccanismi di tutela per chi non ha lavoro, della fiscalità e dello sviluppo.
Cosa risponderà la politica?

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