L'inchiesta storica de La grande storia, sul percorso che portò alla seconda guerra mondiale, ci da una motivazione in più per apprezzare la democrazie (e odiare le dittature) e diffidare di quei regimi che chiedono ai cittadini una delega in bianco sulle scelte di politica, le strategie, le diplomazie.
Le ricerche d'archivio, le lettere che gli ambasciatori francesi e inglesi si scambiavano con le capitali europee raccontano a noi oggi della difficoltà di Francia e Inghilterra nel comprendere le scelte del Duce. Scelte in politica estera che non condivideva con nessuno.
Mussolini il giocatore di poker, che inseguiva Hitler per cercare di tenerlo a freno (senza capire che anche la Germania avrebbe fatto di testa sua), ma anche per cercare reclamare gratitudine e meriti da Francia e Germania (per i confini dell'Italia, per il posto al sole).
Peccato che la posta in gioco era l'Italia e gli italiani.
Peccato che la guerra non la voleva nessuno: non la voleva Badoglio e i generali. Non la volevano i Savoia e nemmeno parte degli industriali italiani.
Non la volevano nemmeno alcuni gerarchi come Grandi (ambasciatore a Londra), Balbo (governatore in Libia) e alla fine anche Ciano arrivò a diffidare dei tedeschi. Non la voleva il Vaticano e la polizia.
Ma nessuno riuscì a fermare Mussolini, Hitler e il corso della storia.
La pace è una cosa troppo importante per delegarla a uomini che hanno in mano il potere assoluto.
L'inchiesta (consulente storico Valerio Castronovo, richerche d'archivio Mario Cereghino) ci racconta l'Italia (e dell'Europa) delle minacce roboanti (dal balcone di Palazzo Venezia) e degli accordi sottobanco (gli incontri con gli ambasciatori).
Delle promesse fatte senza poterle mantenere (e senza volerle poi davvero mantenere) come il patto d'acciaio, il trattato di Monaco, solo per acquisire prestigio.
L'Italia e l'Europa di ieri, che sono per molti versi l'Italia e l'Europa di oggi. Come la guerra in Libia testimonia.
Le ricerche d'archivio, le lettere che gli ambasciatori francesi e inglesi si scambiavano con le capitali europee raccontano a noi oggi della difficoltà di Francia e Inghilterra nel comprendere le scelte del Duce. Scelte in politica estera che non condivideva con nessuno.
Mussolini il giocatore di poker, che inseguiva Hitler per cercare di tenerlo a freno (senza capire che anche la Germania avrebbe fatto di testa sua), ma anche per cercare reclamare gratitudine e meriti da Francia e Germania (per i confini dell'Italia, per il posto al sole).
Peccato che la posta in gioco era l'Italia e gli italiani.
Peccato che la guerra non la voleva nessuno: non la voleva Badoglio e i generali. Non la volevano i Savoia e nemmeno parte degli industriali italiani.
Non la volevano nemmeno alcuni gerarchi come Grandi (ambasciatore a Londra), Balbo (governatore in Libia) e alla fine anche Ciano arrivò a diffidare dei tedeschi. Non la voleva il Vaticano e la polizia.
Ma nessuno riuscì a fermare Mussolini, Hitler e il corso della storia.
La pace è una cosa troppo importante per delegarla a uomini che hanno in mano il potere assoluto.
L'inchiesta (consulente storico Valerio Castronovo, richerche d'archivio Mario Cereghino) ci racconta l'Italia (e dell'Europa) delle minacce roboanti (dal balcone di Palazzo Venezia) e degli accordi sottobanco (gli incontri con gli ambasciatori).
Delle promesse fatte senza poterle mantenere (e senza volerle poi davvero mantenere) come il patto d'acciaio, il trattato di Monaco, solo per acquisire prestigio.
L'Italia e l'Europa di ieri, che sono per molti versi l'Italia e l'Europa di oggi. Come la guerra in Libia testimonia.
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