10 maggio 2011

Gioco sporco - il business delle scomesse e le mafie

Il giornalista Gianluca Ferraris, racconta in "Gioco sporco" [Baldini e Castoldi] in modo lucido e spietato, cosa si nasconde dietro il mondo delle slot machine, delle scommesse (non solo quelle clandestine) e dei videopoker.
Argomento affrontato recentemente anche da una inchiesta di Report: la legalizzazione delle scomesse è stata una manna per i concessionari, meno per i conti dell'erario. Stato che spesso nemmeno ha controllato chi fossero quei concessionari cui concedeva di riscuotere soldi. Un vero affare per le mafie, come racconta l'autore, nei due brani sotto.

Si parte dal business slot machine.
La seconda trovata governativa fu decisamente migliore, almeno dal punto di vista dell'ordine pubblico e dell'erario: legalizzare le slot da bar e tassare le puntate, collegando tutte le macchinette del paese a un cervellone che avrebbe monitorato i movimenti di denaro in tempo reale, obbligando chi le produceva e le gestiva a dotarsi di un'apposita licenza.
Con un semplice decreto i vodeopoker clandestini erano spariti di colpo, sostituiti da un mercato trasparente in mano ad aziende altrettanto trasparenti.
Era vero solo in parte, naturalmente. Perchè a Michele e a Zì Toni, il contabile della cosca, così come agli operativi di tutti gli altri clan coinvolti nel ricco business, era bastato darsi un paravento societario legale per continuare a controllare la distribuzione nelle zone di rispettiva influenza criminale. Gli esercenti non avevano batutto ciglio: prima trattavano con emissari della famiglia, ora con un concessionario regolarmente accreditato dai Monopoli. Ma sempre della stessa persona si trattava. Certo, ora gli apparecchi erano controllati a distanza, le somme scomesse dai giocatori incalliti che continuavano ad affollare bar e sale giochi venivano quasi dimezzate dal prelievo fiscale e gli incassi malavitosi scendevano.
Però, anche in questo caso, la criminalità organizzata aveva predisposto le sue contromisure: era sufficiente scollegarsi per qualche ora dal terminale di Roma, facendo in modo che le slot risultassero spente mentre continuavano a macinare puntate, stavolta solo a beneficio dei gestori. Sparire dai radar non era difficile, grazie ad un gingillo ribattezzato 'scheda doppia', installato nel doppio fondo delle macchinette, che permetteva di connetterle e disconnetterle dalla rete fiscale premendo un semplice pulsante.
Passavano gli sbirri? Un clic e via. Macchine ufficialmente accese.
Le puntate iniziavano a superare la media giornaliera? Un clic e via. Macchine ufficialmente spente.
I monopoli spedivano un fac chiedendo chiarimenti? Un altro clic, accese.
Servivano soldi? Un clic ancora, spente.
Clic, clic, clic, clic. altri miliardi nelle tasche di clan.
[Gioco sporco, pagine 104-105]


Per passare poi ai siti di poker online.
"Se la gente vuole giocare così, facciamola giocare così", era stato più o meno il ragionamento. Avevano avuto ragione, ancora una volta. Aprire un sito di poker o di scommesse, in fondo, è come mettere in piedi qualsiasi altra azienda paravento. Certo, servivano una licenza rilasciata da chi di dovere, il certificato antimafi e quaoche nullaosta di pubblivca sicurezza. Ma quelli erano necessari anche quando si aveva a che fare con i cantieri pubblici: tutti settori nelle quali le mafie investivano e proliferavano da anni, se non da decenni. Quindi, che problema c'era?
Detto fatto. I Mazzafero [una ndrina di Lamezia, nel libro], come molti altri clan. avevano creato la loro brava società veicolo attraverso cui dare vita a un nuovo sito di skill gaming, cisì si chiamava in gergo, perfettamente legale e uguale agli altri che si contendevano quel ricco mercato. Con la differenza che adesso, proprio come accadeva con bar e ristoranti, avevano anche loro a disposizione un nuovo canale per il riciclaggio. Bastava che un affiliato o un debitore della cosca, invece di versare denaro contante o ricorrere a trangolazioni di assegni o complicati bonifici, caricasse i soldi su una carta prepagata e li puntasse online. Ovviamente perdendo, a tutto vantaggio dei gestori del sito, che su ogni mano di poker vinta dal banco pagavano le tasse e si mettevano in tasca il resto dei soldi. Finalmente puliti e difficili da tracciare.
Senza contare gli incassi assicurati dai giocatori qualunque: gente comune che si connetteva ogni sera dal pc di casa, o durante la pausa pranzo d'ufficio, per puntare pochi euro concedendosi qualche minuto di svago tra fulle scale reali, certi ignara di trasformarsi in quel modo in un finanziatore più o meno occulto della 'ndrangheta.
[Gioco sporco, pagina 114]

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