08 gennaio 2012

A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia

L'incipit:
La lettera arrivò con la distribuzione del pomeriggio. Il postino posò prima sul banco, come al solito, il fascio versicolore delle stampe pubblicitarie; poi con precauzione, quasi ci fosse il pericolo di vederla esplodere, la lettera: busta gialla, indirizzo a stampa su un rettangolino bianco incollato alla busta.
- Questa lettera non mi piace – disse il postino.
Il farmacista levò gli occhi dal giornale, si tolse gli occhiali; domandò – Che c'è? – seccato e incuriosito.
- Dico che questa lettera non mi piace. Sul marmo del banco la spinse con l'indice, lentamente, verso il farmacista.
Senza toccarla il farmacista si chinò a guardarla; poi si sollevò, si rimise gli occhiali, tornò a guardarla.
- Perché non ti piace?

- E' stata impostata qui, stanotte o stamattina presto; e l'indirizzo è ritagliato da un foglio intestato della farmacia.

- Già – constatò il farmacista: e fissò il postino imbarazzato e inquieto, come aspettando una spiegazione o una decisione.

- E' una lettera anonima – disse il postino.

- Una lettera anonima – fece eco il farmacista.”


Questo l'inizio del romanzo di Leonardo Sciascia, che si apre però con le parole di Poe:

"Ma non crediate che io stia per svelare un mistero o per scrivere un romanzo".



Come un voler suggerire al lettore che la tecnica del giallo è soltanto un pretesto e lo si capisce leggendo il libro: non è la soluzione del delitto quello che conta, ma la rivelazione in questo caso, del funzionamento del meccanismo socio politico economico che coinvolge non solo la Sicilia ma tutta l'Italia.

Giallo come strumento di riflessione che porta il lettore a scoprire l'ingranaggio del potere, per una presa di coscienza dei problemi della Sicilia di allora, della Sicilia di oggi. E, grazie alla salita della linea della palma (come racconta ne “Il giorno della civetta”), dell'Italia di oggi.



Il delitto dunque.

In un paesino della Sicilia, una lettera anonima annuncia la prossima morte al farmacista Manno. Questi, incurante della minaccia (pensando che si tratti di uno scherzo), viene in seguito veramente ucciso durante una attuta di caccia, assieme al dottore Roscio.
Le indagini prendono subito la pista passionale: Manno sarebbe stato ucciso per colpa di una delle sue scappatelle, magari proprio con una delle clienti della sua farmacia, e il povero Roscio avrebbe avuto solo la colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma, dietro una delle parole, incollate al foglio per la lettera anonima, si legge una parola precisa “UNICUIQUE”. E la prima parte del motto latino che campeggia su tutte le copie dell'Osservatore Romano.

Da wikipedia
La locuzione latina unicuique suum è la rielaborazione del suum cuique tribuere (in italiano: dare a ciascuno il suo), uno fra i principali precetti del diritto romano. È riscontrabile in Ulpiano, in un frammento della sua opera conservatoci attraverso i Digesta giustinianei.

In italiano deve essere tradotto come "a ciascuno il suo", ovvero a ciascuno sia dato quanto gli è dovuto.
Questa locuzione è uno dei due motti che aprono la prima pagina dell'Osservatore Romano. L'altro è non praevalebunt.

Chi ha scritto quella lettera ha dunque utilizzato l'Osservatore Romano: è questa la pista che il professor Laurana, insegnante di liceo a Palermo e amico di Roscio (sebbene non intimo), segue per una sua indagine privata, per scoprire da solo la verità sul duplice delitto. Quella verità che, forse, né gli inquirenti, né i paesani vogliono trovare veramente.
Una verità che ha che fare con un gruppo politico affaristico che ruota attorno al cugino della moglie di Roscio, l'avvocato Rosello, notabile democristiano , nonché nipote dell'arciprete del paese.

Una persona potente, come gli racconta anche un altro prete, il parroco di Sant'Anna (“un cretino, non privo di astuzia”), con le mani in pasta in molte aziende e banche del posto. Politico accorto che guarda a destra ma anche a sinistra (“abbiamo rosicchiato per vent'anni a destra, ora è tempo di cominciare a rosicchiare a sinistra”, così spiega a Laurana la sua visione politica, siamo negli anni del primo centro-sinistra di Moro).

Laurana, nella sua indagine, portata avanti quasi più per vanità che con vera convinzione, incontra il padre di Roscio, oculista famoso, che gli confida le sue remore, nel matrimonio del figlio, perché sarebbe entrato in quella famiglia di cattolici:

Cattolici per modo di dire, mai conosciuto in vita mia, qui, un cattolico vero: e sto per compiere novantadue anni... C'è gente che in vita sua ha mangiato magari una mezza salma di grano maiorchino fatto ad ostie: ed è sempre pronta a mettere la mano nella tasca degli altri, a tirare un calcio alla faccia di un moribondo e un colpo a lupara alle reni di uno in buona salute.

Non importa raccontare come finisce la storia: quello che importa è il contesto che Sciascia racconta di quella Sicilia. Il modo di vivere e sentire siciliano, sulle donne, sulla vita, sui legami familiari, sulle conversazioni al circolo. Come negli altri romanzi “gialli” di Sciascia, anche questi delitti sono destinati a rimanere impuniti, pur essendo anche qui chiarissimi chi siano gli assassini.

Assassini, intrallazzatori, omertà e paura, giochi di potere che invischiano assieme politica, chiesa e affari.
Dove chi, per dovere (come il capitano Bellodi ne Il giorno della civetta” o l'ispettore Rogas ne Il contesto), per curiosità (come il pittore investigatore di Todo Modo) compie il suo sforzo nella ricerca della verità, è destinato a fallire. Per finire deriso, come capita nelle ultime righe del libro al professor Laurana, in quel modo cinico e spietato “Era un cretino!”: tre parole che raccontano bene e profondamente allusivo del clima di omertà a cui il professore è venuto ingenuamente meno, sia dell'impossibilità di una iniziativa individuale di lotta e riscatto. 
“Questa specie di nave corsara che è stata la Sicilia, col suo bel gattopardo che rampa a prua, coi colri di Gottuso nel suo gran pavese, coi suoi più decorativi pezzi da novanta cui i politici hanno delegato l'onore del sacrificio, coi suoi scrittori impegnati, coi suoi Malavoglia, coi suoi Percolla, coi suoi loici cornuti, coi suoi folli, coi suoi demoni meridiani e notturni, con le sue arance, il suo zolfo e i suoi cadaveri nella stiva: affonda, amico mio, affonda .. E lei ed io, io da folle e lei forse da impegnato, con l'acqua che ci arriva alle ginocchia, stiamo qui ad occuparci di Raganà: se è saltato dietro il suo onorevole o se è rimasto a bordo tra i morituri.
- Non sono d'accordo – disse Laurana.- Tutto sommato nemmeno io – disse don Benito”.


Da questo libro Elio Petri ha tratto un film “A ciasuno il suo” del 1967, con protagonista il grandissimo Gian Maria Volontè e Irene Papas, nei panni del professor Paolo Laurana e Luisa Roscio.

La scena dell'incontro con l'amico politico, che aveva incontrato Roscio prima della sua morte:


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