09 gennaio 2012

Presadiretta - fratelli tunisini

Un anno fa scoppiava la rivolta in Tunisia contro il governo Ben Alì: era l'inizio della primavera araba che avrebbe portato alla fine dei regimi nordafricani.
Ben Alì sarebbe scappato in Arabia, Gheddafi ucciso dopo la cattura, Mubarak deposto dai militari e processato.

Presadiretta è andata in Tunisia, per raccontare la Tunisia sotto il regime della famiglia allargata del presidente Ben Alì (grande amico delle democrazia occidentali, in special modo dell'Italia), e per raccontare la Tunisia di oggi.
Ieri sera è andata in onda la cattiva coscienza di noi italiani: che tanti abbiamo fatto per la dittatura di una famiglia che controllava tutta l'economia del paese e che così poco stiamo facendo (in termini di aiuti economici) per il nuovo corso democratico del paese.

La famiglia Ben Alì-Trabelsi controllava radio, televisioni, contrabbando (di sigarette per esempio), pesca, voli aerei. Il regime metteva le mani su tutti gli aiuti internazionali, dall'Europa:
tutti soldi depretati al popolo tunisini dalle voraci mani del regime.
Quartieri abbattuti per fare spazio a nuovi palazzi, sempre per mostrare lo sfarzo e la ricchezza di questi moderni satrapi nordafricani.

Palazzi dove alla fine, con la rivoluzione, sono stati trovati gioielli, mazzette di soldi (le banconote da 500 euro!!) e documenti che raccontano di come l'ex governo avesse le mani su tutta l'economia.

Regime che avremmo creato noi, con l'aiuto del Sismi
(come avvenuto anche per Gheddafi): questo racconta oggi l'ex ministro degli interni tunisino.
"Ben Alì era la spia al servizio degli occidentali" dice una nota della Cia: e viene da crederci, viste che sia l'Italia che l'Europa non hanno saputo o voluto vedere la corruzione, che i soldi dati alla Tunisia (soldi nostri) finivano nelle mani sbagliate.


E oggi, dopo tutti i milioni dati a Ben Alì, al nuovo governo abbiamo promesso solo soldi sulla carta. Ora che la Tunisia, come la Libia non serve più per contrastare i flussi migratori (o le minacce del terrorismo), non ci interessa più seguire la rinascita di quel paese.
Alle prese con i problemi che ogni fine di regime si porta dietro: disoccupazione, lavoro che non c'è, miseria, gente che arriva nella capitale dalle periferie.
E poi c'è il problema dei ragazzi venuti in Italia, per sfuggire al regime, in cerca di un futuro migliore: di molti non si niente. Di quelli che abbiamo accolto nei centri di accoglienza, sappiamo bene come sono stati trattati.

Come criminali.
Ancora non abbiamo capito, come europei, quanto sarebbe invece importante investire in una crescita di questi paesi che si affacciano sul nostro stesso mare. Ancora facciamo fatica a comprendere, anche per la nostra mentalità coloniale, quale sia il nostro debito con le popolazioni libiche, tunisine, egiziane.
Noi che abbiamo flirtato con i rais, stretto accordi con le dittature, in cambio dei respingimenti, per la nostra tranquillità domestica.

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