22 gennaio 2012

Il male quotidiano di Massimo Gardella

Un giallo anormale : anormale per l'ambientazione, la provincia pavese e non una grande metropoli, e per il protagonista, l'ispettore di polizia Remo Jacobi. Un poliziotto, di origini romene per parte di padre, che per delle vicissitudini che si scoprono man mano nel libro ha abbandonato l'idea di combattere il male nel mondo.
Male che si identifica nel caso che ora deve affrontare: il ritrovamento del cadavere di una bambina di cinque anni, uccisa e fatta a pezzi, dentro lo stomaco di un pesce siluro

"Un pesce siluro di almeno tre metri che un gruppo di canottieri aveva trovato morto, a pancia in sù nel fiume, e dalla cui bocca spuntava la mano di un bambino"
pagina 16
Un caso assolutamente insolito, che potrebbe accendere sul piccolo commissariato di provincia le luci della cronaca, con tutti i problemi che comportano in genere ma anche con la possibilità di acquisire notorietà per la propria carriera. Tutto questo se l'ispettore non si chiamasse
Remo Jacobi, separato dalla moglie, che vive assieme al vecchio padre Johan:
"Jacobi era convinto che la realtà di tutti i giorni fosse sempre più contaminata da un universo alternativo di orrore puro. Contagiava ogni cellula di umanità rimasta nell'ordine naturale delle cose. Il vizio ormai consolidato di accostare il sangue all'ambrosia nella più totale indifferenza: unico vaccino universale , forse l'unica forma di salvezza possibile. Per questo aveva senso rifugiarsi nella finzione, a volte persino orchestrata e consapevole, di una vita parallela: forse passata, o forse mai vissuta. Era necessario, anzi. Per adattarsi e quindi sopravvivere, dimostrando di essere davvero una specie intelligente. Jacobi ne era convinto, il male aveva vinto, non c'era bisogno di girarci intorno. Era imbattibile. L'ispettore sentì bussare alla porta del cervello la parola che negli ultimi tempi, ormai diversi anni, condensava il significato di quella specie di mondo parallelo in cui viveva. Un semplice avverbio interrogativo, che racchiudeva il non-senso dei suoi rapporti col genere umano e i suoi bizzarri costumi. Perché?"
pagina 25
Per sopravvivere al proprio
“male quotidiano”, Jacobi si era costruito una propria vita parallela, lontano dai casi e dal dolore: casi che lasciava affossare prendendo per le lunghe le indagini, in attesa che l'attenzione su di essi si stemperasse. Una vita lontano dalle relazioni, lontano dagli uomini, lontano dalla vita:
"Che compito era quello di risolvere la follia collettiva? Forse non il suo, stabilì Jacobi nel tripudio di clacson e incroci occlusi da veicoli e pedoni. Allora lasciamo che questo orrore ci inondi, pensò sconfitto, per farlo scorrere e prima o poi si esaurirà. O forse no. Remo Jacobi era un ispettore di provincia, non aveva l'ambizione del vendicatore, per lui in alcune occasioni era meglio osservare il male dopo che si era manifestato. Non per codardia, ma perché era così esagerato da essere inutile, e impossibile da «curare» perché privo di qualsiasi senso."
pagina 65
Ma nonostante questo scudo, non riesce a sottrarsi agli incubi marini, che il cadavere della bambina fa crescere nella sua mente. D'altronde l'acqua e la morte dentro l'acqua hanno nella sua storia un ruolo importante, ma anche questo lo scopriremo solo in là nella storia.

L'indagine lo porta a scoprire un giro di pescatori del pesce siluro, più o meno abusivi: pescatori che arrivano dall'est dell'Europa e anche imprenditori che affittano bungalow a pescatori in vacanza sul fiume e forse anche per altro. 
Ma, soprattutto, un traffico di minori, per i più turpi dei reati, che ha radici che arrivano fino alla missione di pace in Somalia (l'ossimoro dietro cui la nostra ipocrisia nasconde altri interessi meno nobili) e ad altre missioni di soccorso:

"Con la scusa delle missioni di soccorso, nascosti tra veri operatori umanitari di ONG e fondazioni filantropiche di tutto il mondo, c'erano anche trafficanti di bambini e schiavisti assortiti. Con le loro guardie del corpo e mercenari, di cui faceva parte anche lui. Per loro, il cataclisma era stato una manna."
pagina 222
Traffico che vede coinvolti ex militari italiani e mercenari dell'est, provenienti dai teatri di guerra, riuniti attorno una strana sigla Baba Jaga, la strega cattiva delle favole russe.

Jacobi, con l'aiuto del vice Borghesi e di una giornalista Barbara Moroni, si metterà sulle tracce di questi traffici: un modo per affrontare i fantasmi del proprio passato. Ma non aspettiamoci lieto fine, per questa storia torbida come l'acqua di un fiume può esserlo.

Qui potete leggere un estratto del libro

«Ciao, tata.»
Johan ricambiò mugugnando mentre leccava la cartina per sigillarla. «Vuoi un caffè?»
«Non ho tempo.»
Infilò la sigaretta tra le labbra, poi la accese con uno svedese da cucina, stringendo il fiammifero tra le dita screpolate da più di sessant'anni di lavoro nei cantieri, segnate dalla calce e ruvide come la pellaccia di uno squalo.
Jacobi aprì il frigorifero e si versò un bicchiere di succo di pompelmo, buttò dentro una dose abbondante di zucchero e lo mandò giù d'un sorso.
«La pillola non la prendi?» Johan indicò con uno sbuffo di fumo una confezione di medicinali sul banco della cucina.
«Dopo. Ora devo scappare.» Jacobi raccolse da una ciotola di legno le chiavi dell'auto e aprì la porta della cucina che si affacciava sul cortile. Vivevano in una cascina che il padre aveva rimesso in sesto nell'arco di trent'anni, e dove lui aveva vissuto fin da ragazzino. C'era tornato dopo il divorzio da Monica. Ora lui e Johan si facevano compagnia a vicenda, e Remo si sentiva più vicino all'età morale del padre che ai suoi effettivi cinquant'anni. Tra lui e il vedovo Johan si era instaurato un rapporto che andava oltre il legame di sangue, erano compatibili a livello più emotivo: entrambi soli, a loro modo tacitamente disperati per quelle assenze che un tempo avevano impreziosito la loro esistenza.
«Ti chiamo più tardi.» Remo salutò il padre dalla soglia. Johan sorrise a labbra strette, per Remo era come un vecchio cane lupo che sa di essere amato e accudito. Il figlio faceva un lavoro di merda, proprio com'era stato il suo, e con la stessa dedizione e caparbietà. Era l'unica cosa che sapesse fare, ed era bravo a farla. Non eccezionale, ma capace. Erano tutti e due uomini semplici, onesti. Gran lavoratori.
«Copriti che fuori fa fresco» lo avvisò inutilmente Johan. Dopo due terzi della sua vita su suolo italiano, Johan non aveva ancora del tutto perso una vaga ma inequivocabile inflessione rumena, che a suo modo lo rendeva esotico.
Remo annuì e chiuse la porta alle sue spalle.
Per fortuna Johan non gli aveva chiesto il perché della sua uscita mattutina, di certo non così usuale come ci si aspetterebbe da un ispettore della polizia criminale. Remo non aveva mai mentito ai genitori, e non avrebbe saputo come mascherare la notizia. Un pesce siluro di almeno tre metri che un gruppo di canottieri aveva trovato morto, a pancia in su nel fiume, e dalla cui bocca spuntava la mano di un bambino.


La scheda del libro su Guanda

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