Non siamo più ai tempi del Libano e del Dandi, anche se la loro
memoria ancora rimane, nelle cronache delle strada, dove i loro nomi
sono ancora ricordati dai pischelli ma anche dai nuovi capi della
città.
Siamo
negli ultimi mesi del governo Berlusconi, nella fine estate inizio
autunno del 2011, anno in cui per la crisi economica, combattuta a
colpi di spread, l'Italia passò da un esecutivo politico ad uno semi
tecnico.
Se gli anni sono passati, non lo sono i potenti che
comandano veramente sul cupolone: mafia, camorra, ndrangheta, alleate
con gruppi vicini all'estrema destra, in una nuova e inedita
federazione. I semi della banda della Magliana sono ora tutti
germogliati.
Non è più il controllo delle strade, per il
traffico di stupefacenti (che rese ricca la banda del Libanese e i
suoi federati): qui in ballo c'è un nuovo progetto edilizio.
Il Waterfront:
Municipio XIII. Cooperativa sociale di interesse
pubblico. Concessione demaniale n. 24 - 8 maggio 2007 per esclusivo
uso arenile a beneficio di infanzia, minori e diversamente abili".
Handicappati e regazzini, seeh! Cooperativa, seeh!Con gli arenili non si scherzava. Quegli ottocento
metri di spiaggia chiusi a nord dal frangiflutti del porto turistico
valevano oro. Oro. Come ogni metro di spiaggia da Ponente ai cancelli
di Capocotta. C'era o no una buona ragione per cui, a Levante,
l'ultimo stronzo cacciava ormai fino a sei milioni di euro per una
concessione triennale? C'era o no una cazzo di ragione per cui la
spiaggia di Ponente doveva essere dei padroni di Ponente? Semo o no
padroni a casa nostra? C'era o no un motivo per restare afferrati a
quella spiaggia, come a un tesoro?C'era, c'era, altroché se c'era.Il Waterfront, gli aveva spiegato un giorno il
Samurai, sorridendo.
- Ostia sarà il Waterfront di Roma. Boardwalk
Empire. Atlantic City, Italia. Pensa, prova a pensare. Sforzati di
elevarti dal marciapiede, ogni tanto. Almeno qualche centimetro. So
che per te è quasi impossibile, ma provaci. Non dico sempre. Qualche
volta.- Uoter de che? - aveva rinculato lui, che a
stento parlava l'italiano, figurarsi l'inglese.Il Samurai, come faceva sempre, lo aveva guardato
con un tratto di compassione, rapidamente scolorita in una smorfia di
disgusto. E aveva tradotto come si fa con gli analfabeti.- Casinò, alberghi, ristoranti, palestre,
yacht, negozi. Questo significa Waterfront, sottocorticale che non
sei altro.Ernummerootto era permaloso come una scimmia. Un
matto che prendeva fuoco per niente. Ma aveva abbozzato per il
rispetto che doveva. E per il grano che quella roba prometteva.
"Pensa, zi', stavolta il regalo te lo faccio io", si era
scaldato a colloquio in carcere con Nino, ripetendo come un
pappagallino quella parola che non capiva, uoterfront.Pagina
55-57
Attorno
a questo mega progetto edilizio, le bande di Roma: quella degli
Anacleti, zingari che comandano sulla Romanina: Rocco Anacleti e i
suoi scagnozzi, Paja e Fieno
“Riconobbe la BMW cabrio nera ferma
all'incrocio con via delle Capannelle. La coda di cavallo bionda di
Paja e i capelli neri rasati alla nuca di Fieno. Erano due cani
rabbiosi che non arrivavano ai venticinque. Più giovani di lui di
qualche anno. Due merde pippale fino al midollo. E come lui cresciute
a Cinecittà. Avevano cominciato con le pasticche ai ragazzini,
quando comandavnao i napoletani. Poi si ernao messi a scodinzolare
con gli Anacleti,la dinastia di zingari antica come il Colosseo che
spingeva ogni singolo grammo di coca e hashish fra Tor Bella Monaca e
piazza Tuscolo. Fra il Casilino, Cinecittà e l'Appia. Gente seduta
su una montagna di grano, che di gitano conservava solo la storia,
qualche pagliacciata in costume, i matrimoni esagerati, l'avidità e
una caterva di figli, cugini e nipoti iscritti con lo stesso nome
all'anagrafe.Rocco Anacleti. Il padrone di Paja e Fieno. Il
padrone di Max.”
Alleati
agli Anacleti gli Adami, la famiglia che comanda su Ostia e che
controlla le concessioni demaniali dei lidi: Ernummerootto è
l'ambizioso capo:
“Va bene, Nino e Libano si erano apparati e gli
Adami erano sopravvissuti anche alla banda. Libano era morto. Dandi
era morto. Zio Nino aveva messo i capelli bianchi e, nel vuoto, era
rimasto il solo padrone del litorale. Coca, hashish, eroina. «Tutti
avevano da passà sotto la cappella de zietto». Napoletani,
siciliani, calabresi.[..] Comunque Adami, Sale, Anacleti, mica cazzi.
Il capolavoro di zio Nino. Tre famiglie e mezza Roma in saccoccia. Da
est a ovest. Appio, Tuscolano, Cinecittà, Quadraro, Mandrione,
Casilino, di là. Eur, Axa, Infernetto, Casalpalocco e Ostia, di qua.
Ventotto chilometri di raccondo anulare che sembravnao la corona di
una regina. Certo, zio non se l'era potuta godere fino in fondo.
Stava a bottega da cinque anni, ormai. Associazione a delinquere e
traffico di stupefacenti. Ma doveva stare tranquillo. Ormai ci
pensava lui, Ernumerootto”.Pagina 39
Sopra
a tutto e tutti, il Samurai,
reduce della generazione che voleva fare la rivoluzione fascista
negli anni '80:
“Il Samurai aveva cinquantadue anni, era alto,
con i capelli grigi cortissimi. Vestiva sempre con eleganza sobria,
il suo colore preferito era il nero. Amava indossare, sotto le
giacche di Kiton, magliette stretch che mettevano in risalto una
muscolatura agile e naturale. Non pippava coca, non fumava sigarette,
e soltanto in rare occasioni si concedeva un dito di whisky di puro
malto.Il Samurai non era schiavo di niente e di nessuno.
Il
Samurai non si lasciava controllare da niente e nessuno.
Era lui a
controllare ogni cosa. Era lui il padrone.
Era cresciuto nel mito
della rivoluzione nazionale fascista, si era fatto le ossa picchiando
i rossi al liceo, era passato alle rapine per finanziare il gruppo,
aveva vagheggiato il colpo di stato, la presa del potere, lo
sterminio degli ebrei e dei comunisti. Un giorno vie morire il suo
migliore amico sotto il piombo delle guardie. Lui stesso si salvò
per miracolo.”
Da rivoluzionario mistico, il Samurai si trasforma in delinquente
di strada per finanziare il suo gruppo, ad alleato della banda del
Libanese, dopo l'incontro con Dandi in cella, che gli apre gli
occhi sulla realtà, come vanno le cose a sto mondo:
-
Vabbè, è chiaro. Dunque tu te voi ammazza' perché 'sto mondo de
merda nun te merita.Il Samurai annuì: sintesi rozza, ma, doveva
ammetterlo, efficace.- Lo sai chi me sembri? Uno di quei giapponesi dei
film .. quelli con la spada curva ce stanno sempre a pensà a come
spaccare la testa a qualche nemico, magari pe' qualche questione
d'onore .. come si chiamano, dài, aiutami ..- Samurai.- Ecco, bravo. Lo sai chi sei tu? Sei un Samurai
del cazzo. E scusa se te lo dico, ma tanto, visto che ti devi
suicidà, parola più parola meno .. ma sembra proprio che non hai
capito proprio come vanno le cose a 'sto mondo.- E chi mo lo
dovrebbe spiegare, tu?- Guarda, bello, fai come te pare. Ma dimme
'na cosa: ma tu t'ammazzi , e te pare che al mondo gliene po' frega'
qualcosa?Ma scusa, sai, non te se filavano quando facevi il
rapinatore politicizzato, vòi che se mettono paura per un cadavere?
[..]– A te te ce rode perché dici che il mondo te l’ha messo
al culo. E tu ripagalo colla stessa moneta. Fottilo. Fottili tutti.
Vedrai come te senti mejo, dopo. Proprio come dopo una bella scopata,
damme retta, a’ Samurai.Chissà. Forse il Dandi aveva ragione.
E forse nelle sue parole c’era piú verità che in tutti i libri
che gli avevano acceso la mente, quando aveva deciso di abbandonare
la strada maestra tracciata per lui dai genitori, la laurea, lo
studio legale del padre che era stato del nonno, e prima ancora del
bisnonno, e prima ancora...O forse, semplicemente, Dandi gli
aveva detto ciò che lui voleva sentirsi dire.Il suicidio
venne accantonato. Dandi e il Samurai lasciarono insieme il
penitenziario di Regina Cœli.Il Dandi lo presentò ai suoi
amici.Il Samurai entrò nella banda.Roba di un altro
tempo.Il Dandi era morto.Il Libanese era morto.Tanti
altri erano morti, qualcuno era diventato infame, qualcuno si
faceva la galera in silenzio, sognando di ricominciare, magari con un
lavoretto senza pretese.Il Samurai era ancora là. L’antico
nome di battaglia denunciava ormai soltanto sogni abbandonati. Ad
affibbiarglielo era stato il Dandi, ma lui aveva cercato di esserne
degno.E il potere, quello, era concreto, vivo, reale.Il
Samurai era il numero uno. Pagina 87
Ma il
potere della strada è niente senza gli appoggi giusti e a Roma
questo significa due cose: il palazzo, ovvero la politica, e il
Vaticano, che significa una via facile per il riciclaggio (grazie ai
conti segreti dello IOR) e una copertura religiosa ai piani di
speculazione.
A fianco di ex terroristi, di camorristi, usurai e
spacciatori, per completare l'affresco di una capitale malata e
corrotta, il politico di turno, Pericle Malgradi.
Colui che in
Campidoglio porterà avanti le leggi per il progetto edilizio
Waterfront.
Cattolico di giorno, uomo di sani valori cristiani,
famiglia e lavoro, prima di tutto. Cocainomane e puttaniere di notte.
La benedizione da oltre Tevere arriva grazie al vescovo
monsignor Mariano Tempesta (e il fido braccio destro Benedetto
Umiltà), uno di quelli che grazie al ruolo di responsabile dei beni
della Santa Sede, ha saputo coltivare i giusti rapporti con
politicanti, palazzinari, prestasoldi a strozzo e baciapile vari. E
con qualche procacciatori di giovinetti per dei trastulli
notturni:
Noto ai locali di San
Giovanni in Laterano come Satanella, Francesco aveva il compito di
selezionare il collocamento dei giovani segnalati alla benevolenza di
Tempesta [il vescovo]. Alla Rai, come nelle grandi partecipate del
Tesoro: Finmeccanica, Eni, Enel. Si favoleggiava di provini durante
indimenticabili serata in uno scannatoio a due passi da piazza
Navona, di proprietà di una confraternita vaticana, di cui, oltre al
monsignore, era assiduo Benedetto Umiltà. Si vociferava pure di una
sorta di giuramento di sangue che legava per la vita quel germoglio
di classe dirigente ora concentrata sulla terrazza dell'hotel.pagina 339
Amen.
In
questo romanzo non mancano i buoni: hanno il volto dello Stato, nella
persona del colonnello del Ros Marco Malatesta. Una testa dura, che
pure è cresciuto nel gruppo dei ragazzini educati dal verbo
fascistoide del Samurai. Ma che ha saputo sottrarsi in tempo alla
seduzione della sua parola.
“Zecche e
zammammeri. Lo stesso linguaggio di Spartaco Liberati. La stessa
cultura. La stessa paura. L'arma si apprestava a festeggiare il
bicentenario. E ancora non riusciva a liberarsi dei miserabili come
Terenzi [maresciallo della stazione di Ostia].E il guaio è che
in tanti, troppi, continuavano a pensarla come Terenzi. Zecche e
zammammeri. E tutto il resto va ben, madama la marchesa. Magari
avevamo modi più sofisticati per fartelo capire, ma la cultura era
quella. Una cultura putrida e tenace, dura a morire. Marco la
conosceva fin troppo bene. Perché per anni era stata la sua. E a
volte Marco doveva fare appello a tutte le sue risorse della propria
fede per non soccombere. Perché c'era un altro pensiero che lo
agitava. Che i miserabili fossero in realtà la maggioranza, e lui, e
pochi altri, un'esigua minoranza. La faccia pulita che ostentavano
nelle cerimonie ufficiali e che scansavano a spintoni quando il gioco
si faceva duro.Ma non doveva cedere al pessimismo. Di pessimismo
si può solo morire. Marco era sempre più convinto di avere nesso il
dito nella piaga. Una piaga virulenta che infettava Roma. È da qui,
da questo avamposto governato da un milite da operetta, sicuramente
infedele, probabilmente corrotto, è da qui che si deve operare per
arginare il contagio. Sempre che non sia troppo tardi. ”pagina
142
Ma tra i i
buoni, o forse sarebbe meglio dire, i ribelli a questo sistema
criminale, ci sono anche i ragazzi della
“società civile”. Come
Alice Savelli, una che sul proprio blog denuncia quello che succede
nei quartieri nelle mani delle bande. Come il pestaggio da parte
degli Anacleti
di un artigiano iraniano, che voleva essere semplicemente pagato
(chiara l'ispirazione ad un episodio realmente avvenuto).
Le
istituzioni nella forma del colonnello dei carabinieri, e i giovani
ribelli come la blogger Alice: saranno loro che cercheranno di
sciogliere questa matassa criminale dove il male non si nasconde solo
tra le bande, ma anche dentro le stesse istituzioni. Quelle che
dovrebbero combattere mafie e spacciatori. Politici ricattati per i
loro vizi. Magistrati buoni solo a chiudere un occhio, o meglio due,
sui morti per strada, per derubricarli al limite per episodi
sporadici (perché a Roma, come a Milano, la mafia non può
esistere).
Nel racconto c'è spazio anche per raccontare del
mondo delle escort di alto bordo, dei salotti della sinistra radical
chic, degli scontri del 15 ottobre a Roma, quando gli incappucciati
fecero irruzione nel corteo dei precari, per mettere a soqquadro il
centro di Roma. Della radio FM922, termometro della curva ma anche
strumento per diffondere campagne politiche (contro gli immigrati o a
favore dei costruttori, che creano tanti posti di lavoro).
E per
spiegare come funziona la giustizia nei quartieri. Come Ostia :
-
Capitano, mi spiace dirglielo – la interruppe Gaudino, - ma la
verità è che qui i cattivi pensano agli ultimi. Dànno lavoro e
anche uno straccio di speranza a chi non ne ha. Se ti rubano il
motorino, qui, non vai in caserma, dove ce ne stiamo chiusi noi. Vai
qua dietro, a piazza Gasparri. E il guaio è che lì il motorino lo
ritrovano, mentre noi li salutiamo con la nostra brava denuncia. Ma
che è una denuncia?Un pezzo di carta. Qui, ai cattivi gli
vogliono bene, capitano.- Questa storia la raccontavano anche a
Corleone, - tagliò corto Marco. - Ma ad un certo punto è finita.
Come finirà questa storia?
Non c'è lieto fine, come era
logico aspettarsi: la lotta tra il male e il bene, che almeno tra i
protagonisti della storia si risolverà alla fine quasi come un
duello western (Marco Malatesta da una parte e il Samurai
dall'altra), non arriva ad un finale consolatorio.
Il male è bene
ancorato, dentro la città, ma anche dentro i palazzi. Dentro quelle
istituzioni che non sembrano capaci di rinnovarsi. Che si sono
dimostrate troppo permeabili alla criminalità, al fascino del
denaro, della droga, delle escort.
Questo romanzo affonda nei casi
di cronaca che i giornali (e anche le trasmissioni come Report) ci
hanno raccontato. I morti per le strade, le guerre tra band, i
festini dentro le case della Roma bene a base di sesso e droga. Gli
scandali della curia romana, della Propaganda Fide, una sorta di
immobiliare per vip e politici. Il fascistume che è stato fatto
entrare nei palazzi, senza provare alcuna vergogna.
È vero, questo è solo un
romanzo. Ma immagino quanto si siano divertiti Bonini e De Cataldo
nello scriverlo: riuscire a mettere nero su bianco quello che nelle
inchieste, negli articoli di giornale non si poteva scrivere anche se
era noto a tutti.
La realtà non è poi così lontana dalla
Suburra,
la città che riuscirà ad avere la sua redenzione:
"La
Suburra, l'antico quartiere dei lupanari cantati da Petronio, era ai
loro piedi. Via dei Serpenti a destra, via del Colosseo e la sacra
collina di Giove Fagutale a sinistra. Con quell'ammezzato che un
ministro aveva scoperto comprato a sua insaputa da qualcun altro e
per questo diventato ormai celebre come e più di un immortale
fescennino.La Suburra, immagine eterna di una città
irrimedibile.
Casa di una plebe violenta e disperata che secoli
prima si era fatta borghesia e che nella città occupava il centro
geografico esatto. Perché ne era e restava il cuore.La Suburra, l'origine di un contagio millenario,
di una mutazione genetica irreversibile.Era quello il luogo. come non averci pensato
prima.Come un fischione che annuncia il botto, l'urlo
del Nero precedette lo schianto spaventoso di un cartello stradale
divelto e trasformato in ariete contro le vetrine di un'agenzia di
lavoro interinale. Gli incappucciati, ora, avevano infilato i caschi
e tirato su i cappucci delle felpe, e si muovevano come i ballerini
del Bolscioi. In una danza nichilista di fuoco, pietre, biglie di
ferro".Pagina 372
La scheda del libro sul sito
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