01 settembre 2013

La Repubblica delle stragi impunite, Ferdinando Imposimato


Sui misteri d'Italia si è scritto e parlato tanto: quello che è mancato, o che comunque non è stato sufficientemente approfondito, è stato il voler collegare assieme le stragi indiscriminate che hanno scandito la vita dell’Italia repubblicana.
Da Portella della Ginestra (maggio 1947) a Piazza Fontana (dicembre 1969), Piazza della Loggia (maggio 1974), strage dell'Italikus (agosto 1974), il rapimento di Aldo Moro (marzo 1978), la bomba alla stazione di Bologna, fino alle bombe del 1992-93 (con la stagione stragistica della mafia).
L'ex magistrato Ferdinando Imposimato ha cercato cioè di cogliere la dimensione politica di queste stragi, andando oltre i limiti dell'inchiesta giudiziaria che si basa su prove certe.
Le domande cui questo libro cerca di dare una risposta sono sui mandanti occulti di queste stragi (mandanti che le inchieste giudiziarie non hanno individuato). Sulla ricerca di un canovaccio comune che le lega assieme (modalità, strumenti, esplosivi o armi).
Scrive l'autore “ho voluto soffermarmi su questioni che mi paiono le "novità" di questa inchiesta. Anzitutto, la cornice e la continuità  tra le stragi, i tentativi golpisti, gli assassini selettivi di alcuni magistrati, [..] tutti eventi che ebbero come scopo comune quello di cambiare gli assetti istituzionali in modo violento. I crimini più feroci che scandirono la vita del Paese si verificarono alla vigilia o all'indomani di eventi politici cruciali. Fu un caso che Piazza Fontana seguì a un governo con i socialisti?”
La rilettura di questi episodi, che va oltre l'ambito giudiziario, cercando per ciascuno di inquadrarlo nel suo contesto storico, permette di superare i vincoli delle sentenze , che tra l'altro solo in pochi casi hanno individuato i colpevoli materiali delle stragi.
Il quadro che viene fuori è drammatico: la nostra politica è stata fin da subito condizionata da fattori esterni sviluppatisi dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Gli accordi di Yalta avevano collocato l'Italia sotto l'influenza americana e dunque tutta la nostra politica (anche economica) era di fatto bloccata, stagnante. La DC, coi suoi alleati “moderati” era l'unica forza cui era consentito accedere al governo.

Le stragi, sono state allora uno dei mezzi con cui la segreteria di Stato USA, l'ambasciata, la Cia e la massoneria (una camera di compensazione in cui fare incontrare persone appartenenti a mondi diversi) hanno condizionato la nostra democrazia. Questo non assolve affatto la nostra classe politica, quella della prima Repubblica. Che è stata testimone silente di queste morti, che ha aiutato e coperto gli stragisti, nascosto le prove, reso impossibile il lavoro dei magistrati che cercavano le prove.

Italia, paese a sovranità limitata, dove la ragione di Stato è stata usata sovente a sproposito, per nascondere le più vergognose verità. Dove sono state create strutture segrete per fini di difesa, come la Gladio italiana, che poi sono invece state utilizzate per compiere attentati, addestrare terroristi e fornire loro armi e aiuti.
A cominciare dalla strage di Portella della Ginestra, dovremmo riscrivere e rielaborare la nostra storia recente: solo nelle dittature succede che il suddito schiavo è considerato dal re padrone come un ignorante cui non si possono raccontare le verità. Non più un cittadino degno di giustizia.

A che voce di bilancio politico bisogna iscrivere le morti di Portella, di piazza Fontana, di Brescia, di Bologna, la scorta di Moro e il presidente della Dc, i magistrati Falcone e Borsellino e le rispettive scorte?
Alla voce della lotta contro l'avanzata delle sinistre? Per una invasione dei russi che poi non è mai avvenuta e forse non era nemmeno nei piani dei generali del patto di Varsavia?

Come si riuscirà a spiegare, e chissà se gli italiani come me riusciranno mai a comprenderlo fino in fondo, che i nostri governanti, per perpetuare negli anni il loro potere, hanno creato terrore, morti nelle piazze, hanno alimentato il terrorismo di destra, si sono alleato con le varie agenzie del crimine per far compiere loro tutti i lavori sporchi che i signori governanti non potevano fare?
Parlo dei rapporti tra lo Stato italiano e la mafia, che non si possono più nascondere ormai, se non ritirando fuori l'ennesima foglia di fico della ragione di stato (e della ragione politica, che spesso viene considerata come sinonimo).
Ma possiamo parlare anche di Ordine Nuovo, associazione eversiva di destra (nata da una scissione del Movimento Sociale Italiano) in cui la sentenza della Cassazione ha trovato i responsabili per le bombe di Milano e Roma del dicembre 1969, non più punibili per essere già stati assolti.
Il banditismo di Salvatore Giuliano e dell'Evis (l'esercito del movime nto separatista siciliano), diventato poi capro espiatorio per le morti di Portella.
La banda della Magliana, una holding criminale che regnò (ma forse non è corretto usare il passato) su Roma nei primi anni '80.
I corleonesi di Riina e Provenzano, ritenuti dalle sentenze passate in giudicato i responsabili delle stragi mafiose ma anche degli omicidi politici avvenuti in Sicilia. Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella, Michele Reina, i magistrati Terranova, Scaglione, Costa, Chinnici . E infine delle stragi di Capaci e via D'Amelio, gli ultimi anni di una classe dirigente finita sotto processo perché rubava. E su quel sangue, e sulla trattativa stato mafia (fatta con le macerie di Capaci ancora fumanti) che è nata la seconda Repubblica.

Viene naturale chiedersi che paese saremmo stati, senza queste stragi e naturalmente, se avessimo avuto un ricambio naturale nella classe politica.
La strage di Portella portò alla fine del governo De Gasperi assieme ai comunisti e influenzò la politica regionale sull'isola dove le sinistre avevano appena vinto le elezioni. Sull'onda delle terra ai contadini per sottrarla ai latifondi e alle mafie.
La strage di piazza Fontana segnò la fine degli esperimenti di apertura al centrosinistra da parte della Dc di Moro. Il cui epilogo ebbe luogo durante i 55 giorni di prigionia, dopo il rapimento delle Brigate Rosse su cui ancora tanti dubbi, sulle responsabilità dell'esecutivo (e dei servizi) nel non voler fare tutto il possibile per salvare il presidente della Dc.
Scrive a proposito l'autore:
“In un archivio super segreto a Palazzo Giustiniani è stata ritrovata la sentenza che riguardava la prigione in cui Moro è stato segregato dalle Br per tutti i 55 giorni. Atti che riguardavano verità scomode. A partire dalle dichiarazioni – mai ritrovate – rese dagli inquilini della palazzina di via Montalcini. Addirittura uno dei condomini morì in seguito ad un incidente stradale. Una versione, questa, che non mi ha mai convinto. Ma gli atti, le sentenze e i verbali di queste testimonianze non sono mai stati resi pubblici poiché dimostrano che c’era un progetto preciso per l’eliminazione dell’onorevole della Dc, in cui il primo ad essere coinvolto era Francesco Cossiga”.
L'obiettivo delle stragi sui treni e alla stazione di Bologna era “suscitare, con il maggior numero di morti possibile, il terrore nelle masse [..] tutte le stragi, a partire dal 1969, sono avvenute in coincidenza con la nascita di governi di centrosinistra o progressisti”.
Come nel 1980, quando “del governo facevano parte anche i socialisti di Pietro Nenni, considerati contigui ai comunisti”. Sono gli anni in cui i magistrati avevano abbandonato la pista rossa per le bombe del 1969, per indagare sui camerati di Ordine Nuovo (Freda, Ventura, Maggi, Zorzi, Signorelli, Fachini) e Avanguardia Nazionale (Delle Chiaie).
Medesime considerazioni si possono fare per le bombe del 1992-93, nate con la conferma in Cassazione della sentenza del maxi processo (per la prima volta i capimafia finivano all'ergastolo e la mafia veniva riconosciuta come struttura unitaria e verticistica), per il crollo del muro di Berlino e per la crisi dei partiti a seguito delle inchieste sulle tangenti.
Perché Falcone e Borsellino dovevano essere fermati, in quella maniera così forte e con due stragi a poca distanza di tempo? Solo per dare un esempio e un segnale alla corlenese?
Oppure perchè Falcone stava seguendo, da tempo, la pista dei soldi, che legava assieme la mafia, gli appalti pubblici e i partiti della prima Repubblica?
Imposimato lancia l'ipotesi delle mazzette per l'alta velocità in Italia, grande opera, ma anche grande esempio della voracità di soldi del contribuente da parte dei nostri politici.
I pentiti di mafia hanno raccontato che vi era “nella Cupola, la seria preoccupazione che Falcone e Borsellino imprimessero un impulso alle investigazioni nel settore degli appalti pubblici”.
Appalti che erano finiti a imprese che fanno capo alla Fiat (Cogefar), all'Eni (Ferruzzi) e a Lodigiani, su cui Falcone stava indagando. Falcone stesso aveva commentato l'ingresso del gruppo Ferruzzi in borsa con una battuta che aveva allarmato la Cupola: «La mafia è entrata in borsa».
Erano gli anni in cui la mafia si stava trasformando in impresa, facendosi assegnare dai politici appalti per aziende sotto il loro controllo, come la Calcestruzzi.

L'epilogo del libro.

L'autore mette nell'epilogo le sue conclusioni: “i terroristi, i servizi, gli apparati, i mafiosi e a un livello più alto i massoni, sono stati solo esecutori di ordini provenienti da altre entità”, entità che utilizzarono le stragi che “ebbero come obiettivo il mantenimento del potere nelle mani di chi lo deteneva da anni”.L'autore nell' epilogo del libro cita Aristotele: “una prova della libertà è nell'essere governati e nel governare, cioè nell'alternanza dei governi . Nessun individuo può coprire due volte la stessa carica, le cariche sono di breve durata”. Non è libertà quando uno stesso gruppo di potere o partito governa per decenni.
Obiettivo che poteva essere quello del golpe o forse, l'instaurazione di una repubblica presidenziale (sullo stile della Grecia o del Cile di Pinochet), che soffocasse una volta per tutte i principi della Costituzione italiana nata nel 1946, dalla lotta antifascista.
Come si può leggere dai giornali, ancora oggi si parla solo di riforme della Costituzione e mai, dico mai, della sua applicazione concreta in termini di uguaglianze, giustizia, equità, emancipazione.
È questa l'unica repubblica in cui vogliano vivere, ed è quella per cui uomini dello stato sono morti: oltre a quelli citati prima, Ninni Cassarà, Boris Giuliano, Vittorio Occorsio, Rocco Chinnici, Antonino Scopelliti, Giodo Galli, Emilio Alessandrini, Cesare Terranova).
Uomini spesso lasciati soli dallo stato nella propria battaglia.
Se c'è un insegnamento che lascia questo libro, e nel non rassegnarci alla storia che ci hanno fin qui raccontato. Non rassegnarci e cercare la verità, storica perché quella giudiziaria diventa sempre più difficile. Non rassegnarci alle logiche e al macchiavellismo di chi ci ha governato:
il machiavellismo di molti nostri politici e di alcuni esponenti dei servizi non hanno fatto altro che avvelenare per anni la nostra storia. Se vogliamo quindi avviarci di nuovo sulla via dell'incivilimento e per uscire dall'abiezione, dobbiamo riconsiderare con occhi critici le nostre radici morali e i nostri vizi, morale e politica vanno tenute distinte ma non contrapposte”.
I capitoli del libro:
Gli albori della strategia della tensione
Il grande enigma di via Sicilia
La strage di piazza Fontana: Le bombe del ’69, Le borse e i timer delle stragi
L'enigma della morte di Giangiacomo Feltrinelli
Le stragi del ’74: piazza della Loggia e Italicus
Il calvario di Aldo Moro
La strage di Bologna
L’attentato dell’Addaura
La morte di Falcone e Borsellino
La scheda del libro sul sito di Newton & Compton
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Lungomare Reggio Calabria, La luna ribelle (Torre Nervi -- lido comunale): presentazione del libro


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