Ballarò, La gabbia, Piazza pulita, virus, Matrix, Porta a porta, Otto e mezzo e poi Servizio pubblico.
Tutti i talk show sono ripresi, talvolta con nuovi conduttori, ma anche no.
Ma gli argomenti e gli ospiti sono sempre gli stessi.
C'è la colomba pidiellina che chiede al pd di essere responsabile perché B. ha diritto a difendersi.
Oppure il falco che tuona contro i giudici politicizzati, col fatto che solo in Italia la magistratura condiziona la politica.
Che i comunisti hanno preso i rubli da Mosca e si sono salvati grazie alle amnistie.
Il piddino che si appella al suo partito, che è sempre stato responsabile. Prima con Monti, ora con (Berlusconi) Letta, mai coi suoi elettori.
E a volte c'è anche quello incazzato, un pò grillino, un pò forcaiolo.
A completare il quadro, il professore, il giornalista, il banchiere, l'imprenditore.
E tutti vissero felici e contenti.
Faccio sempre più fatica a seguirli: non è solo il fastidio di dover sentire sempre le solite litanie (la responsabilità, i sacrifici necessari, lo chiede l'Europa, le toghe rosse, l'antipolitica e la demagogia).
Vedere le solite facce di ieri che si propongono oggi come i seri salvatori della patria.
Questi salotti sono l'immagine dell'inconcludenza di una classe dirigente, che si crede sempre al di sopra di tutto, immune da responsabilità (come la crisi, che è di natura internazionale).
Anche le poche mosche bianche, gli ospiti che pacatamente indicano il re nudo (l'austerità non salva nessuno, un pregiudicato è tale anche se eletto, servono altre riforme al paese) danno l'impressione di essere messe lì come foglie di fico, per dare una parvenza di utilità ad un discorso, negli studi, fatto di insulti e grida.
Anche un Landini o un Travaglio, come anche Settis, Rodotà, rischiano di non fare una bella figura in mezzo a certa gente, senza perdere la calma.
Qualcuno diceva che il talk era morto.
Moriremo prima noi, forse.
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