Finalmente in Rai una fiction che racconta una storia e che non si ferma ai soliti luoghi comuni: "Per amore del mio popolo" racconta del lavoro di un parroco, don Giuseppe Diana, in terra di camorra, a Casal di Principe.
Un lavoro difficile, perché in quelle zone la legalità era in mano ai clan e non ai carabinieri.
Dove i boss avevano l'onore di portare la statua del santo patrono, per sancire il loro potere. Dove i parroci voltavano spesso la testa dall'altra parte di fronte alle violenze e le angherie.
Perché mettersi contri la camorra era scomodo, difficile, rischioso.
Attaccare la mafia è "destabilizzante", come veniva accusato dal suo vescovo.
Destabilizzante per un sistema dove la mafia era il POTERE al posto dello stato e dove la religione non era più un fatto di coscienza, ma un discorso di facciata, di tabù e superstizioni (il camorrista che prega la madonna prima di impacchettare i panetti di droga).
"Di fronte a queste illegalità non si può essere neutrali" diceva don Peppe, che dedicava gran parte del suo sforzo nell'educazione dei ragazzi.
Niente comunione ai boss: "per amore del mio popolo non tacerò", scriveva ai suoi parrocchiani.
Questa fiction servirà a quanti parlano di mafie e camorra a vanvera: cosa vuol dire sentirsi soli nella lotta alla criminalità.
Ancora oggi, visto come lo stato ha trattato il testimone dell'omicidio di don Diana.
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