Ultimo requiem è il racconto di una guerra avvenuta in Italia tra la fine degli anni 70 e il 1993: una
guerra combattuta all'interno dello stato italiano anzi, proprio
all'interno delle istituzioni del nostro paese. Una guerra che ha
coinvolto le istituzioni, l'economia, la finanza e la criminalità
organizzata in modo così importante che, per qualcuno, questa è una
guerra che nemmeno è esistita.
Anche se sono esistite le morti e il sangue che ha insanguinato la
nostra terra. Morti appartenenti a due eserciti i cui confini sono
troppo ambigui all'apparenza per essere distinti.
Poliziotti onesti, magistrati decisi ad andare fino in fondo,
giornalisti capaci di raccontare storie che magari daranno fastidio a
qualche potente e non per fare cassa di risonanza a quel politico o a
quel finanziere.
Dall'altra parte mafiosi sanguinari e mafiosi con le grazie di un
principe, imprenditori di cui non si comprendono fino in fondo le
loro origini e da dove sono arrivati i soldi. Poliziotti sporchi che
hanno venduto onore e divisa per un avanzamento di carriera, come
anche magistrati che anziché perseguire l'obiettivo della giustizia
uguale per tutti, difendono i loro compari dalle inchieste che li
coinvolgono.
E sopra a tutto, la puzza ammorbante della massoneria “deviata”,
collante di divise sporche, professionisti che lavorano nella zona
grigia, ermellini e mafiosi.
La tesi da cui partono Rafele padre e figlio è molto
suggestiva: sebbene molto fantasiosa, spiega alcuni dei grandi
misteri d'Italia: dai responsabili della strage della stazione di
Bologna, da cui tutta la storia ha inizio, all'ascesa dei Corleonesi
dentro Cosa nostra. Riina ha avuto qualche protezione da parte dello
stato, per compiere il suo golpe all'interno della mafia?
Golpe che ha scalzato tutti i vecchi padrini di cosa nostra,
personaggi di rilievo come Stefano Bontade, il principe di
Villagrazia: diceva Buscetta a Falcone che i misteri di cui
era a conoscenza Sindona erano piuma, rispetto a quelli di Bontade.
Fino alla stagione delle bombe del 1992-1993: dietro la
strategia stragista di Riina c'è stato qualche consigliere, che gli
ha indicato gli obiettivi? Falcone e, subito dopo, Borsellino?
Qualcuno che gli ha consigliato poi di alzare la posta, puntando
alle opere d'arte, per arrivare a trattare nuovamente con lo stato?
«E se fosse andata veramente così?» si chiede
retoricamente lo scrittore De Cataldo nella fascetta di copertina.
La strage di Bologna, l'attentato al papa, la loggia P2 e
l'inchiesta di Colombo e Turone spostata a Roma (per essere
insabbiata nel porto nelle nebbie).
E ancora, il golpe dei
Corleonesi, la mafia connection e il traffico di droga tra l'estremo
oriente e l'America passando per la Sicilia. Per finire con il crollo
della prima Repubblica: l'inchiesta di Tangentopoli che mise in crisi
il sistema dei partiti e le stragi di mafia (e probabilmente non solo
di mafia) in Sicilia e in continente; la trattativa tra stato e
antistato per arrivare a nuovi accordi.
Accordi che prevedevano il rimpiazzo di Riina ai vertici di Cosa
nostra: il mostro da dare in pasto all'opinione pubblica, dopo le
morti dei due magistrati Falcone e Borsellino e delle rispettive
scorte.
Un nuovo equilibrio basato su nuovi referenti.
Atto
iniziale di questo racconto è la strage
di Bologna: 85 morti e centinaia di feriti
"È in quel momento che arriva. È come un vento caldo. Una fortissima folata di vento caldo che senti sulla pelle, poi una luce abbagliante. È l’ultima cosa che vede mentre muore. L’ultima cosa che vede mentre muore è ogni oggetto che esce da se stesso, è la bambina che vola via come una foglia al vento, poi resta soltanto un rumore senza fine."
Una delle morti è Stefania,
la fidanzata di Sergio Russo: Sergio, studente di Legge, si
porterà dietro per sempre il vuoto causato dalla perdita della
ragazza.
Carlo Settembrini è il poliziotto che segue il caso: uno
di quelli capaci di seguire una pista e di non mollarla facilmente.
Almeno finché l'inchiesta non è spostata a Roma.
Grazie ai depistaggi compiuti anche da colleghi di Carlo, come
Michelangelo Dossi.
Come
quello che allontana gli inquirenti dal mafioso Rosario
Impalloneni: l'uomo che ha
portato la valigia in stazione e con cui Sergio ha uno scontro
fortuito quella mattina.
Depistaggi decisi da un organo dentro lo stato, ma al di fuori
delle leggi dello stato: un organo al cui tavolo siedono
rappresentanti della massoneria, del Vaticano, delle istituzioni
fantasma (un certo presidente del Consiglio, morto recentemente) e
anche della mafia.
L'Organo, si chiama.
“L’Organo è il vertice
della piramide. È il consesso dove cinque persone, in rappresentanza
di altrettante entità, blocchi di potere, prendono le decisioni”.
È
lui, il nemico contro cui persone come Sergio o Carlo dovranno
combattere la loro guerra:
"Ammettiamo che ci sia una guerra, va bene. Decidiamo di combatterla. Ma per chi stai combattendo? Contro chi? Coma fai a decidere da che parte stare, se non hai capito quali sono le parti?".
Matteo Sabato è invece il
figlio diciottenne di un imprenditore, Carmelo Sabato, riferimento
della mafia per conto di Stefano Bontade dentro l'organo.
È lui l'alter ego di Carlo e
Sergio: ambizioso e deciso, è cresciuto respirando mafia,
ascoltando di nascosto i discorsi dei boss mafiosi mentre si
riunivano. È lui che da fuoco alla miccia per far scoppiare la
guerra di mafia, mettendosi dalla parte dei “viddani”, i
corleonesi di Riina, Bagarella e Provenzano.
Non esita di fronte a nulla, Matteo, arrivando ad uccidere il
padre e a stabilire alleanze pur di conquistare quel potere che non è
solo ostentazione di ricchezze. Ma è una ragnatela di conoscenze e
di rapporti: dalla massoneria ai servizi italiani e russi, il Kgb.
Man mano che questa ragnatela si consolida, fiumi di denaro, per
la droga, per le armi, per la tratta delle donne, entrano nelle sue
tasche, in conti esteri, al riparo da occhi indiscreti.
Con un salto temporale, mischiando continuamente realtà (i fatto
storicamente avvenuti) e finzione (ciò che solo la finzione
letteraria può dire), si arriva al 1993: nuovamente lo stato è in
guerra.
Nonostante siano passati anni, e anche tanta amarezza, Carlo e
Sergio sono ancora disposti a portare avanti l'ultima battaglia
contro il ricco imprenditore Sabato. Nonostante il primo sia finito
in pensione dopo essersi preso una pallottola e il secondo, diventato
magistrato anche sulla spinta del commissario, si sia bruciato quasi
la vita, sempre per quel vuoto, della bomba del 2 agosto 1980.
“È la tua vita, e il tuo modo di pensare a Stefania. Le bombe restano sui corpi di chi muore, e nella testa di chi sopravvive. Entrare in magistratura è il tuo modo di farti uscire dalla testa quella bomba.”
Sarà l'ultima battaglia: l'ultima, prima che Sabato compia il suo
ultimo miracolo, l'ultimo gioco di prestigio che lo renderebbe ancora
più ricco e potente. Prima che l'Organo, per conto dei poteri
criminali che hanno governato questo paese, trovi il modo di
perpetuare il suo controllo sulle istituzioni.
«Il potere, Matteo, è fatto per durare. Cambia faccia, si
trasforma, ma dietro la maschera rimangono sempre le stesse persone».
Ultimo requiem è un romanzo che, come Romanzo Criminale di
Giancarlo De Cataldo, racconta del volto sporco dello stato: dietro
la facciata delle istituzioni, della lotta contro l'avanzata del
comunismo, si nascondono personaggi influenti come il notaio
Frangipane, collante di antichi rapporti tra stato e mafia:
«Per lui il mondo è fatto di regole e rapporti di forza, gerarchie. Suo padre gli ha insegnato così in Sicilia, dopo la guerra, quando ha aiutato gli americani a prendere l’isola. […] Se vuoi rafforzarti, stai vicino al potere. Se poi vuoi rafforzarti ancora, fottilo. Ma devi essere sicuro di avere i mezzi per farlo».
Non possono mancare personaggi
femminili da spy story, come Eva Karpinova, una prostituta
scappata dalla Russia e che Matteo ruba al notaio.
Giornalisti come Antonio Catrillo,
che anziché raccontare fatti, usano le pagine di giornale come armi
per infangare i nemici.
Attorno a questi personaggi inventati,
i due Rafele fanno muovere anche personaggi reali: il presidente, che
è “il più volte presidente del consiglio Giulio Andreotti”,
a cui tutta la DC siciliana fa riferimento.
Il commissario Ninni Cassarà, esperto
delle cose dentro la mafia trapanese e dentro la massoneria
siciliana. Vera e propria camera di compensazione dove far incontrare
stato e antistato.
Licio Gelli e il generale Santovito.
Mambro e Fioravanti dei NAR, ad oggi
gli unici responsabili della bomba di Bologna. Ma non di certo del
depistaggio del treno Taranto Milano (i cui responsabili sono stati
ritenuti Gelli e Santovito, la P2).
E ancora, gli investimenti al nord
della mafia, l'avvento della tv commerciale, i giudici istruttori
Gherardo Colombo e Giuliano Turone e la perquisizione di villa Wanda.
Le bombe di fine luglio 1993, quando il
presidente Ciampi ebbe la sensazione che che fosse in atto un colpo
di stato.
Ma in Italia, il paese
senza memoria, per comprenderne i segreti “bisogna
guardare in alto. Sempre in alto, sperando di riuscire a vedere
qualcosa...”.
La scheda del libro su Longanesi
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