02 marzo 2014

Ultimo requiem Mimmo e Nicola Rafele

Ultimo requiem è il racconto di una guerra avvenuta in Italia tra la fine degli anni 70 e il 1993: una guerra combattuta all'interno dello stato italiano anzi, proprio all'interno delle istituzioni del nostro paese. Una guerra che ha coinvolto le istituzioni, l'economia, la finanza e la criminalità organizzata in modo così importante che, per qualcuno, questa è una guerra che nemmeno è esistita.

Anche se sono esistite le morti e il sangue che ha insanguinato la nostra terra. Morti appartenenti a due eserciti i cui confini sono troppo ambigui all'apparenza per essere distinti.


Poliziotti onesti, magistrati decisi ad andare fino in fondo, giornalisti capaci di raccontare storie che magari daranno fastidio a qualche potente e non per fare cassa di risonanza a quel politico o a quel finanziere.
Dall'altra parte mafiosi sanguinari e mafiosi con le grazie di un principe, imprenditori di cui non si comprendono fino in fondo le loro origini e da dove sono arrivati i soldi. Poliziotti sporchi che hanno venduto onore e divisa per un avanzamento di carriera, come anche magistrati che anziché perseguire l'obiettivo della giustizia uguale per tutti, difendono i loro compari dalle inchieste che li coinvolgono.
E sopra a tutto, la puzza ammorbante della massoneria “deviata”, collante di divise sporche, professionisti che lavorano nella zona grigia, ermellini e mafiosi.

La tesi da cui partono Rafele padre e figlio è molto suggestiva: sebbene molto fantasiosa, spiega alcuni dei grandi misteri d'Italia: dai responsabili della strage della stazione di Bologna, da cui tutta la storia ha inizio, all'ascesa dei Corleonesi dentro Cosa nostra. Riina ha avuto qualche protezione da parte dello stato, per compiere il suo golpe all'interno della mafia?
Golpe che ha scalzato tutti i vecchi padrini di cosa nostra, personaggi di rilievo come Stefano Bontade, il principe di Villagrazia: diceva Buscetta a Falcone che i misteri di cui era a conoscenza Sindona erano piuma, rispetto a quelli di Bontade.

Fino alla stagione delle bombe del 1992-1993: dietro la strategia stragista di Riina c'è stato qualche consigliere, che gli ha indicato gli obiettivi? Falcone e, subito dopo, Borsellino?
Qualcuno che gli ha consigliato poi di alzare la posta, puntando alle opere d'arte, per arrivare a trattare nuovamente con lo stato?

«E se fosse andata veramente così?» si chiede retoricamente lo scrittore De Cataldo nella fascetta di copertina.

La strage di Bologna, l'attentato al papa, la loggia P2 e l'inchiesta di Colombo e Turone spostata a Roma (per essere insabbiata nel porto nelle nebbie).

E ancora, il golpe dei Corleonesi, la mafia connection e il traffico di droga tra l'estremo oriente e l'America passando per la Sicilia. Per finire con il crollo della prima Repubblica: l'inchiesta di Tangentopoli che mise in crisi il sistema dei partiti e le stragi di mafia (e probabilmente non solo di mafia) in Sicilia e in continente; la trattativa tra stato e antistato per arrivare a nuovi accordi.

Accordi che prevedevano il rimpiazzo di Riina ai vertici di Cosa nostra: il mostro da dare in pasto all'opinione pubblica, dopo le morti dei due magistrati Falcone e Borsellino e delle rispettive scorte.
Un nuovo equilibrio basato su nuovi referenti.

Atto iniziale di questo racconto è la strage di Bologna: 85 morti e centinaia di feriti
"È in quel momento che arriva. È come un vento caldo. Una fortissima folata di vento caldo che senti sulla pelle, poi una luce abbagliante. È l’ultima cosa che vede mentre muore. L’ultima cosa che vede mentre muore è ogni oggetto che esce da se stesso, è la bambina che vola via come una foglia al vento, poi resta soltanto un rumore senza fine."

Una delle morti è Stefania, la fidanzata di Sergio Russo: Sergio, studente di Legge, si porterà dietro per sempre il vuoto causato dalla perdita della ragazza.
Carlo Settembrini è il poliziotto che segue il caso: uno di quelli capaci di seguire una pista e di non mollarla facilmente. Almeno finché l'inchiesta non è spostata a Roma.
Grazie ai depistaggi compiuti anche da colleghi di Carlo, come Michelangelo Dossi.

Come quello che allontana gli inquirenti dal mafioso Rosario Impalloneni: l'uomo che ha portato la valigia in stazione e con cui Sergio ha uno scontro fortuito quella mattina.

Depistaggi decisi da un organo dentro lo stato, ma al di fuori delle leggi dello stato: un organo al cui tavolo siedono rappresentanti della massoneria, del Vaticano, delle istituzioni fantasma (un certo presidente del Consiglio, morto recentemente) e anche della mafia.

L'Organo, si chiama. 
L’Organo è il vertice della piramide. È il consesso dove cinque persone, in rappresentanza di altrettante entità, blocchi di potere, prendono le decisioni”.

È lui, il nemico contro cui persone come Sergio o Carlo dovranno combattere la loro guerra:
"Ammettiamo che ci sia una guerra, va bene. Decidiamo di combatterla. Ma per chi stai combattendo? Contro chi? Coma fai a decidere da che parte stare, se non hai capito quali sono le parti?".
Matteo Sabato è invece il figlio diciottenne di un imprenditore, Carmelo Sabato, riferimento della mafia per conto di Stefano Bontade dentro l'organo.
È lui l'alter ego di Carlo e Sergio: ambizioso e deciso, è cresciuto respirando mafia, ascoltando di nascosto i discorsi dei boss mafiosi mentre si riunivano. È lui che da fuoco alla miccia per far scoppiare la guerra di mafia, mettendosi dalla parte dei “viddani”, i corleonesi di Riina, Bagarella e Provenzano.
Non esita di fronte a nulla, Matteo, arrivando ad uccidere il padre e a stabilire alleanze pur di conquistare quel potere che non è solo ostentazione di ricchezze. Ma è una ragnatela di conoscenze e di rapporti: dalla massoneria ai servizi italiani e russi, il Kgb.
Man mano che questa ragnatela si consolida, fiumi di denaro, per la droga, per le armi, per la tratta delle donne, entrano nelle sue tasche, in conti esteri, al riparo da occhi indiscreti.

Con un salto temporale, mischiando continuamente realtà (i fatto storicamente avvenuti) e finzione (ciò che solo la finzione letteraria può dire), si arriva al 1993: nuovamente lo stato è in guerra.

Nonostante siano passati anni, e anche tanta amarezza, Carlo e Sergio sono ancora disposti a portare avanti l'ultima battaglia contro il ricco imprenditore Sabato. Nonostante il primo sia finito in pensione dopo essersi preso una pallottola e il secondo, diventato magistrato anche sulla spinta del commissario, si sia bruciato quasi la vita, sempre per quel vuoto, della bomba del 2 agosto 1980. 
È la tua vita, e il tuo modo di pensare a Stefania. Le bombe restano sui corpi di chi muore, e nella testa di chi sopravvive. Entrare in magistratura è il tuo modo di farti uscire dalla testa quella bomba.”

Sarà l'ultima battaglia: l'ultima, prima che Sabato compia il suo ultimo miracolo, l'ultimo gioco di prestigio che lo renderebbe ancora più ricco e potente. Prima che l'Organo, per conto dei poteri criminali che hanno governato questo paese, trovi il modo di perpetuare il suo controllo sulle istituzioni.
«Il potere, Matteo, è fatto per durare. Cambia faccia, si trasforma, ma dietro la maschera rimangono sempre le stesse persone».

Ultimo requiem è un romanzo che, come Romanzo Criminale di Giancarlo De Cataldo, racconta del volto sporco dello stato: dietro la facciata delle istituzioni, della lotta contro l'avanzata del comunismo, si nascondono personaggi influenti come il notaio Frangipane, collante di antichi rapporti tra stato e mafia:
«Per lui il mondo è fatto di regole e rapporti di forza, gerarchie. Suo padre gli ha insegnato così in Sicilia, dopo la guerra, quando ha aiutato gli americani a prendere l’isola. […] Se vuoi rafforzarti, stai vicino al potere. Se poi vuoi rafforzarti ancora, fottilo. Ma devi essere sicuro di avere i mezzi per farlo».
Non possono mancare personaggi femminili da spy story, come Eva Karpinova, una prostituta scappata dalla Russia e che Matteo ruba al notaio.
Giornalisti come Antonio Catrillo, che anziché raccontare fatti, usano le pagine di giornale come armi per infangare i nemici.

Attorno a questi personaggi inventati, i due Rafele fanno muovere anche personaggi reali: il presidente, che è “il più volte presidente del consiglio Giulio Andreotti”, a cui tutta la DC siciliana fa riferimento.
Il commissario Ninni Cassarà, esperto delle cose dentro la mafia trapanese e dentro la massoneria siciliana. Vera e propria camera di compensazione dove far incontrare stato e antistato.
Licio Gelli e il generale Santovito.
Mambro e Fioravanti dei NAR, ad oggi gli unici responsabili della bomba di Bologna. Ma non di certo del depistaggio del treno Taranto Milano (i cui responsabili sono stati ritenuti Gelli e Santovito, la P2).
E ancora, gli investimenti al nord della mafia, l'avvento della tv commerciale, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone e la perquisizione di villa Wanda.
Le bombe di fine luglio 1993, quando il presidente Ciampi ebbe la sensazione che che fosse in atto un colpo di stato.

Forse è tutta un'invenzione: la trattativa, l'Organo, l'antistato e il rapporto stato mafia. Una storia troppo irreale per essere vera. 
Ma in Italia, il paese senza memoria, per comprenderne i segreti “bisogna guardare in alto. Sempre in alto, sperando di riuscire a vedere qualcosa...”.


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