05 marzo 2014

Avevano una banca

Mentre la politica decide se inserire il reato di autoriciclaggio, se fare la lotta ai paradisi fiscali, di mettere dei paletti per evitare che le mafie si siedano al banchetto dell'Expo, la cronaca ci racconta che la mafia si apre le sue banche sul territorio. Sempre un passo avanti.
A Seveso, in un "tugurio", ndrangheta Spa offriva i suoi servizi a imprenditori con pochi problemi di coscienza (e poca volontà di denunciare).
Avete bisogno di soldi perché le banche hanno stretto i cordoni della borsa?
Ci pensano loro, a riciclare tutto il denaro che arriva dentro valigioni.

L'articolo di Davide Milosa su Il fatto:

La banca delle ‘ndrine, cassaforte degli imprenditori
BRIANZA, IN CELLA 34 PERSONE PER AVER CREATO UN ISTITUTO DI CREDITO PARALLELO
di Davide Milosa
I picciotti lo chiamavano il Papa. E in effetti il potere di Giuseppe Pensa-bene, classe ‘66 di Montebello Jonico, antica affiliazione al clan Imerti, era enorme. Padrino della Brianza operosa e “lavatrice”, come amava autodefinirisi, per buona parte della ‘ndrangheta che in Lombardia ha riciclato centinaia di milioni di euro. Boss e imprenditore. Capo di una “nuova mafia” che tralascia riti arcaici per darsi al denaro, alla finanza, agli investimenti nella nautica, nelle acciaierie, nei diamanti africani. Tanto che i compari lo definivano “Banca d’Italia”. Perché il Papa della ‘ndrangheta più o meno ragionava così: “Dobbiamo essere come i polipi che si devono agganciare, i tentacoli devono arrivare ovunque, ci sono le condizioni per poterlo fare”. In Lombardia soprattutto, terra di imprenditori senza scrupoli che utilizzano la mafia come un servizio. Che la contropartita siano estorsioni e usura, in fondo fa parte del gioco, è solo un costo d’impresa. Ecco, allora, che il Papa in un seminterrato ha piazzato computer, qualche scaffale e ha iniziato a far girare denaro. Lo chiamavano il “tugurio”, in realtà era “una vera e propria banca clandestina”, precisa il gip di Milano Simone Luerti che ieri ha firmato 34 ordinanze di custodia cautelare per altrettanti appartenenti alla locale mafiosa di Desio. Questa la grande invenzione di Pino il Papa che, scrive il giudice, “gli consente di gestire ingentissimi capitali delittuosi, e di allargare il suo già notevole potere sia in termini economici sia in termini di condizionamento più prettamente mafioso”.

FIUMI DI DENARO, fino a 200 milioni in una volta sola. E tre canali di approvvigionamento: la Calabria da dove arrivava dentro a valige ventiquattr’ore, l’usura, gli investimenti e la filiale delle Poste a Paderno Dugnano che per i boss era meglio delle “banche” soprattutto se, come in questo caso, si ha a disposizione un direttore e un vicedirettore compiacenti. I due ieri sono finiti ai domiciliari con l’accusa di corruzione. L’indagine Tibet condotta dalla squadra Mobile di Milano, durata tre anni, riparte, dunque, là dove l’operazione Infinito aveva terminato. Da quella Brianza che impasta affari, malavita e politica. Non pare, infatti, un caso che il braccio destro del Papa, Domenico Zema, detto Mimmo, parente del boss del clan Moscato sia stato ex assessore Pdl a Cesano Maderno. Coinvolto in beghe mafiose, ma poi assolto. Secondo il Papa fu Zema a portare l’ex assessore del Pdl Massimo Ponzoni (imputato per corruzione) “al vertice, perché questo qua è il braccio destro di Formigoni”. In questa storia, però, la politica sta sullo sfondo. Per fare soldi bastano gli imprenditori che ancora una volta si mostrano collusi e quando non lo sono, perché vittime, si guardano bene dal denunciare. Come successo per i dirigenti di tre squadre di calcio. Nelle 700 pagine di ordinanza cautelare finisce così la vicenda di chi, in debito con Pensabene, col tempo diventerà organico al clan.

OPPURE CHI, come Emanuele Sangiovanni, rampante manager romano con residenza svizzera, gestisce centinaia di milioni del Papa schermandoli dietro a blindatissimi trust societari. I “Calabria” lo chiamano l’avvocato. Lui, all’inizio, pensa di tirarla in tasca a questi che “non sanno nemmeno leggere”. Dovrà ricredersi confessando di “lavorare come uno schiavo”. Perché, ragiona il Papa, “sa che non può fare lo scemo”. Ecco la nuova ‘ndrangheta lombarda. Diversa, secondo Pensabene, da quella dei vecchi padrini “perché non è che qua ci vuole intelligenza nelle cose, però loro non hanno neanche la cultura (…) ed oggi, per me, i soldi si possono fare, è il momento giusto per farli”.

Nessun commento: