Prologo
1989- una città del nordestL'imputato aveva il labbro spaccato, gli occhi pesti, il naso gonfio e rotto con due tamponi emostatici che spuntavano dalle narici e lo costringevano a respirare con la bocca. I due agenti della polizia penitenziaria che lo sorreggevano dovettero aiutarlo a sedersi.Era conciato male. Il giudice, seccato, guardò l'avvocato per cercare di capire se avrebbe tentato di inviare l'interrogatorio. L'alto lo rassicurò alzando le spalle. Il suo cliente aveva ben altri problemi a cui pensare. Il giudice, sollevato, dettò al cancelliere le generalità dei presenti e chiese all'imputato se intendeva sottoporsi all'interrogatorio.
Inizia con questa scena il romanzo di
Massimo Carlotto, che ha avuto anche una rappresentazione
teatrale con la regia di Alessandro Gassman: un imputato di un
duplice omicidio, che si trova di fronte al magistrato per un
interrogatorio che è di pura formalità.
Perché il delitto è stato
particolarmente abbietto, una mamma e il suo figlio uccisi durante la
fuga per una rapina di un gioielliere.
Perché non ci sono dubbi sulla
dinamica, spiegazioni, attenuanti: Raffaello Beggiato era
strafatto di coca e, in quell'attimo, ha rovinato la vita di tre
persone e anche la sua. Non si riesce a provare pena per una persona
del genere. Due morti e un padre di famiglia Silvano Contin
sprofondato nell'oscura immensità della morte. Dall'altra
parte, un complice in fuga e l'altro arrestato. E pestato
dalla polizia una volta in commissariato.
Condanna all'ergastolo, sul fascicolo
di Raffaello c'è scritto “fine pena: mai”.
Passati quindici anni, troviamo i due
sopravvissuti alla triste vicenda uno di fronte all'altro: Raffaello
e Silvano, le cui vite vengono raccontate in prima persona da loro
stessi.
Raffaello, malato di cancro,
passa le sue giornate in carcere scandite da orari e ritmi
predefiniti:
“Domani è martedì. Un giorno del cazzo. Manca ancora troppo al sabato e alla domenica, i migliori in galera. Doccia, colloquio, pasta al forno, fettina, patate e il calcio”.
Silvano si è allontanato da
tutti: dagli amici, dai parenti, dal vecchio lavoro. Il dolore, la
solitudine, l'hanno schiacciato in un'esistenza che scorre grigia e
monotona quasi come quella di Raffaello. Cibi pronti da scaldare al
microonde, vino in cartone, le serate davanti la tv a guardare i
quiz.
Fino all'arrivo della lettera di
Raffaello, dove gli viene chiesto perdono: un perdono legato alla
richiesta di sospensione della pena per motivi di salute, la cui
decisione è a capo di un giudice e di altri esperti.
Ma che dipende anche dal parere della
vittima.
Vittima e colpevole.
“Rilessi la lettera di Beggiato. L'assassino, il pezzo di merda, il figlio di puttana chiedeva la mia pietà. Accartocciai le lettere e le gettai nella spazzatura”.
La lettera di Raffaello ha dietro un
piano, per uscire dal carcere e scappar via, coi soldi della rapina
ancora in mano a quel complice il cui nome non ha mai voluto fare.
Ma in questi anni Silvano non solo non
è riuscito a ricostruirsi una vita: la sua esistenza si è mutata
come fosse in un carcere dove, anziché le pareti di cemento, ci sono
le pareti del dolore
“Il dolore pulsava come quello di una ferita infetta ma mi faceva sentire vivo e mi aiutava a orientarmi nell'oscura immensità della morte”.
La sua
Clara
è morta dopo una lunga agonia in ospedale: le sue ultime parole gli
sono rimaste scolpite dentro: “Non vedo più nulla, ho
paura, ho paura, aiutami, è buio”.
No, Silvano non può
perdonare affatto l'assassino della moglie e del figlio: perché per
perdonare bisognerebbe provare ancora dei sentimenti, avere una vita,
delle passioni che ti fanno sentire vivo.
A Silvano sono
rimasti i pochi ricordi che tiene chiusi in garage e la voce della
moglie, cui chiede ispirazione per le sue scelte. Come una persona
malata di mente ..
Anche Silvano
allora escogita un piano per vendicarsi di Raffaello: un piano
criminale per far pagare all'assassino e al complice, su cui si è
messo sulle tracce, le loro colpe.
“La mia esistenza era chiusa per sempre dall'oscura immensità della morte. Il mio presente e il mio futuro erano solo tempo trascorso in anticamera in attesa della fine perché non mi era rimasto altro..”
Da vittima a
carnefice, boia, giudice che emetterà una sentenza definitiva e
senza appello.
Il suo sprofondare
in questa “oscura immensità”, in questo “buio sempre
più profondo” lo porteranno a compiere dei delitti, per cui
non proverà alcuna pietà. Per cui rischierà di trovarsi ad un
passo dal finire dalla parte sbagliata dalla legge.
A meno che
qualcuno, la persona che meno te la aspetti, non gli dia una seconda
possibilità …
L'oscura
immensità della morte racconta, mettendole l'una al fianco
dell'altra, due tragedie personali che si fondono: il detenuto che si
rende conto di aver sbagliato tutto, che avrebbe potuto vivere una
vita diversa solo se .. e quella della vittima, schiacciato dal
dolore e incapace di uscirne fuori. Di fronte alla domanda di grazia,
presentata dall'avvocato del suo carnefice, la sua reazione è
improntata al rancore e al desiderio di vendetta.
Una storia
nerissima, raccontata in modo asciutto, veloce con un ritmo
volutamente incalzante, con argomentazioni politicamente scorrette,
secondo la mentalità comune, ipocrita e falsa.
I ladri in galera
senza alcuna pietà perché non cambieranno mai.
In galera a
proteggere la vita delle brave persone fuori. Anche quelle che covano
il proprio demone dentro.
Da questo, parte la
catena degli eventi di questo romanzo in cui Carlotto riesce a
raccontare una storia che si può leggere a più livelli.
Sulla
strumentalizzazione del dolore delle vittime (da parte dei media),
specie quelle dei reati “comuni”, come rapine e furti.
Sulle condizioni
ignobili delle carceri italiane, pensate per redimere i carcerati,
per renderli alla società migliori di come sono entrati. Luoghi dove
invece si inacidisce l'animo, nelle piccole prepotenze quotidiane,
nelle piccole ruberie.
La scheda del libro
sul sito
di Edizioni e/o
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