Qualcuno tirerà in ballo la solita realpolitik: meglio Al Sisi, il generale golpista piazzato dagli Usa che non al Qaeda o Isis.
Meglio per chi però?
Per gli interessi italiani in Egitto, come al solito quelli dell'Eni, non certo quelli degli egiziani.
Perché, che sia Isis o governo militare, in Egitto si muore: sono circa 340 le persone fatte sparire in Egittone gli ultimi due mesi, le vittime del regime, secondo Human Right Watch sarebbero circa 3000. Non c'è solo il nostro connazionale Giulio Regeni, scomparso nel giorno dell'anniversario della rivluzione egiziana. E probabilmente anche torturato.
Ma tutto questo vale gli interessi economici nel paese delle piramidi, per esempio lo sfruttamento del grande giacimento di gas scoperto nel Mediterraneo.
La lezione di Gheddafi, o di Ben Ali, o di Assad non è stata ancora imparata oppure, al contrario, è stata valutata anche fin troppo bene.
Meglio un dittatore che faccia il lavoro sporco per noi, per i leader delle democrazie occidentali, come l'Italia, il paese della cultura che non si farà piegare dal terrorismo e non cederà ai suoi valori. Quella dove il leader rottamatore si è pure complimentato col generale:
"in questo momento l’Egitto può essere salvato solo dalla leadership di al-Sisi (...), sono orgoglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a proseguire nella direzione della pace".
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