Il martedì di giugno in cui
Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte. Aveva cominciato aprendo gli occhi nell'oscurità fonda della sua camera, dove la finestra ben tappata non lasciava filtrare il minimo raggio.
La donna della domenica è uno
dei romanzi più famosi della coppia di scrittori torinesi, Fruttero
& Lucentini: scritto nel 1972, racconta del mondo della borghesia
torinese, rinchiusa nel suo mondo di regole e tradizioni, irritata da
tutti i cambiamenti che arrivavano all'orizzonte (dalle orde di
meridionali che infestavano i loro quartieri, ai nuovi palazzoni di
cemento tirati su per ospitarli), costretta a sfruttare la propria
intelligenza in cervellotiche discussioni su come si pronuncia una
parola in inglese, su quanto sia “affettato” ricorrere alla
pronuncia americana, giusto per fare scena.
Per questo racconto di una borghesia
che non c'è più forse, ma che ha sicuramente lasciato nelle tracce
nella Torino di oggi con le sue illusioni di ex città industriale, i
due scrittori hanno fatto ricorso allo schema del giallo.
Si parte dal delitto: un architetto che
viveva ai margini di questo mondo, mal tollerato dai più e
addirittura indicato come maschera per quei comportamenti che è
meglio evitare, ucciso nel suo studio da un oggetto in marmo molto
particolare. L'architetto Garrone, che l'autore ci presenta
subito nelle prime pagine, ansioso per quel appuntamento della sera,
che gli avrebbe cambiato la sua misera vita.
— Ma che cosa fa, esattamente? — s’informò la signora Piacenza. — Niente, che io sappia, — disse Vollero, alzando le spalle. — Lo scroccone, il parassita.L’establishment non aveva pietà, pensò l’americanista Bonetto, con due parole ti stroncava un uomo.
Gli altri
personaggi ci vengono fatti conoscere un poco alla volta: Anna
Carla Dosio, moglie bella e bionda dell'industriale torinese, che
incontriamo nel libro mentre sta scrivendo una lettera di fuoco
all'amico Massimo Campi, figlio di quegli industriali da
generazioni.
La colpa
dell'amico? Avergli rinfacciato quella pronuncia della parola Boston,
all'americana, con quella a strascicata, come a voler far vedere a
tutti che si conosce l'inglese. Come avrebbe fatto l'architetto
Garrone, appunto..
“Caro Massimo, indipendentemente dal resto, io dell’architetto Garrone...”. Ma chi è? Tu lo sai?
— No.
È finito?
— No, continua: “... io dell’architetto Garrone ne ho abbastanza. Tutti i giorni è troppo. Omicidio abituale o no...”.
— Omicidio?
Lettera che,
raccolta dalla coppia di domestici licenziati, rischia di diventare
un elemento a carico per le indagini della polizia. Perché qualcuno,
la sera precedente, ha veramente ucciso quel Garrone: un colpo alla
testa con un fallo di pietra, una statua che aveva nel suo studio per
mostrare la sua spregiudicatezza come gusti sessuali.
E' una pista da
maneggiare con cura e che viene affidata al commissario Santamaria,
siciliano ma trapiantato a Torino con una certa conoscenza di
quell'ambiente, quello dei signori della città:
Erano umilissimi, i veri “grandi” di Torino. Ma appunto lì – sospirò il commissario – stava la difficoltà: non sentendosi superiori a te, gli dava un fastidio tremendo che tu potessi sentirti inferiore a loro;
L'indagine si
sdoppia anzi, ad un certo punto, prenderà anche più snodi ma lo
vedremo poi: c'è quella che parte dalle testimonianze, il geometra
Baucherio che ha scoperto il cadavere e poi una signora bionda
uscire dal portone dello studio del Garrone; una signora che vive in
collina che ha visto quella bionda, con in mano un bastone o qualcosa
di simile.
C'è poi
l'indagine, discreta, dentro “l'ambiente”, andando a sentire gli
esponenti di quel mondo, di cui Garrone pure faceva parte pur essendo
lasciato ai margini. L'americanista Bonetto, il gallerista Vollero, e
poi la Dosio e il Campi:
— Boston. Tutto comincia dalla parola Boston. O più precisamente, da una discussione sulla sua pronuncia. Ora... S’interruppe vedendo il commissario stringere gli occhi..
Un mondo dove si fa un dramma per la
pronuncia sbagliata di una parola, dove ci si indigna perché il
proprio parrucchiere si può permettere una vacanza esotica (“Sono
cose dell’altro mondo ..”), perché i meridionali occupano le
case in centro e fanno tanti figli (“ma dove andremo a finire ..”).
Dove si difendono a spada tratta le
gerarchie su chi sta sopra e chi sta sotto.
Dove si discute del De Quincey e del
suo libro “L'assassinio come una delle belle arti”, di teatrini
fatti usando le cattivi abitudini delle persone.
Un mondo dove Santamaria viene
trascinato dentro:
Come c’era salito, su questi rami altissimi e insensati? Laggiù, in basso, ci doveva essere un cadavere col cranio sfondato, quella madre che piangeva in silenzio,..
E poi c'è una
terza indagine, portata avanti da Lello Riviera, il compagno del
Campi, fatta all'interno del mondo di geometri e architetti (come lo
era Garrone) e sfruttando l'aiuto dei colleghi al comune di Torni,
per capire se Garrone fosse stato ucciso per una questione di
rivalità su alcuni lavori.
Ma chi ha ucciso
veramente il Garrone, l'osceno Garrone, quell'uomo che doveva essere
estromesso dal mondo dorato di quella borghesia annoiata, costretta a
vivere alla giornata, senza grossi obiettivi davanti?
Cosa voleva dire,
il morto, con quella sua allusione a proposito di pietre, la sera
stessa prima di venire ucciso: “Fiori? No, grazie, stasera mi
occupo di pietre”?
Non è un'indagine
facile, anche per quella riservatezza dell'ambiente che “fuori
dall’ambiente si chiamava invece omertà”.
La coppia Fruttero
e Lucentini ci porta per mano dentro la Torino trasformata dal boom
dove trovavi sempre qualcuno più meridionale di te:
A Torino, il commissario aveva incontrato perfino dei pugliesi, dei calabresi, che parlavano dall’alto in basso dei “terroni”. Era come un morbo locale e inevitabile, la malaria, la febbre gialla: dopo un po’ che stavano qui, tutti cominciavano a cercare qualcuno che fosse più a sud di loro,..
La
città dove gli enormi giardini delle ville in collina dei signori
venivano man mano venduti e lottizzati, per tirar su “case
di condominio lussuose e infami, dove mogli di pediatri cucinavano su
esigui terrazzetti bistecche alla brace di carbonella”.
Le tre indagini
sono destinate ad unirsi: la soluzione al caso arriverà al
commissario per tramite di un vecchio proverbio, quello della cativa
lavandera
— Ma chi è stato, commissario? Non si può proprio sapere? Il commissario agitò il rotolo come un lungo indice ammonitore. — È stato un proverbio, — disse. — La cativa lavandera...
Se le prime due
parti, la presentazione dei protagonisti, l'indagine all'interno
dell'ambiente, seguono un ritmo quasi lento, l'ultima parte del libro
subisce un'improvvisa accelerata:
Tutto allora cominciò a muoversi molto in fretta, o perlomeno fu questa la sensazione che, delle ultime ore di quel pomeriggio di giugno, il commissario avrebbe poi sempre conservato: di un gran correre, di un gran chiudersi e aprirsi di sportelli d’auto, di porte e portoni, di armadi, di cassetti,..
Ed ecco
all'improvviso che le elucubrazioni, il delitto come bella arte, il
teatrino grottesco dei Dosio e dei Campi, le vecchie abitudini di
quella borghesia si trasformano in fatti, semplici fatti da mettere
l'uno in fila all'altro. Come dovrebbe essere in fondo il lavoro che
si aspetta da un bravo investigatore: e una volta andati a snidare,
questi fatti, portano ad una storia di avidità e egoismo e di
miseria e di voglia di riscatto dall'altro..
La donna della
domenica è un romanzo scritto in modo elegante, con una sottile
ironia che affiora nelle pagine, quasi spietato nel raccontare il
mondo dei ricchi torinesi, ossessionati dagli arricchiti (come il
parrucchiere che andava in vacanza coi loro soldi), ostaggio delle
loro “piccolezze formali, dure e insolubili” come il modo di
stare a tavola o tagliare l'omelette, o imbarazzati dall'aver
posseduto un'auto, dal dover avere a che fare con degli sconosciuti
rumorosi, estranei al loro mondo.
Quanto sarà
rimasta di quella borghesia nella Torino (o nella Milano) di oggi?
La scheda del libro sul sito di
Mondadori
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