13 aprile 2020

Le inchieste di Report – lunedì 13 aprile


Sono diversi gli argomenti toccati dai servizi che andranno in onda nel corso della puntata di Report di questa sera, sempre legati al tema della pandemia per il corovavirus: la correlazione tra inquinamento tra pm 10 e la diffusione del virus in Pianura Padana; alcune idee per cambiare l'economia mondiale quando arriveremo alla fine della pandemia; un modello digitale per la sanità italiana; la situazione della sanità in Umbria, dopo lo scandalo della giunta PD e infine gli ultimi latifondisti al mondo, i Benetton.

Il lato nascosto (e il costo nascosto) degli allevamenti intensivi

Perché il virus ha colpito in modo così violento proprio le province della pianura Padana e non altre zone del paese, altamente popolate e con relazioni con la Cina?
Solo sfortuna, oppure c'è dell'altro?

Nel servizio di Luca Chianca si parla di allevamenti intensivi, qui nel nord Italia, dei legami con l'inquinamento del territorio: avreste immaginato che per visitare un allevamento di maiali ci si dovesse bardare come per affrontare una guerra batteriologica?
La visita all'allevamento in provincia di Reggio Emilia è stata fatta ad inizio febbraio, quando si considerava il coronavirus solo un problema cinese: “questa visita ci fa capire come il rapporto tra uomo e animale è una materia da maneggiare con cura“ spiega il giornalista.
Si entra bardati nelle zone con gli animali per non infettarli: assieme al responsabile dell'allevamento entrano in una zona di “biosicurezza”, ma sembra di star entrando in una zona di quarantena.
L'attuale pandemia è causata da un virus che è passato dagli animali all'uomo, un meccanismo già avvenuto con quelle passate, la Sars, la Mers, Zica e Ebola.
Che livello di sicurezza garantiscono allora gli allevamenti intensivi qui in Italia?
Luca Chianca è entrato di notte in un allevamento, a Brescia, qualche giorno dopo aver visto quello di Reggio, assieme all'associazione “Essere animali”: nel reparto infermeria animali in agonia, feriti, lasciati lì abbandonati; animali morti lasciati assieme a quelli vivi.
In alcuni casi sono stati proprio gli allevamenti intensivi di maiali il vettore del virus, come il virus Nipah, in Malesia nel 1998.
Moreno di Marco, ricercatore del dipartimento Charles Darwin alla Sapienza di Roma: “questo è un virus che è passato dal pipistrello all'uomo, perché c'erano degli allevamenti intensivi di maiali a ridosso delle foreste tropicali, in cui vivevano le specie di pipistrelli. Quindi i maiali che venivano allevati in alte densità in quelle zone tropicali, si sono presi il virus e l'hanno trasmesso all'uomo e le persone hanno cominciato a morire”.

Torniamo in Italia: come vengono gestiti gli allevamenti nelle province del nord Italia e come vengono smaltiti i liquami degli animali, responsabili del pm 10?
Spesso sono smaltiti nei campi (come mostrano le immagini per l'allevamento di Brescia), inquinando l'ambiente: Luca Chianca si è confrontato con Sabrina Piacentini, ex comandante dei vigili di Quinzano, che gli ha spiegato come liquami e deiezioni debbano essere sparse raso terra, non verso l'alto.


La mappa sulla densità di ammoniaca in atmosfera, in nord Italia, è rosso fuoco nel triangolo tra Brescia, Mantova e Cremona, dove è concentrato il maggior numero di allevamenti, per capire quanto incide l'ammoniaca che fuoriesce dagli allevamenti nella formazione del pm10 è stato interpellato anche il responsabile dell'ARPA Lombardia, Guido Lanzani.
“Gioca un ruolo soprattutto nelle stagioni dove lo spandimento dei reflui è più importante” è la risposta del responsabile: secondo Arpa l'85% dell'ammoniaca deriva dai liquami degli allevamenti ed è uno dei fattori per la formazione del pm10.
Esisterebbe cioè una correlazione tra spandimenti di liquami e aumento del pm10: in Pianura Padana gli allevamenti intensivi sono il responsabile dell'inquinamento dell'aria alla pari del traffico su strada e la combustione di legna nei caminetti e le attività industriali – spiega Riccardo De Lauretis (tecnico dell'Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale), siamo al paradosso che la domenica dovremmo fermare le mucche piuttosto che le auto, il commento del giornalista.
Ma le associazioni di categoria si sono dimostrate poco disponibili ad accettare le proposte da parte dell'Istituto). Non solo: la regione Lombardia ha consentito nel mese di febbraio ben sette spandimenti nella zona del bresciano, anche se era in vigore il blocco.
Fabio Rolfi, assessore all'agricoltura in regione ha spiegato che questi obblighi sono qualcosa di “ancestrale”, la proposta della regione è di arrivare allo spandimento a bollettino agrometrologico, legare gli spandimenti alle previsioni del tempo.
Ma i giorni in cui sono stati concessi gli spandimenti, a febbraio, coincidono con gli sforamenti dei limiti del pm10 in provincia di Brescia.

Pochi giorni fa, l'associazione medici ambientalisti ha pubblicato un “position paper” secondo cui il pm10 abbia aiutato la diffusione del coronavirus in Pianura Padana: lo ha spiegato in collegamento video il dottor Alessandro Miani, queste correlazioni sono già state scoperte per altri virus come l'aviaria, il morbillo, “in certe condizioni [di inquinamento ambientale] il metro di distanza di sicurezza potrebbe non essere abbastanza”.
Secondo lo studio, cioè, il particolato avrebbe trasportato come un aeroplano, anche a decine di metri: il 4% delle particelle che troviamo sul particolato sono proprio virus - conferma il prof Leonardo Setti dell'università di Bologna, citando uno studio fatto in Cina, nel 2013, sul particolato cinese.
Gli studi fatti a Bologna hanno messo in evidenza che laddove c'erano stati i maggiori sforamenti del pm 10 nel mese di febbraio, quando abbiamo avuto l'espansione della virulenza del coronavirus, statisticamente sono aumentate le persone contagiati: “non solo contagiamo le persone che stanno a due metri di distanza, ma contagiamo anche quelle che stanno a dieci metri”.
Lo studio cita proprio il caso bresciano, la zona dove Report ha girato le immagini degli allevamenti e dei liquami sparsi nei campi.
Il giornalista è andato anche a vedere gli allevamenti di Zebù in Brasile, da dove arriva la carne per la bresaola industriale: animali simili ai nostri bovini, con una gobba sul collo come i dromedari, ma del tutto diversi dalle zebre (come pensava il presidente di Coldiretti)..
Qui per favorire i grandi allevamenti di carne, necessari per soddisfare tutta la richiesta, si sta disboscando la foresta, portando a delle situazioni simili a quelle avvenute nella foresta asiatica, con l'avvicinarsi degli animali selvatici, portatori di nuovi virus, all'uomo.
La prossima pandemia è pronta?

La scheda del servizio: IL COSTO DELLA CARNE di Luca Chianca in collaborazione di Alessia Marzi
Se fino agli anni sessanta il letame prodotto dal bestiame era considerato oro per una piccola azienda agricola, oggi è diventato un problema. Tutto è legato agli allevamenti intensivi in cui poche e grandi aziende gestiscono migliaia di capi in piccoli spazi, con la necessità di smaltire i liquami prodotti che però producono grandi quantità di ammoniaca e nitrati con un forte impatto sia nella formazione del Pm10, sia nell'inquinamento delle falde acquifere. Solo pochi giorni fa è uscito uno studio preliminare della Società italiana medici ambientali che, in collaborazione con alcune università italiane, ipotizza una correlazione tra la diffusione del coronavirus in pianura padana e l'inquinamento da Pm10. Il caso monitorato è quello di Brescia e della sua provincia, che insieme a Bergamo, ha raggiunto il più alto numero di contagi. Ed è a Brescia che siamo stati tutta la prima metà di febbraio a documentare come avvengono gli spandimenti di liquami sui terreni, mentre il virus si stava diffondendo tra la popolazione. Il problema dell'impatto ambientale nella produzione di carne esiste anche se l'Italia è un paese importatore perché non riesce a soddisfare la domanda sempre più crescente. Tra i maggiori produttori, con oltre 200 mln di capi bovini c'è il Brasile, a cui si rivolgono alcuni produttori italiani di bresaola. Siamo partiti per il Mato Grosso e il Parà, nel cuore dell'Amazzonia, per capire quanto gli allevamenti sono legati alla deforestazione e quanto questo possa sviluppare nuove pandemie.

Idee per come uscire dalla crisi

Paolo Mondani ha intervistato Joseph #Stiglitz, il premio Nobel per l'economia: “Se dopo Covid-19 l’Europa cercherà di imporre le vecchie regole, i movimenti nazionalisti non avranno più freni”.

Fondo Salva stati, mes, pareggio di bilancio, regola del deficit al 3% .. tutto materiale per la propaganda dei partiti sovranisti, come la Lega in Italia(che pure ha le sue responsabilità su questi strumenti).
Alla fine di questa storia cosa ci lascerà il coronavirus? “Avremo un mondo dove sarà urgente ripristinare l'equilibrio tra il popolo, il potere e il profitto, se non lo capiremo, questa crisi ne preparerà un'altra peggiore, lei se la immagina una peggiore di questa?”.
La scheda del servizio: COME NE USCIREMO? di Paolo Mondani in collaborazione di Norma Ferrara

Con la pandemia avanza anche la crisi economica globale. Ci troviamo di fronte alla più pericolosa delle recessioni economiche. Ma sarà anche un’occasione per rifondare l’economia? Mentre in Europa ci si scontra sugli Eurobond, Report è andata in cerca di risposte dai più influenti economisti del mondo.

Un modello digitale per la sanità

Il futuro della sanità non dovrà essere più fatti di prescrizioni su carta, di esami stampati che un medico deve consultare solo su carta, di strutture e centri che si parlano in formato digitale, in rete.
E forse nemmeno avremo bisogno del medico a portata di mano (e questa infezione ci ha fatto capire quanto siano preziosi i medici e i presidi sul territorio): già ai tempi dell'invenzione della radio da parte di Marconi, il suo medici gli disse “pensa con questa invenzione tutti quelli che sono a bordo delle navi potrebbero essere curati”.
Così nacque la radiomedicina e nel 1935 anche il “Centro internazionale Radio Medico”, primo presidente Guglielmo Marconi, secondo presidente la regina d'Italia.
Occorreva una radio, una valigetta coi soccorsi, un fonocardiogramma, una stazione ricevente con un medico e la salvezza dei marinai viaggiava sulle onde radio: oggi abbiamo molto di più e quello che era la valigetta del pronto soccorso potrebbe essere composta dai dispositivi che raccolgono i nostri parametri vitali, casa per casa e li trasformano in dati che viaggiano in rete verso medici e ospedali.
Michele Buono ha intervistato Sergio Pillon, direttore del centro internazionale radio medico: “queste sono tutte tecnologie disponibili e molte sono basate sulla normale video conferenza, ma anche poco meno di quello che noi abbiamo in whatsapp (il sistema di messaggistica)”.

Tutti abbiamo bisogno del medico di base, con buona pace dell'ex sottosegretario leghista Giorgetti, ma forse non abbiamo più bisogno di muoverci fisicamente negli studi dei medici.
Il servizio racconterà anche la bella iniziativa di alcuni medici italiani nel mondo, che si sono messi a disposizione per delle visite online, per fare delle diagnosi online: l'iniziativa si chiama vicinivinciamo e ci si può registrare sul sito www.davincisalute.com


La scheda del servizio: PROVE DI SANITÀ DIGITALE di Michele Buono
Se il Sistema Sanitario Nazionale fosse organizzato come un’infrastruttura digitale, sarebbe possibile integrare dispositivi che consentono il monitoraggio dei pazienti in remoto con i servizi delle strutture sanitarie. In questo modo diminuirebbero le degenze e gli ospedali potrebbero concentrarsi solo sulle patologie acute. Sarebbe un sistema più efficiente, non solo per fronteggiare le emergenze ma anche per gestire l’ordinaria amministrazione, con un grande risparmio sui costi migliorando contemporaneamente la qualità dei servizi.

La sanità in Umbria

In Umbria molte strutture sono state commissariate, non erano preparate all'arrivo dell'emergenza: la risposta all'arrivo del virus è arrivata dall'alta flessibilità (organizzativa e gestionale) che è stata messa in campo dal personale, spiega il commissario dell'ospedale di Perugia.
In questa regione in molti pongono speranze nei test rapidi contro il virus, come quelli che stanno facendo in Veneto, per rivelare la presenza di anticorpi nel nostro sistema immunitario.
Questi test sono fatti all'ospedale di Perugia, accanto ai tamponi: a differenza dei tamponi, questi test sul sangue danno una risposta veloce, anche se sono ancora da validare.
Secondo la direttiva del ministero della Salute, che ha fatto chiarezza, questi test non possono sostituire il test molecolare, basato sull'identificazione dell'RNA virale, cioè il classico tampone.
Antonella Mencacci, direttrice del laboratorio di microbiologia, ha spiegato che questi test possono servire a gestire in questa fase epidemica, molto rapidamente il paziente eventualmente positivo: “l'idea è che un paziente con gravi sintomi, febbre, tosse, debba essere immediatamente ricoverato, se in quindici minuti riusciamo a capire con questo test, se è infetto, riusciremo a trattarlo nel modo migliore”.
Servono però altri studi per dimostrare che un positivo a questi test è veramente un caso positivo al coronavirus.
In assenza della certificazione, rimane il tampone, col problema che in questa regione i reagenti per fare i test scarseggiano.

La scheda del servizio: LA GUERRA DEGLI INFERMIERI di Lucina Paternesi in collaborazione di Giulia Sabella
«Qui ce so le domande, tra quelle lì... sta’ tranquilla». Diceva così il direttore dell'azienda ospedaliera all’allora presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini. Neanche un anno fa l’intera classe dirigente del Pd umbro veniva spazzata via dall’inchiesta Concorsopoli, in cui venne arrestato l’ex sottosegretario agli interni Gianpiero Bocci, l’ex assessore regionale alla sanità e indagata, assieme ad altre 35 persone, anche la governatrice Marini. Nelle carte si profila un’associazione per delinquere che, per almeno tre anni, avrebbe pilotato tutti i concorsi all’ospedale di Perugia. Un anno dopo, con l’intera sanità totalmente commissariata, come sta reagendo l’Umbria all’emergenza Coronavirus? Si scontano ritardi e penuria di medici e infermieri e chi lavora oggi in emergenza lo fa con gravi carenze di dispositivi di protezione. Eppure la Regione aveva un piano pandemico fin dal 2007, che non è stato mai aggiornato. La nuova giunta di centro destra ha dato l’incarico di assessore regionale alla sanità a un fedelissimo di Salvini, il geometra Luca Coletto. In ritardo, rispetto alle altre regioni, è stata disposta la stabilizzazione dei precari mentre gli specializzandi, oltre che le altre categorie sanitarie, hanno già aderito a bandi di altre regioni.

Gli ultimi latifondisti


Report è andata in Patagonia ad intervistare la leader del movimento di recupero delle terre ancestrali indigene Moira Ivana Millán: i latifondisti, gente famosa e ricca che viene da lontano, hanno a poco a poco, causato la disgregazione della comunità Mapuche – racconta al giornalista nella sua intervista.
Voi di sacro avete la proprietà, noi di sacro abbiamo la vita. Voi vedete la terra come una forza produttiva, per noi è qualcosa di identitario e spirituale, la nostra logica è quella di vivere in armonia, reciprocità e amore con questa terra. Questo è un territorio recuperato, lo hanno riconquistato le donne Mapuche, mia madre, mia sorella e io, e tutti coloro che sono voluti arrivare sin qui. Le donne sono le grandi vittime di queste politiche di acquisto: siamo le grandi rifugiate dei cambiamento climatico, siamo noi a doverci muovere, siamo noi a doverci muovere quando il nostro fiume diviene inquinato, siamo noi quelle che alla fine devono fare i conti con quello che i nostri figli troveranno nel piatto. Per questo siamo noi a lottare contro chi è alla ricerca di laghi, fiumi, dei nostri spazi sacri. L'acquisto di questa terra non solo mette in gabbia le nostre famiglie, soprattutto viola la nostra spiritualità, la nostra economia, alimentata da noi donne. Noi Mapuche, ma soprattutto noi donne, crediamo di aver diritto a questa terra perché la terra è il nostro corpo e il nostro corpo è la terra che abitiamo. Questo fiume che difendiamo, corre anche dentro ognuna di noi, la terra che calpestiamo, vive dentro di noi. La lotta per recuperare il nostro legame con la terra è fondamentale perché è la lotta della famiglia. Stiamo lottando per le guerriere e per i guerrieri del futuro, per i guardiani e per le guardiane della natura che stiamo mettendo al mondo. ”

La scheda del servizio: IL LATIFONDISTA di Giuliano Marrucci in collaborazione di Giulia Sabella
Sette gigantesche tenute, centinaia di migliaia di pecore, decine di migliaia di mucche, migliaia e migliaia di ettari di monocolture di Pini, ma soprattutto tanta, tanta terra inutilizzata, per un totale di oltre 900 mila ettari, come la Regione Marche. Sono i numeri impressionanti dei possedimenti Benetton in Patagonia: il più grande latifondo di tutta l’Argentina. Terra che però le popolazioni locali rivendicano. Sono le combattive comunità Mapuche, che hanno dichiarato guerra ai Benetton.

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