A
Report si torna a parlare dell'emergenza per il Coronavirus: il
caso Bergamo, la provincia che ha contato più morti, perché non è
stata decretata zona rossa?
Come è stata gestita l'emergenza in
Campania e in Sicilia.
Infine immagini da Wuhan, come è stata
gestita la crisi, ma a che prezzo?
La vestizione prima della visita ai
malati dl Covid-19, come la signora anziana caduta in casa: immagini
che fanno capire quanto sia importante proteggere la salute degli
anziani, per dare umanità dietro alle cifre date durante le
conferenze stampa.
Ecco come lavorano gli operatori del
118: con tute, guanti, occhiali.
E poi le immagini da Medicina,
zona rossa per decreto regionale dell'Emilia: qui le forze
dell'ordine controllano che nessuno esca o entri, i beni entrano
sotto controllo della polizia.
Il sindaco ha deciso di chiudere tutto,
per evitare contagi e morti: qui solo chi trasporta merci di prima
necessità e ai medici è consentito spostarsi.
Il virus ha attaccato dove la socialità
era più viva: nei bar, nei doposcuola, nel centro sociale.
Qui sono morti 14 anziani, qui è
successo in piccolo quello che è successo a Bergamo: per salvarla,
il direttore dell'AUSL decide di chiuderla, trasformarla in città
fantasma, fino a quel momento era stato il governo a decidere coi
dpcm la chiusura di città o zone.
Senza aspettare il governo, tutto per
salvare la vicina città di Bologna: subito dopo la chiusura si è
però gestita la situazione per gli anziani e per le persone
bisognose, facendo ricorso ai volontari della protezione civile e a
gruppi di assistenza domiciliare.
Dal 3 aprile Medicina non è più zona
rossa ma si sta cercando il virus casa per casa, tramite le unità
speciali di assistenza domiciliare, che fanno tampone per casa, prima
che le persone rimangano a casa a “bagno maria” con la febbre.
Un esempio da seguire, che andrebbe
esteso anche in altre città.
L'esempio che non è stato seguito però
a Bergamo.
E nemmeno in Campania, dove nel comune
di Santa Anastasia hanno imparato subito cosa succedeva a non fare
subito i tamponi.
Qui alla casa di cura, meta di
pellegrinaggio, hanno perso giorni prima di fare tamponi agli
assistiti anziani, finché non si sono ammalati diversi ospiti.
Le autorità sono state allertate
subito, ma solo sette giorni dopo sono arrivati i medici per fare i
tamponi e tre anziani erano già morti. Dopo alcuni giorni sono
arrivati i risultati dei tamponi: i contagiati erano già 32 (su 50
in totale), tra pazienti, religiosi e personale, che ora vivono
blindati nella casa di cura.
Dal cancello della casa escono solo le
bare delle persone che stanno morendo oppure entrano le ambulanze per
prendersi i pazienti che stanno peggiorando.
Quando i pazienti sono anziani o con
patologie pregresse, non sono in grado di deambulare: significa che
gli infermieri li devono sollevare, avvicinandosi, prendendoli in
braccio, senza quindi poter mantenere la distanza minima di
sicurezza.
A mezzogiorno le note dell'Ave Maria,
che escono dal monastero, avvolgono tutto il paese: ci si affida
anche a questo, alla fede, pur di uscire da questo dramma.
La casa di cara Santa Anastasia è solo
un esempio di quello che sta succedendo dentro le case di cura in
Italia non solo al sud: in Lombardia sta avvenendo uno scaricabarile
tra le case di cura, i comuni e la regione governata dal leghista
Fontana sulle responsabilità.
La sanità fiore all'occhiello non ha
saputo gestire e proteggere gli anziani: perché la zona del
bergamasco non è stata trasformata in zona rossa?
Forse perché anziché la zona rossa
prevalsa la zona grigia del profitto, che ha causato diversi errori.
Il 23 febbraio è il giorno zero della
pandemia nel bergamasco: la struttura di Alzano viene sigillata
subito, l'escalation parte da qui, perché l'ospedale viene riaperto
dopo qualche ora.
Come mai? Giorgio Mottola lo ha chiesto
al sindaco di Nembro e ha anche raccolto l'intervista di un
infermiere.
Quando sono scoperti i primi positivi è
scattato il panico ed è scattato l'ordine di chiudere l'ospedale: i
pazienti erano entrati in contatto con i contagiati, nell'immediato
non è stata fatta alcuna bonifica dei locali, non c'è stata subito
una suddivisione tra zone pulite e sporche.
L'ospedale è stato così riaperto
senza separare positivi al covid dagli altri malati: così è partito
il contagio che sarebbe iniziato anche prima dal 23 febbraio.
“Abbiamo visto arrivare in Pronto
Soccorso delle polmoniti strane e non abbiamo mai pensato fossero dei
Covid, nemmeno quando Codogno era già in zona rossa”: c'era i
segnali, dunque, pazienti anche quarantenni, dall'inizio gennaio, con
sintomi da Covid.
Ma poi quando il virs è stato
riconosciuto, sono state prese delle misure con grave ritardo, sono
stati aspettati due giorni prima di fare i tamponi e così, i
positivi al Covid passano da 2 a un migliaio in pochi giorni.
Per Codogno sono bastati 50 contagiati
per diventare zona rossa, come mai qui no?
Nei primi di marzo l'ISS pensava di
trasformare la zona del bergamasco in zona rossa: sono preoccupati
per come si stanno mettendo le cose nella zona di Val Seriana.
Il sindaco di Alzano racconta che erano
pronti per la zona rossa, erano state allertate le forze dell'ordine,
la prefettura aveva confermato la zona rossa... Invece poi non si
chiudeva mai.
Anche Giorgio Gori è sicuro: la zona
rossa era lì lì per arrivare, ma alla fine è arrivato l'esercito
ma non la zona rossa.
Conte, andato in tv l'otto marzo, non
annuncia la zona rossa per il bergamasco: solo un vincolo per evitare
che le persone si spostino dai territori, solo una zona arancione, le
fabbriche restano aperte.
I contagi erano già 927 quel giorno:
Confindustria di Bergamo aveva esposto la sua posizione sin dalla
fine di febbraio, pubblicando sui canali social un video in cui si
diceva che Bergamo non avrebbe fermato la produzione.
Tutte le aziende “faranno affari come
sempre”, perché Bergamo deve correre, non può fermarsi: qui ci
sono aziende che hanno un peso importante sul PIL nazionale.
IL governo ha così ha scelto da che
parte stare: al sindaco di Alzano sono arrivate tante telefonate da
imprenditori che volevano evitare la zona rossa, che chiedevano di
come svincolare il blocco. . “Confindustria deve farsi un esame di
coscienza”.
Marco Bonometti, presidente di
Confindustria, diffondeva il messaggio di abbassare i toni, perché
il rischio di infezione era basso.
Oggi, col senno di poi, forse avranno
capito l'errore di quella comunicazione, ma negano di aver fatto
pressione.
E allora perché non si è fatta la
zona rossa? Giulia Presutti lo ha chiesto ai vertici dell'Istituto
Superiore della sanità, come Brusaferro.
Che però non ha risposto: noi
trasferiamo pareri alla politica – hanno risposto - noi avevamo
fatto la proposta, ma poi si è scelto di rendere la Lombardia zona
arancione.
Ogni regione ha deciso di muoversi da
sola, sono nate tante zone rosse per ordinanze regionali: in Campania
come anche nel Lazio.
Così oggi tutti hanno l'alibi pronto:
Fontana e Gallera aspettavano il governo, il governo non commenta, i
sindaci danno la colpa alle pressioni delle industrie. Un gioco delle
parti, sulla pelle delle persone che vivono e abitano in una zona
industriale, che ha rapporti con la Cina tra l'altro.
Alla Tenaris nello stabilimento di
Dalmine lavorano 7000 persone, Brembo fa affari con la Cina, nei suoi
stabilimenti lavorano 3000 dipendenti; ABB è leader nelle tecnologie
per la robotica, conta 6000 dipendenti.
E poi c'è la Persico, la cui fabbrica
costruisce parti per scafi di barche: la sua sede è a Nembro, il suo
presidente, Persico, era preoccupato per la chiusura della zona per
l'infezione.
Persico era preoccupato per l'aspetto
produttivo – ammette il sindaco di Nembro: ma ha chiamato anche al
sindaco Gori.
Qui gli operai hanno lavorato fino al
23 marzo, dove il governo ha deciso di chiudere la produzione non
essenziale: si sono persi giorni preziosi in cui il numero di infetti
è salito a più di seimila.
Aziende come la Tenaris, che produce
tubi per esplorazioni petrolifere, hanno lavorato come se niente
fosse, unico accorgimento stare ad un metro di distanza (norma
impossibile da rispettare, nelle mense ci si ammassava, niente
mascherine a parte i primi giorni).
Qui ci sono stati dei morti, altri sono
in terapia intensiva.
Per le pulizie veniva dato il Vetril
...
Il 23 marzo il governo ha deciso di
chiudere le fabbriche, nell'intero territorio nazionale, escludendo
le imprese che producono beni e servizi essenziali.
Lo decide il codice Ateco, ma nel
giorno successivo molte aziende nel bergamasco si fanno riconoscere
come essenziali, a tutti i costi.
Il 30 marzo i contagi salgono al 8000,
mentre nella zona un migliaio di aziende rimangono aperte: nella ABB,
i vertici aziendali avevano proposto un flash mob, abbracciano
l'azienda.
Alla ABB erano tutti a lavorare: la
produzione andava avanti.
Gli imprenditori del bergamasco negano
alcuna pressione nei confronti del governo: così hanno scritto a
Report.
Ai pazienti non è stato fatto il
tampone, così i contagi sono saliti: in Lombardia si è deciso di
fare il tampone solo negli ospedali, così escludendo gli ammalati in
casa, non si conosce il numero reale di contagiati (e nemmeno il
numero dei morti).
Ad Alzano ci sono stati 101 morti, per
Covid solo 54. L'anno scorso erano solo 9.
A Nembro i morti sono stati 145, l'anno
scorso 14.
A Bergamo i morti sono stati 553,
l'anno scorso i morti erano stati 125: stiamo vedendo solo la punta
dell'iceberg, non vediamo i morti invisibili, le persone che muoiono
a casa senza tampone, oppure gli anziani che muoiono nelle case di
cura.
Nessun tampone nemmeno dentro le RSA
bergamasche e nella Lombardia.
Un'ecatombe silenziosa.
Un'ecatombe che si poteva contenere se,
il 23 febbraio, si fosse deciso di sigillare le strutture della
valle, per tener fuori il virus: ma la regione Lombardia ha
consigliato vivamente di tenerle aperte, per non creare il panico.
Ma era un consiglio sbagliato, senza
che arrivassero tamponi e mascherine.
Iniziano a morire anziani e infermieri,
così.
Come mai in Lombardia è stata adottata
questa politica sui tamponi?
Fontana parla di speculazioni
vergognose, si nasconde dietro i protocolli dell'ISS e dall'organismo
scientifico che segue il governo.
Ha seguito i protocolli per i tamponi
ma non sull'istituzione della zona rossa e comunque in Lombardia non
si fanno i tamponi su tutti i sintomatici.
Il caso di Vo Euganeo.
Giorgio Mottola è andato in Veneto a
Vo Euganeo che, insieme a Codogno, è stato uno dei due focolai del
virus: quando sono spuntati gli infetti la strategia messa in atto
dalla regione è stata diversa da quella adottata in Lombardia, tutti
gli abitanti di Vo Euganeo sono stati a tampone e si è realizzata
così una mappa precisa dei contagiati.
Giorgio Mottola ha intervistato Andrea
Crisanti, direttore del laboratorio di virologia di Padova:
“Se si fosse adottata la stessa
strategia impiegata a Vo, subito, al giorno zero avremmo visto
un'altra storia (il riferimento è a quanto successo in Lombardia a
Bergamo)”: la sua intuizione di fare il tampone in massa è stata
felice, perché ha consentito di scoprire che il coronavirus si
presentava anche in coloro che non avevano sintomi.
Il dato epidemiologico – racconta il
virologo – dice che per ogni persona con sintomi, ne esistono altre
tre asintomatiche: per questa ragione Cristanti ha avviato l'uso dei
tamponi in tutto il Veneto, non solo ai malati, ma anche ai familiari
e a tutte le persone con cui sono stati in contatto le persone
positive al test.
In questo modo però Cristanti ha
contravvenuto alle indicazioni dell'OMS e alle direttive del
ministero della salute: “secondo le direttive del ministero, la
prima persona entrata in ospedale per il virus, che non era stata in
contatto con persone provenienti dalla Cina né con persone infette.
Quindi noi la diagnosi l'abbiamo fatta contraddicendo questa
direttiva che era fondamentalmente sbagliata, come i fatti hanno poi
dimostrato”.
Lei è stato fuorilegge sin
dall'inizio, ha commentato il giornalista: “ho imparato una cosa,
che nella scienza bisogna sfidare lo status quo se si vuole andare
avanti”.
Gli effetti della strategia dei tamponi
quali sono stati?
La curva di crescita degli infetti in
Veneto è cresciuta molto meno velocemente rispetto a quella della
Lombardia e non è la sola differenza: il 26 febbraio Veneto e
Lombardia avevano gli stessi dati sui contagi, contrariamente a
quanto si è verificato nell'ospedale di Bergamo, a Padova non si
sono registrati casi di medici e infermieri contagiati all'interno
della struttura sanitaria.
A Padova si fa il tampone prima di
accedere all'ospedale, senza impegnativa, per il personale sanitario
si sono adottate misure di prevenzione più stringenti. Si misura la
temperatura ad inizio lavoro, se questa sale oltre il 37,5, vengono
inviati nei reparti infettivi.
Veneto e Lombardia hanno adottato due
misure diverse: in Veneto ci sono più ospedali pubblici, ci sono più
strutture territoriali, mente in Lombardia, dopo la riforma
Formigoni, gli ospedali pubblici sono in competizione col privato,
togliendo posti di letto al pubblico, che andavano al privato.
Nel bergamasco le cliniche private sono
del gruppo San Donato, oggi presieduto da Alfano, l'altro gruppo
Humanitas è del gruppo Rocca.
La sanità privata si è data da fare
solo dopo l'otto marzo, quando si sono chiusi i reparti non
essenziali: ma hanno chiesto una deroga al rimborso delle prestazioni
alla regione.
Siamo privato, ma ricordatevi che ci
dovete pagare.
C'è poi stata la riforma dei medici di
base, che secondo Giorgetti non servono: riforma voluta da Maroni che
ha depotenziato i medici di base (per far ingrassare il privato),
trasformandoli in gestori.
Quando sarà finito tutto questo
dovremo ricordarci degli invisibili, dei lavoratori precari nella
sanità, perché c'è il profitto da tenere alto, come il PIL, un
indicatore che cresce coi morti e coi terremoti.
Ricordiamoci degli evasori che oggi
possono comprarsi le aziende in crisi perché hanno portato i soldi
all'estero.
IL PIL non calcola l'abnegazione al
sacrificio di medici e infermieri, la felicità dei nostri figli,
tutto ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta.
Dalla Lombardia in Campania.
Dopo l'aviaria avremmo dovuto preparare
dei piani per contenere gli effetti del virus: tenere da parte scorte
e kit per la diagnostica, il piano della Campania risale al 2006.
LA Campania è la regione del sud tra
le più esposte al rischio del crollo del sistema sanitario, nel caso
in cui dovesse crescere il contagio: Federico Ruffo ha intervistato
telefonicamente un infermiere dell'Ospedale del Mare a Napoli, che
ammette di un potenziale omicidio colposo di massa, di cui si sentono
in parte responsabili, come degli untori, quando tornano a casa dalle
loro mogli e figli e parenti, chiunque.
Lo staff del governatore De Luca ha
realizzato un video che mostra il presidente mentre visita il
cantiere di un nuovo ospedale dove saranno pronti dieci nuovi posti
per curare il virus, all'ospedale Loreto Mare.
Insieme a lui il direttore della ASL
Napoli 1, ed Enrico Coscioni il consulente per la sanità di De Luca,
che ha tenuto per sé l'assessorato alla sanità.
Indossano tutti mascherine FPP2 e FPP3,
le migliori per combattere il contagio: ma sono quasi le uniche che
girano all'interno degli ospedali per medici e infermieri.
Le mascherine che la regione fornisce
ai presidi e ai medici di base sono solo quelle chirurgiche: alcune
nemmeno vanno bene per i medici.
Qui in Campania si rischia il collasso
nel caso crescano i casi: ci sono 400 posti per la rianimazione,
altri non se ne possono garantire.
Al San Giovanni Bosco, le tende
pre-triage sono poste dopo il pronto soccorso, vicino al parcheggio
del personale. Sono solo di bellezza.
I pazienti devono andare dentro le
tende con una ambulanza, una cosa poco pratica, così i medici le
tende non le usano.
AL Ruggi di Salerno la tenda, unica, è
vicino all'ingresso.
All'Ospedale del Mare, le tende sono
usate per fare i tamponi a parte del personale e oggi sono sgonfie.
In questo ospedale mancano presidi basilari, il personale usa solo
mascherine chirurgiche, che non proteggono in entrata.
Le maschere sono della Goeldlin, non
proteggono le vie respiratorie nemmeno dalla polvere sta scritto
sulla confezione.
Come sono arrivate nell'ospedale
campano? Sono una donazione del proprietario, un gesto di generosità
che però non aiuta i medici.
Medici che attengono i dispositivi e
anche i tamponi: nell'area di Napoli sono tre gli ospedali che li
fanno, ma tutti si concentrano attorno al San Paolo.
Ma la macchina sta sotto sforzo, fa 700
tamponi al giorno, dunque per dare una risposta occorrono anche dieci
giorni.
Servirebbero maggiori macchine negli
altri ospedali, maggior personale, altri posti letto.
In Campania non si conosce nemmeno il
patrimonio immobiliare di tutte le ASL: tra gli ospedali attivi
figura anche lo Scalese, un ospedale chiuso, il San Gennaro, dove
tutto è pronto ma non c'è nessuno.
Nella zona sud della Campania la
situazione è peggiore: a Vallo della Lucania c'è un solo posto e
mancano le ambulanze per il trasporto.
Nella zona del salernitano gli ospedali
più vicini e attrezzati sono quelli di Scafati e il Ruggi, ma
parliamo di un territorio dove è difficile spostarsi.
De Luca ha ereditato un buco di
miliardi, non tutti i problemi sono colpa sua: ma né lui né il
direttore della Asl1 ha ritenuto opportuno rispondere alle domande di
Report.
La Campania ha 3000 contagiati, l'unica
via è limitare i contagi, fare i tamponi a chi ha i sintomi, mappare
i contagi.
In Sicilia il governatore Musumeci
chiede polizia ed esercito per contrastare il virus: ma qui è stato
fatto tutto quello che non si doveva fare, per gestire l'emergenza.
Lo ha raccontato Claudia Di Pasquale
nel suo servizio: a Siracusa è morto il direttore del parco
archeologico, che non aveva alcun sintomo pregresso.
L'architetto Rizzuto è andato
all'ospedale dove ha fatto il tampone, senza alcun esito: è dovuto
tornare a casa, con la febbre, mentre il tampone ha impiegato 12
giorni per essere analizzato.
Un amico dell'architetto, che è anche
deputato all'ARS, ha chiamato l'assessore regionale della sanità: il
direttore del parco è morto per corona virus in ospedale, la procura
ha aperto l'inchiesta.
Il direttore dell'ASL di Siracusa
afferma che il paziente non aveva voluto farsi il tampone.
Il 25 marzo muore una collaboratrice di
Rizzuto, altri vengono contagiati, alcuni vengono ricoverati.
Ad alcuni hanno fatto il tampone, ma
perché lo hanno chiesto loro stessi: nessuna quarantena
obbligatoria, che avrebbe fermato il contagio.
Nessun provvedimento è stato preso per
i custodi del museo, nonostante alcuni di loro avessero già dei
sintomi: oggi alcuni dei custodi sono stati ricoverati.
Il focolaio di Siracura poteva essere
evitato: pare di no, a Siracura l'ASL ha girato un video in cui si
volevano rassicurare i cittadini, siamo pronti a gestire il
contagio..
Eppure al Pronto Soccorso, secondo la
giornalista, ci sarebbe promiscuità tra pazienti Covid e pazienti
non contagiati.
Eppure ci sono medici di medicina
d'urgenza che sono stati contagiati: secondo una circolare della ASL,
in medicina d'urgenza potevano essere portati i pazienti grigi,
positivi al Covid, basta che stavano a due metri dai pazienti
normali.
Vietato l'uso delle mascherine, per non
creare allarmismo.
In Sicilia avevano un mese di tempo,
per prepararsi alla gestione del virus, ma hanno perso tempo.
Nel frattempo che arrivino i militari,
per gestire la situazione, verrà approvato l'emendamento per
togliere le responsabilità penali e civili dei manager delle ASL,
come quelli che abbiamo visto nei servizi.
E in Cina, nel frattempo?
La vita è ricominciata in Cina: ma qui
le misure di contenimento per l'infezione sono molto dure, c'è la
possibilità di uscire ma solo per poche ore, si controlla la
temperatura sull'autobus, nei supermercati, dove si fa la fila per
entrare.
Per muoversi si deve essere tracciati,
con la APP sul cellulare che sa cosa hai fatto, come ti sei mosso: se
il tuo codice è verde, puoi muoverti per qualche ora, altrimenti
torni alla quarantena.
All'interno del mercato, dove tutto è
partito, i negozi sono stati disinfettati ma ancora non è prevista
la riapertura del mercato al resto della città, dove molti negozi
ancora sono chiusi non avendo ancora ricevuto l'autorizzazione a
riaprire.
Ma si possono ancora trovare piccoli
negozi dove si tengono animali vivi in condizioni igieniche poco
rassicuranti: questa è la situazione ora in Cina, a due mesi dal
lockdown, dove ancora non si capisce bene se l'emergenza è finita o
se c'è il rischio di una nuova epidemia.
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