31 maggio 2013

Il delitto senza colpevole

La disoccupazione giovanile è il classico delitto senza colpevole (che se fosse un giallo sarebbe pure un pò noiosetto): tutti a lanciare allarmi, moniti, ma nessuno che si prenda le colpe.

Nemmeno Visco,  l'attuale governatore di Bankitalia, che oggi dice che l'Italia è dietro 25 anni per colpa dei politici. E le banche? Nessuna colpa hanno le banche?
Vengono anche loro da Marte?



Servizio pubblico - i ricchi di più

"Money makes the world go around" cantava ieri sera Liza Minelli, all'inizio di Servizio pubblico e di soldi e di un paese sempre più per ricchi si è occupata la trasmissione.

Ma nella copertina Santoro ha ricordato la generosità di Franca Rame, che era ricca ma generosa, mentre per i TG di Berlusconi, tutti i suoi oppositori dovrebbero aver fatto voto di povertà e castità.
Santoro ha ricordato le telefonate alla fine delle trasmissioni dove si parlava dei problemi delle persone: Franca che chiamava diceva "ci penso io", senza voler far sapere agli altri del suo gesto.



Dopo Franca Rame, il giornalista ha ricordato i successi di Servizio Pubblico che ha accettato la sfida del mercato: siamo forti perché accettiamo le critiche di Grillo e dei giornali che criticano Grillo.
La cui sfida al cavaliere, il suo dividere il paese tra buoni e cattivi, ricorda più amici di Maria De Filippo.

Ma senza M5S non ci sarebbe nessun guadagno per la politica: c'è bisogno sia della proposta che della protesta di Grillo.

La crisi del mattone, la nuova bolla e il ruolo delle banche.
Come mai a Milano si continua a costruire, ma c'è carenza di case (9000 richieste di case popolari e 120000 persone che si rivolgono al sindacato per un aiuto)?
Come mai i prezzi delle case non diminuiscono in modo significativo?
Il primo servizio della puntata parlava proprio di questo: dietro le nuove costruzioni ci sono le banche che basano il loro patrimonio proprio sul mattone.
Se i palazzi milanesi, vuoti, venissero svalutati, il patrimonio delle banche verrebbe svalutato e sarebbe un dramma.

Ma a pagare questa situazione artificiale, siamo noi. Sono gli imprenditori edili che stanno fallendo, i muratori del nuovo quartiere Milano city che rischiano di non prendere lo stipendio.

Le banche sembrano non reggere più il vecchio modello di sviluppo, a debito e a consumo del territorio.
E di banche e imprese si è iniziato a parlare con Della Valle e il professor Ferragina.
Della Valle ha parlato dell'assemblea di RCS che ieri sera ha deciso per una nuova linea imprenditoriale.
Per cui l'aumento di capitale dei soci dovrebbe essere usato per fare vero sviluppo e non per ripianare i debiti delle banche (Intesa e Mediobaca).
Di mezzo c'è il futuro del giornale più importante del paese, e qualche "ragazzino" forse lo ha capito (riferendosi a Elkann).
Chissà se arriveremo veramente a questo new deal?

Di certo c'è che banche, imprese e imprenditori hanno le loro colpe in questa crisi, al pari dei politici.
Giulia Innocenzi ha chiesto conto all'imprenditore dell'alto tasso di evasione tra imprenditori e liberi professionisti (al 50%).

Bisogna distinguere tra imprenditori e imprenditori - la risposta del presidente di Tod's: c'è una classe imprenditoriale attaccata alle concessioni, alla politica, agli incentivi che è stata connivente con la vecchia politica.
Serve una educazione sociale, per dimostrare un senso di responsabilità, per cui le tasse si pagano in cambio dei servizi ottenuti.

Sandro Ruotolo in collegamento da Vittoria ha ripercorso la triste vicenda del signor Giuseppe Guarascio, che si è dato fuoco dopo che la sua casa, costruita in una vita è finita all'asta.
Una storia dove si parla di mutui, di crisi, di una banca che non concede scampo alle persone (mentre è di manica larga coi vip, coi politici e spesso anche con la criminalità organizzata).
La famiglia aveva proposto alla banca un ritorno di 25000 euro, per non perdere la casa, ma l'istituto di credito ha risposto di no. La casa è stata presa all'asta ad un prezzo di 26000 euro. E c'è il sospetto, hanno mostrato le telecamere di Servizio pubblico, che dietro le aste ci sia qualcuno che ne approfitti.

Emanuele Ferragina, ricercatore all'Università di Oxford, ha invece parlato della necessità di unire ragione e sentimento. Bisogna rispondere sia ai piccoli drammi come quello raccontato da Vittoria, sia dare una soluzione a questa situazione che va avanti da 20 anni.
Un sistema che ha aumentato la tassazione sul lavoro, ma diminuito quella sui patrimoni: questo governo dovrebbe prendere i soldi dove ci sono. Nell'evasione, nelle pensioni d'oro, sull'accumulazione di capitali per cui si deve arrivare ad una ridistribuzione della ricchezza.

Colpa di una classe politica miope e di una classe dirigente che ne ha approfittato.

Della Valle, a questa analisi ha risposto che anche così non si crea lavoro: si deve coniugare competitività e solidarietà.
Ha fatto l'esempio di aziende grosse che dopo aver preso tutto dal paese ora se ne vanno (e tutti hanno pensato alla Fiat). Della necessità di aprire sportelli di "solidarietà" nelle banche, da affidare ad ex direttori che conoscono il territorio.
Non è vero che la classe imprenditoriale non ha fatto nulla: Della Valle ha tirato fuori i casi di Geronzi e Antonio Fazio.

Forse due esempi sbagliati: Geronzi è stato fatto fuori dal sistema e Fazio anche dalle pressioni della società civile (e dai processi).

L'intervento di Travaglio



Dopo che Della Valle è tornato sull'assemblea in RCS e su tutti i buoni propositi, nel secondo intervento, Ferragina si è concentrato sui problemi delle imprese italiane: i pochi investimenti in ricerca, la lentezza della giustizia civile, evasione, conflitti di interesse, corruzione.

Tutti argomenti che non sono toccati né dal discorso di Squinzi nè dal presente governo delle larghe intese di Letta. Quello per intenderci, che ha appena scelto di riformare la Costituzione non potendo riformare la politica.

L'intervento di Dragoni
I padroni dell’Ilva di Taranto, l’imprenditore dell’acciaio Emilio Riva e il fratello Adriano, hanno portato all’estero un miliardo e 200 milioni di euro. La magistratura ha sequestrato questi soldi, nascosti in un’isola nel Canale della Manica, Jersey: un paradiso fiscale, l’isola del tesoro.

30 maggio 2013

La quiete dopo la tempesta

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.


L'UE ha tolto l'Italia dalla lista dei paesi cattivi (assieme a Lituania e Romania), chiudendo la procedura di infrazione, perché il rapporto debito pil è sceso sotto il 3%.
Questa notizia è un pò come la fine della tempesta, della poesia di Leopardi: finisce la crisi, finisce l'austerità, si può tornare alle care e vecchie abitudini.
E' finita la tempesta: e ora il governo delle larghe intese anziché chiedersi delle ragioni che ci hanno portato alla crisi, può pensare alle riforme che interessano solo la casta.
Nemmeno la legge elettorale cambieranno: la bocciatura dell'emendamento di Giachetti nè la prova. Nemmeno nel PD si vuole abolire il porcellum.

Questo governo continuerà col solito giro di promesse: miliardi qua e miilardi là. Taglio delle tasse, sgravi per chi assume, investimenti nelle grandi opere.

Peccato che i soldi non ci siano. Quei pochi che avevamo li abbiamo impegnati con l'IMU per fare la campagna elettorale di B. in autunno.

Tanto poi, quando scopriremo che la recessione è ben peggiore di quanto stimato dal governo, che il rapporto deficit pil è comunque sopra il 3%, sarà troppo tardi.
Anche per il nostro debito sarà ulteriormente appesantito dalle solite operazioni di sistema che impoveriscono gli italiani e ingrassano i soliti noti.
Il salvataggio dell'Italia, che il governo dovrà salvare dai salvatori (tra cui anche il signor Riva).
Lo scorporo della rete da Telecom, che verrà presa dai cinesi: una operazione in cui i soldi li mette lo stato tramite la Cdp.
Riassumendo: non ci sono soldi per fare investimenti pubblici per l'energia verde, per rilanciare turismo e cultura (e creare quei posti di lavoro di cui tutti parlano).

Mentre abbiamo soldi da buttare per ponti, tunnel, caccia (che devono stare lontano dai fulmini) e per ripagare gli azionisti (che poi sono spesso le solite banche) di Telecom.

E abbiamo pure tempo da buttare per discutere delle solite leggi ad personam su giustizia e processi (c'è ne dobbiamo aspettare almeno una ogni mese).

Aspetto che ora qualcuno dica almeno grazie a tutti gli esodati che hanno salvato il paese.

29 maggio 2013

Sempre più in basso

Le riforme istituzionali sono una delle «più importanti riforme strutturali che l'Italia può fare» aggiunge, perché attualmente il Paese «non ha istituzioni che lo rendono capace di decidere» ed essere «capaci di decidere è il primo tema all'ordine del giorno».
Dunque una classe dirigente che ha portato l'Italia sul baratro, che non è più rappresentativa degli italiani (vista l'alta astensione alle elezioni), ha deciso che la priorità sono le riforme della Costituzione.
Per rendersi ancora più distanti dagli elettori, immagino. Per rendersi ancora più intoccabili.
Non la corruzione, i conflitti di interesse, l'evasione, una giustizia e una pubblica amministrazione informatizzata, la tutela del territorio e le tante belle cose che servirebbero.
Per intenderci, a fare la legge sull'indulto, sul lodo Alfano, la legge Fornero sulle pensioni, ci han messo un lampo.

Grazie

Don Gallo e ora Franca Rame: è maggio il più crudele dei mesi ...

Il discorso quando si dimise al senato contro il finanziamento alle missioni militari.

IL potere in Italia (raccontato dall'interno) - "L'uomo che sussurava ai potenti"

Esce domani il libro intervista di Luigi Bisignani, per Chiarelettere "L’uomo che sussurra ai potenti": sul Fatto quotidiano alcuni stralci
Berlusconi ha corteggiato in tutti i modi Matteo Renzi. Il Cavaliere ha rischiato di essere tradito dai suoi, compreso Renato Schifani. Alfano voleva mollare il leader Pdl. Le stragi che hanno ucciso Falcone e Borsellino sono state ideate tra Mosca e Roma. Poi i rapporti tra Grillo e i servizi segreti americani. Sono alcune delle verità di Luigi Bisignani nel libro-intervista realizzato con il giornalista Paolo Madron, “L’uomo che sussurra ai potenti” (edito da Chiarelettere, in vendita dal 30 maggio). Come dice il sottotitolo del libro il faccendiere, quello che Berlusconi definì “l’uomo più potente d’Italia”, racconta di “trent’anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate”. Bisignani è stato condannato in via definitiva a 2 anni e mezzo per l’inchiesta Enimont e ha patteggiato una pena di un anno e 7 mesi per il processo P4.

I presunti traditori di Berlusconi e la corte a Renzi
Innanzitutto i presunti tradimenti (o tentativi di tradimento) all’interno del centrodestra. “Più che di tradimento vero e proprio – precisa Bisignani – parlerei di piccoli uomini creati da Berlusconi dal nulla e improvvisamente convinti di essere diventati superuomini”. Il faccendiere e ex giornalista parla di “molti Giuda”. “Il primo che mi viene in mente – continua – è Renato Schifani, avvocato di provincia di Palermo, ex presidente del Senato. Con Angelino Alfano, altro siciliano, lavoravano alla costruzione di una nuova alleanza senza Berlusconi”. Nella ricostruzione sui presunti complotti contro Berlusconi all’interno del Pdl, Bisignani assicura che tra chi tramava c’erano “in primis alcuni di An: Gasparri, La Russa, Mantovano e Augello. Certamente non Altero Matteoli che è rimasto sempre leale”. “E tra le donne – aggiunge – la favorita di Angelino, Beatrice Lorenzin, premiata con il ministero della salute”.

Quanto ad Alfano, in particolare, una volta insediato il governo Monti, si mosse per cercare alleanze per abbandonare Berlusconi. “Finché il governo Berlusconi stava in piedi, seppur con una maggioranza risicata, Alfano non si mosse. Cominciò a farlo non appena insediato l’esecutivo Monti, nel momento in cui per Berlusconi iniziava la fase più aspra di un calvario politico giudiziario che sembra non finire mai”. Secondo Bisignani, Alfano cercò la sponda di Casini “il quale in realtà lo ha sempre illuso. E non interrompendo mai un filo sotterraneo con Enrico Letta, all’epoca vicesegretario del Pd”. Il faccendiere ha poi aggiunto che “la sua corte cercò di costruirsela incontrando parlamentari nella casa ai Parioli che Salvatore Ligresti gli aveva fatto avere in affitto. E in più stringendo un asse con Roberto Maroni, che da ex potente ministro dell’Interno, dopo aver fatto fuori Umberto Bossi, preconizzava la morte civile del Cavaliere e l’investitura di Alfano come nuovo leader”.

A Bisignani arriva la risposta secca di Schifani: “Io mi occupo di politica e non di malaffare – dichiara a Porta a Porta – e non ho mai avuto il piacere di incontrare questo faccendiere, e la non veridicità delle sue parole è dimostrata dal fatto che io sono capogruppo del Pdl al Senato e Alfano è vicepremier”.

Ma Berlusconi, secondo Bisignani, guardava altrove. Aveva già un’altra carta da giocare: Matteo Renzi. “Berlusconi lo ha corteggiato in tutti i modi” spiega nell’intervista. “Nei sondaggi riservati – prosegue – Renzi volava, tanto che Berlusconi non si sarebbe mai ributtato nella mischia. Solo Bersani fece finta di non accorgersene, mobilitando tutto l’apparato del partito per batterlo alle primarie. E scavandosi così la fossa”.

“Alfano? Pensava a costruirsi il monumento”
Il tentativo di “eliminare” politicamente Berlusconi partì proprio quando il Cavaliere fece diventare Alfano segretario politico del partito. Ma “una volta incoronato, nell’estate del 2011, contro il parere di tanti – spiega Bisignani nel libro – Alfano ha pensato soprattutto a costruire un monumento a se stesso”. Secondo quanto racconta il faccendiere l’ex ministro della Giusizia “se ne stava chiuso nel suo ufficio bunker in via dell’Umiltà, dove per chiunque era impossibile entrare. Passava più tempo con i giornalisti, su Facebook e Twitter che con i parlamentari e con la base del partito e gli esponenti del mondo imprenditoriale, bancario e culturale che pure avevano desiderio di conoscerlo. Inoltre Alfano ha una vera mania per i giochini sul cellulare, cui non rinuncia nemmeno durante le riunioni. E poi ha la debolezza di consultare sempre l’oroscopo e di regolare le giornate in base a quel che c’è scritto…”. E sui parlamentari del Pdl che definisce “Giuda” perché complottavano contro Berlusconi afferma: “Si montavano a vicenda, senza capire che, quando è ferito, Berlusconi dà il meglio di sé”.

“Monsignor Fisichella lavorava a un dopo Berlusconi”
In molti, insomma, secondo Bisignani, lavoravano a un dopo Berlusconi. Tra questi monsignor Rino Fisichella, a lungo rettore della Pontificia Università Lateranense e attualmente presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. “Con Alfano e il fidatissimo Maurizio Lupi lavorava sodo al dopo Berlusconi anche l’arcivescovo Rino Fisichella” sostiene Bisignani. “Alcuni incontri riservati con Casini e Lorenzo Cesa – ricorda – si svolsero proprio Oltretevere, in un ufficio nella disponibilità di Fisichella, il quale era molto amareggiato per non essere stato fatto cardinale da Joseph Ratzinger”.

“Falcone, Andreotti pensava che c’entrasse il Kgb”
Poi un po’ di sguardi verso il passato. Prima tappa, le stragi del 1992. Giulio Andreotti, ha sempre avuto un convincimento e cioè che i motivi delle stragi di mafia in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino “non si dovessero cercare a Palermo, ma fra Mosca e Roma”. Il sette volte presidente del Consiglio, secondo Bisignani, era convinto che Falcone sarebbe stato eliminato “perché collaborava a una spinosa indagine della magistratura russa sui finanziamenti del Kgb al Partito comunista”. Bisignani ricorda anche che Falcone avrebbe dovuto incontrare, due giorni dopo la strage, il procuratore penale di Mosca Valentin Stepankov: “Andreotti era certo che da lì bisognasse partire per capire meglio la strage, e su questo concordava anche Francesco Cossiga. Il quale era al corrente dell’iniziativa di Falcone”. Secondo il faccendiere “la sinistra ha sempre taciuto ma ora “credo che dovrà fare i conti con Piero Grasso, per anni capo della procura antimafia, ora presidente del Senato”. Dovrà fare i conti con lui “per la sua onestà intellettuale e perché, tra i primi atti, ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle stragi”.

“Tangentopoli? Tutti, da Agnelli a De Benedetti, tentarono di bloccare i pm”
Poi la vicenda Tangentopoli: “I protagonisti sotto assedio” del capitalismo italiano, “tutti indistintamente, da Agnelli a De Benedetti, cercarono disperatamente di bloccare il pool dei giudici di Milano”. La “fortezza” in cui si arroccò il capitalismo per respingere l’offensiva giudiziaria contro il sistema delle tangenti fu Mediobanca. “Fu lì – racconta Bisignani – che si tenne una riunione riservata presieduta da Enrico Cuccia, il custode di tutti i segreti. Vi presero parte, oltre all’avvocato Agnelli e a Cesare Romiti, Leopoldo Pirelli accompagnato da Marco Tronchetti Provera, Carlo De Benedetti, Giampiero Pesenti, Carlo Sama per il Gruppo Ferruzzi e ovviamente l’amministratore delegato dell’istituto, Vincenzo Maranghi”.

Proprio Maranghi, dopo una perquisizione della polizia giudiziaria a Piazzetta Cuccia, organizzo nella notte “un pulmino che portò via tutte quelle carte dal contenuto inquietante” che non erano state scoperte. Agli investigatori era infatti sfuggita una parete mobile “celata dietro una libreria in una delle sale del piano nobile dell’istituto – dove si custodivano altri segreti”. Secondo Bisignani, “tutta la storia di Mediobanca è fitta di episodi simili” a quello sul “pulmino” di Maranghi, come il caso dei fondi neri scoperti nella Spafid, la fiduciaria di Mediobanca che “custodiva la contabilità ufficiale e parallela dei grandi gruppi”, fino alle “carte segrete su Gemina” rinvenute in “una botola” dalla Guardia di Finanza.

Tornando alla riunione “anti-pool” in Mediobanca “fu unanimemente decisa la totale chiusura a ogni possibile collaborazione con la Procura di Milano” nonché la “perentoria denuncia dei metodi che stavano destabilizzando il paese e la sua economia”. Cuccia incaricò Romiti di “coordinare ogni iniziativa” e ordinò “a quegli imprenditori che avevano interessi nell’editoria” di supportare la linea “senza tentennamenti”. Il fronte però si sfaldò presto un po’ perché i tg di Berlusconi, che “all’epoca non faceva parte del giro di Mediobanca”, cavalcarono l’onda di Mani Pulite ma soprattutto perché le delle ammissioni di un dirigente Fiat “fecero cambiare radicalmente la strategia decisa” facendo scattare il “tana libera tutti”.

Quando Cossiga mandò i carabinieri al Csm
Un altro retroscena riguarda Cossiga, il “presidente picconatore”. Nel novembre del 1991 l’allora presidente della Repubblica fece intervenire i carabinieri davanti al Csm, rivela Bisignani. “Non fidandosi in quel momento – racconta Bisignani – nonostante fossero suoi amici, dei ministri della Difesa Virginio Rognoni e dell’Interno Vincenzo Scotti, chiamò personalmente al telefono il comandante della legione dei carabinieri di Roma, il colonnello Antonio Ragusa, perché si preparasse a fare irruzione al Csm in piazza Indipendenza”. “In quella riunione – spiega Bisignani – il Csm doveva occuparsi dei rapporti tra i capi degli uffici giudiziari e i loro sostituti. Una materia che, secondo Cossiga, non era di sua pertinenza”. Secondo il racconto di Bisignani, Ragusa mise in stato d’allerta la vicina caserma: “I carabinieri rimasero al loro posto. Ma Ragusa che era in contatto telefonico diretto con Cossiga, entrò da solo negli uffici di piazza Indipendenza e convinse il vicepresidente Giovanni Galloni a togliere dall’ordine del giorno l’argomento incriminato”.

I rapporti tra i servizi segreti Usa e Beppe Grillo
I rapporti dei servizi segreti degli Stati Uniti con Beppe Grillo sono il tema di un capitolo del libro intervista a Bisignani. Oltre a raccontare una vicenda già conosciuta come il pranzo tra Beppe Grillo e alcuni agenti e diplomatici americani e il dispaccio dell’ex ambasciatore Ronald Spogli, aggiunge: “Avendo avuto anch’io il dispaccio in mano, c’è qualcosa che andrebbe approfondito” in quanto sono stati occultati “chirurgicamente quasi tutti i destinatari sensibili” tra cui oltre alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato e alla Cia “c’è da scommetterci ci fosse il Dipartimento dell’energia e la National Secuity Agency, che si occupa soprattutto di terrorismo informatico”. “Agli americani – spiega Bisignani – è noto il rapporto strettissimo che Grillo ha con due loro vecchie conoscenze. Franco Maranzana, un geologo controcorrente di 78 anni, considerato il suo più grande suggeritore su tematiche energetiche e ambientali non politically correct, in contrasto così con la linea ecologica che viene attribuita al movimento. E soprattutto Umberto Rapetto, un ex colonnello della Guardia di finanza”.

Secondo Bisignani l’incontro con Grillo dovrebbe essere avvenuto nel marzo del 2008 in quanto il rapporto dell’ambasciatore Spogli dal titolo “Nessuna speranza. Un’ossessione per la corruzione” reca la data del 7 marzo 2008. Con ogni probabilità, secondo Bisignani, quel documento è finito nelle mani del presidente Obama. Quindi fornisce le conclusioni del rapporto sulle idee di Grillo: “La sua miscela fatta di spumeggiante umorismo, supportata da dati statistici e ricerche, fa di lui un credibile interlocutore per capire dal di fuori il sistema politico italiano”. Inoltre, racconta che dopo le elezioni del febbraio scorso una delegazione di grillini “capeggiata dai due capigruppo in parlamento, Vito Crimi e Roberta Lombardi, è andata a omaggiare l’ambasciatore David Thorne. Lo stesso che, parlando agli studenti, ha pubblicamente lodato il nuovo movimento come motore necessario per le riforme di cui ha bisogno l’Italia”.

“Il Pdl voleva far cadere Monti subito, fu Letta a arrabbiarsi e a scongiurare la crisi”
La crisi del governo Monti poteva arrivare molto prima e non a fine dicembre. “Dopo pochi mesi di governo – riferisce Bisignani – mezzo Pdl voleva far cadere Monti. Ma fu proprio Letta, con voce alterata, a convincere tutti che lo spread sarebbe schizzato alle stelle e che la colpa sarebbe ricaduta tutta sul Cavaliere che a quel governo aveva appena dato appoggio”. Sul ruolo di Gianni Letta, Bisignani ricorda anche che quando Berlusconi e Fini fecero saltare l’accordo sulla Bicamerale, “fece sapere a D’Alema che il Cavaliere aveva commesso un errore”. “Allo stesso modo – ricorda – nel febbraio del 1996 dissentì dal no di Berlusconi a un governo guidato da Antonio Maccanico, grand commis di Stato che avrebbe aperto le porte a una collaborazione tra Forza Italia e la sinistra. La bocciatura di Maccanico segnò la successiva vittoria elettorale dell’Ulivo di Romano Prodi”.

“Scalfari ad ogni scoop mi regalava champagne”
Spazio anche ai ricordi personali nei rapporti con i personaggi più influenti della stampa italiana. Nel libro sono descritti i rapporti con i direttori dei giornali più importanti. Di Eugenio Scalfari ricorda di avergli offerto diverse notizie quando era capo ufficio stampa del ministero del Tesoro Gaetano Stammati. “Ogni volta che lo aiutavo a fare uno scoop – ricorda – mi mandava una bottiglia di champagne. Credo che fosse altrettanto con un’altra sua fonte, Luigi Zanda, portavoce di Francesco Cossiga, al Viminale e poi alla presidenza del consiglio, con il quale credo abbia conservato una forte amicizia”. Sul direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli invece dice: “Sempre compassato, dotato di una camaleontica capacità di infilarsi tra le pieghe del tuo discorso e di una grande dialettica, non sufficiente però a nascondere il fatto di non aver quasi mai un’opinione troppo discorde da quella dell’interlocutore: democristiano con i democristiani, giustizialista con i giustizialisti, statalista o liberista a seconda di chi ha davanti”. Bisignani racconta inoltre di aver favorito i suoi rapporti con Geronzi ma non con D’Alema “visto che i due si detestavano cordialmente”. “E durante il governo Berlusconi – ricorda – i motivi di contatto sono stati molteplici”.

Papa Francesco e la riforma dello Ior
In un passaggio del libro Bisignani parla anche delle mosse future di papa Francesco per trasformare lo Ior: “Secondo alcune autorevoli indiscrezioni lo riformerà trasformandolo in una vera banca della solidarietà al servizio dell’evangelizzazione. Uno strumento di aiuto per le chiese povere e per le missioni sparse nel mondo. I centri missionari saranno uno dei punti fondamentali di papa Francesco, secondo la miglior tradizione dei gesuiti”. Secondo Bisignani, la riforma dello Ior avverrà attraverso la riclassificazione di tutti i conti e saranno “autorizzati solo quelli che fanno capo ufficialmente a congregazioni e ordini religiosi. Nessuno potrà più gestire fondi, depositi e titoli se non nell’esclusivo interesse di enti religiosi”. Bisignani ha quindi spiegato che “la Curia conosce bene le sue intenzioni”. “Non fu un caso – ha aggiunto – se nel conclave precedente, per scampare il pericolo della sua salita al soglio pontificio come voleva il suo grande elettore di allora, Carlo Maria Martini, gesuita come lui, gli fu preferito Ratzinger. Meglio conosciuto nei palazzi apostolici e quindi considerato più malleabile”.

Cairo editore di La7? “Facilita future alleanze”
Telecom ha venduto La7 a Urbano Cairo, preferendolo al fondo Clessidra, perché “si dice nell’ambiente che si è scelto il contendente finanziariamente più debole così da facilitare una possibile futura alleanza con Diego Della Valle o con De Benedetti, a seconda di come butterà la politica”. In particolare sull’interesse di De Benedetti per La7, Bisignani sostiene che l’Ingegnere sarebbe stato disponibile all’acquisto “però solo con un’adeguata dote, quella che poi il consiglio Telecom ha concesso proprio a Cairo e non a lui, secondo me facendolo irritare. Vedrà che alla fine rientrerà nella partita”. Infine “ad accelerare la vendita de La7 – racconta – ha contribuito anche lo studio legale Erede con una lettera che nelle ore che precedettero il consiglio d’amministrazione decisivo”. Del legale Bisignani ricorda che “ha assistito Cairo nell’operazione e ha ottimi rapporti con De Benedetti”.

Stasera Bisignani sarà ospite  della trasmissione “Le inchieste” di Luigi Nuzzi e verrà mandata in onda una sua intervista in diretta: "L’accordo è che non ci sono domande che non si possono fare – spiega Nuzzi – e devo dare atto della correttezza di Bisignani che ha accettato senza problemi".
L’ultima puntata delle “Inchieste” di Nuzzi si concentrerà dunque sul filo rosso che unisce nel corso degli ultimi trent’anni P2, P3 e P4. Oltre a interviste e approfondimenti il programma manderà in onda le intercettazioni originali delle telefonate tra Marcello Dell’Utri e Flavio Carboni, coinvolti nell’inchiesta P3. Dopo una pausa lunga 2 anni la giunta per le autorizzazioni della Camera, presieduta da Ignazio La Russa, dovrà dare l’ok per l’utilizzo di queste intercettazioni nel processo, che – sottolinea Nuzzi – sarà il primo per associazione segreta (le indagini sulla P2 non arrivarono mai a un dibattimento). “Molti indicatori – continua il giornalista e conduttore – confermano l’idea che nei momenti come questo, dove c’è un accordo tra le forze politiche, figure come quella di Bisignani diventino più forti”. In un Paese in cui i substrati che accompagnano il potere “ufficiale” sono sempre innumerevoli e mai ben visibili Nuzzi la vede così: “Secondo me il potere ha molti strati. Dipende tutto dalla capacità di penetrare”.

28 maggio 2013

39 anni da Piazza della Loggia

Chissà se veramente si riuscirà a fare una commissione di inchiesta sulle stragi nere degli anni di piombo, come ha chiesto il presidente Grasso. Oggi era a Brescia a commemorare gli otto morti per la bomba fascista scoppiata a piazza della Loggia il 28 maggio 1974.
In un democrazia non si può aspettare tutti questi anni per avere dei colpevoli: chissà se un giorno si riuscirà ad arrivare ai loro nomi, ai loro mandanti, a condannare le responsabilità politiche.
Di certo c'è che oggi è passato un altro anno, e portare avanti il ricordo diventa sempre più difficile. Anche se la gente in piazza oggi dimostra che ancora a molti interessa non dimenticare.

Affinché sia credibile verso i propri cittadini, uno stato deve saper fare i conti con se stesso, avere il coraggio di fare domande, di interrogare se stesso senza riguardi verso ex potenti. Non esiste ragione di Stato, per uno stato che copre bombe e stragi. Per destabilizzare e impedire cambi di rotte politiche.

28 maggio è anche un'altra triste ricorrenza: la morte del giornalista Walter Tobagi ucciso dai terroristi della Brigata XXVIII marzo a Milano 33 anni fa. Colpevole di aver raccontato l verità, sui terroristi e sulla lotta dello Stato all'eversione, come era suo dovere di giornalista.

Come scriveva Pasolini, Io so.


Modello serbo

Si legge sempre più spesso che non è tempo per le questioni ideologiche, che destra e sinistra non hanno più ragione d'essere, che oggi bisogna smetterla con le battaglie su temi vecchi , come l'articolo 18 e la precarietà. Il mondo là fuori è tanto cattivo, bisogna fare i conti con i cinesi, con i polacchi coi serbi ..

Nella lotta tra profitto e diritti, la bilancia deve pendere dalla parte del primo, e dunque devono rassegnarsi a Taranto a convivere con l'inquinamento, altrimenti sono a rischio i posti di lavoro (lo dice come minaccia il padrone, quello che ha messo al sicuro all'estero i suoi soldi) . Devono rassegnarsi a Pomigliano e negli altri stabilimenti Fiat. Ochhio, che se vi lamentate, c'è la Serbia.

Dove però, turni massacranti, gli stipendi bassi, iniziano a pesare: guardatevi il documentario della TV del Fatto, sullo stabilimento fiat:
Kragujevac, 140 chilometri a Sud di Belgrado, è la nuova ‘motown’ dei Balcani. Al posto della Zastava oggi c’è la Fiat che questa estate ha iniziato la produzione della nuova monovolume 500L. Nel suo stabilimento gli operai guadagnano un quinto dei colleghi italiani e lavorano fino a 12 ore al giorno. Ma alla Fiat dei Balcani non si usa dire di no. Perché in Serbia un lavoratore su quattro è disoccupato. E allora, con la disoccupazione al 25 per cento, l’inflazione al 10 e le casse dello Stato ormai allo stremo, la scritta fuori dalla fabbrica “Noi siamo quello che facciamo” (la stessa di Pomigliano) finisce per diventare un monito. Perché chi resta fuori è perduto. E allora? Meglio ubbidire ai capi e tacere con gli estranei 



Astensione fa rima con pacificazione

L'inciucio logora chi lo fa .. sembrerebbe questa la conclusione, forse superficiale, delle amministrative di domenica scorsa.
Dopo la Serracchiani, che ha vinto come volto nuovo del Pd in Friuli, Marino arriva al ballottaggio a Roma. Marino, che aveva votato Rodotà per il Quirinale e che ha fatto campagna elettorale prendendo le distanze dal suo partito. Ma forse, come dice Alemanno, è tutta colpa del derby ..

Il Pd ha poco da rallegrarsi: i suoi elettori, magari turandosi il naso, hanno retto. Diversamente dal centrodestra che perde sonoramente a livello locale e che ora potrà solo nascondere la sua sconfitta dietro quella del M5S.
Berlusconi e Grillo funzionano a livello nazionale: nel piccolo, o si mette un politico noto e stimato, oppure si ritorna alla vecchia minestra o non si vota.

Spero solo che il M5S impari dai propri errori, di comunicazione, di gioventù, di inesperienza. O crescono, i cittadini a 5 stelle, oppure spariranno. E' il vostro momento.
Speriamo anche che il Pd impari la lezione: con questa linea, si potrà solo vivacchiare.
In attesa delle riforme, sempre annunciate, mai fatte.


Speriamo che prima o poi qualcuno si porrà la domanda sullo stato di salute di una democrazia dove quasi la metà degli elettori non va a votare o vota scheda bianca.

PS: certi  giornali non vedevano l'ora di vendicarsi su Grillo




27 maggio 2013

Polvere di stelle

Quanto è durato il ciclone? Almeno a Roma, poco. Piuttosto la gente non va a votare.

E sempre a proposito di polvere, trovi sempre qualcuno che mescola nel torbido per inquinare il clima ..



A proposito di banche

il comunicato sindacale di RCS termina con questo paragrafo:
Una parola anche per i nostri grandi creditori e in buona parte azionisti del presente e del passato, le banche. Proprio loro non lesinarono il credito a basso prezzo quando si trattò di acquisire Recoletos, aprirono il portafoglio per un miliardo di euro senza battere ciglio, anzi strizzando l'occhiolino - un atteggiamento ben diverso da quello riservato di solito ai comuni mortali che vengono vessati da mille richieste e difficoltà quando chiedono un mutuo in banca. Oggi le banche fanno la voce grossa per rinegoziare il debito, chiedendo tassi d'interesse stratosferici e imponendo tappe di rientro forzato del debito. Da qui ipotesi di cessioni, riduzioni dei costi, cassa integrazione: idee sciagurate che vedono coinvolti 800 lavoratori che nulla hanno avuto a che fare con gli errori di gestione suddetti, ma anzi in tanti casi si sono opposti - non ascoltati - a tali decisioni.
Per questa settimana noi ci aspettiamo da tutti voi la serietà che è dovuta da chi deve essere il motore della ripartenza economica e rivendica di essere al servizio della crescita sociale, civile e culturale del Paese.

Cambiare tutto per cambiare poco

Non so se è peggio leggere della prossima manifestazione del PDL a S Maria Capua Vetere per difendere l'ex sottosegretario Cosentino (presenti anche ministri) o l'intervista di Crimi sul corriere (e qui non potrà dire che i giornalisti scrivono cazzate).

In spregio alle regole: da una parte un pezzo di potere esecutivo che cerca di (intimidire?) condizionare il potere giudiziario (per un ex politico su cui gravano pesanti accuse).
Dall'altra parte una visione politica poco democratica: il dissenso? Tenetevelo per voi. La strategie politiche? Le decide Grillo (nello Tsunami tour tra un vaffa e un altro). Non siete d'accordo? Siete fuori: i parlamentari devono decidere sulle singole mozioni. Come dice Grillo ovviamente, se decidi diversamente sei fuori.

E siamo arrivati a questo, e al governo della pacificazione e delle mille promesse (più lavoro, meno tasse, ..) dopo una campagna elettorale dove si parlava di cambiamento.
E invece ci troviamo al movimento che voleva mandare a casa tutti che conserva vivi e vegeti le vecchie mummie, che chiede i danni a Report per la trasmissione dell'altra domenica sui rimborsi elettorali.

Se nemmeno il M5S riesce a spingere verso un cambiamento, ma si fa strumentalizzare ad ogni occasione, chi cambierà il paese?
Chi sceglieranno al prossimo giro gli elettori?

Fai: Sos paesaggio a Inverigo (le foto)






Arturo Binda, associazione Le contrade e Giulia Cuter




Il Resegone





Gli organizzatori della giornata


Il pittore Mason e i bambini con l'autostrada



Il conte Sormani



Il sindaco Riboldi, che si è dichiarato contrario all'opera : "mi sdraierò davanti le ruspe"

Tiziano Grassi - comitato parco della Brughiera 

Fai: Sos paesaggio a Inverigo

In Italia prima si fanno le grandi opere, a base di cemento e asfalto che distruggono ettari di verde pubblico. E poi si trovano le giustificazioni per queste grandi e inutili opere che rovinano per sempre il nostro paesaggio.

Succede in Italia e succederà, forse, anche qui nella brianza comasca, se l'autostrada Pedemontana, verrà realizzata nella sua interezza. Non solo, passando in mezzo a zone con vincoli paesaggistici, in mezzo al parco regionale della  Brughiera, verrà realizzata anche la tangenziale Va-Co-Lc per rendere più veloce il collegamento tra Como e gli altri capoluoghi di provincia.

Anziché investire sulla rotaia o sulle strade esistenti, la regione ha deciso di investire 1,5 miliardi per questa opera: un'autostrada che sarà pure a pagamento, per garantire ai concessionari una generosa remunerazione.

Il Fai, e l'associazione cittadina di Inverigo le Contrade hanno organizzato questa giornata, dal titolo "Sos paesaggio",a Pomelasca d'Inverigo, nei pressi della villa Sormani per sensibilizzare la popolazione sul danno che questa tangenziale provocherebbe.

La provincia e la regione hanno decretato Inverigo "luogo di identità regionale": ma quale è l'identità da salvaguardare per la regione prima governata dal ciellino Formigoni e ora dal leghista Maroni? Il verde pubblico, i paesaggi che ricordano la campagna inglese, le ville rinascimentali delle ricche famiglie?

Oppure l'identità da tutelare è quella delle autostrade, del cemento, che sottrae a noi cittadini terreno per l'agricoltura o anche solo per la bellezza in se stessa.

Domenica eravamo in tanti a Pomelasca, ma non abbastanza: il sindaco è arrivato a dire che sarebbe disposto a sdraiarsi davanti le ruspe, per bloccare i lavoro. Ma al momento, di concreto, il comune di Inverigo ha fatto poco.
Non vorremmo che prendessero solo tempo. Fino ad arrivare al fatto compiuto quando poi, alla grande opera, all'autostrada e la tangenziale ad essa collegata, non si potrà dire di no.

Non siamo quelli del no: esistono alternative alle nuove autostrade, potenziando le strade già esistenti. La ferrovia: sulla linea Molteno-Lecco non circolano treni di domenica. I treni delle Ferrovie nord circolano ogni ora.

E poi, il nostro no ha delle precise ragioni. I nostri territori sono già a sufficienza urbanizzati.
La nuova tangenziale passerà vicino all'Orrido e potrebbe danneggiare le fonti della zona protetta (al centro dell'annosa questione che ha visto scontrarsi comune e Victory).

Domenica c'era tanta gente che si è divertita, con gli aquiloni, sul verde prato, a godersi questo stupendo paesaggio, un balcone che si affaccia sul Resegone.
E' anche compito nostro proteggerlo.

Il link al sito del parco della Brughiera: www.comitatoparcobrughiera.it
Il sito dell'autostrada Pedemontana
L'associazione Le contrade a Inverigo

26 maggio 2013

Off the report - ma serve veramente il TAV?

I difensori del TAV, e in generale delle grandi (e costose, e spesso inutili) opere dicono che , senza TAV in Val di Susa, saremmo tagliati fuori dall'Europa. Che poi, se non si buca qua la montagna, il TAV passerà da un'altra parte. Che il paese non si può fermare per poche frange estreme e violente.
Che non importa che il traffico merci sia in calo, e che la linea attuale sia più che sufficiente: costruendo questa nuova linea il traffico aumenterà. Dogmaticamente.

A queste ragioni, su cui spesso è difficile discutere a tavolino (il TAV, come le spese militari non possono essere messe in discussioni) si può rispondere punto su punto.
L'Italia è tagliata fuori dall'Europa da mafie, corruzione, un sistema burocratico che risale al secolo passato. Da una classe dirigente che non è all'altezza e una classe politica che si preoccupa solo delle grandi aziende (che spesso vivono di commesse o sovvenzioni pubbliche).
Nel resto dell'Europa, il corridoio 5 da Lisbona a Kiev semplicemente non esiste. Esiste solo un tunnel esplorativo in Francia.
Il paese si è già fermato per le pressioni delle lobby farmaceutiche, per le pressioni delle società dei giochi online, per le pressioni dei Riva (e non per le pressioni dei tarantini), per le pressioni dei tassisti, dei camionisti (sugli sgravi ai costi del petrolio)...
Che dire che con un nuovo tunnel si aumenterà il traffico merci, è semplicemente un'azzardo. Anche perché, se vale questo ragionamento, allora dovremmo costruire nuove università per aumentare il numero dei laureati, nuovi asili per aiutare le famiglie per avere più figli, nuovi investimenti pubblici per creare nuovi posti di lavoro …

Finita la stagione di Report, tocca a Off-the report , la serie di inchieste curata dalle nuove leve dei giornalisti della Gabanelli: stasera si parla del tema dei trasporti ferroviari, del Tav, del Muos, di Trenitalia (che ha tagliato delle linee concentrandosi sull'AV) e infine il piano nazionale sugli aeroporti.

L'anteprima su Reportime: treni a nord est
Il corridoio tre dell'alta velocità che avrebbe dovuto collegare Lisbona a Kiev, passando in Italia per la pianura padana, è un progetto sulla carta. Il dibattito delle ultime settimane è tutto incentrato sulla linea tra Lione e Torino, ma basta guardare ad est verso il confine sloveno per capire come stanno realmente le cose.Ad oggi, infatti, escludendo la Lione-Torino, per completare il corridoio mancano all'appello oltre 300 km di tratta ferroviaria tra Brescia e Padova e tra Venezia Mestre e Trieste per un costo di oltre 15 miliardi di euro che nessun governo ha mai stanziato e, forse, nel breve periodo non stanzierà mai. Però, solo di progetti presentati e contenziosi, l'opera è già costata 219 milioni di euro.Guardando al proseguimento del corridoio oltre il nostro confine le cose non vanno meglio. Il governo sloveno, infatti, nel proprio piano del trasporto nazionale non ha neanche inserito la tratta da Trieste a Divača che dovrebbe collegare con l'alta velocità l'Italia con la Slovenia.Tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia il nuovo tracciato stenta a decollare. Nel 2011 il governo Berlusconi ha nominato Bortolo Mainardi nuovo commissario straordinario per esaminare il progetto presentato da Ferrovie dello Stato per la linea dell'alta velocità tra Venezia Mestre e Trieste.Quando Mainardi ha studiato il progetto ha trovato diverse criticità tanto da proporne uno alternativo che si propone di migliorare la ferrovia esistente prevedendo il quadruplicamento dei binari solo nel caso in cui il traffico di merci e passeggeri dovesse aumentare in maniera significativa.Oggi, infatti, tra le due regioni il traffico su rotaia è molto basso e la linea attuale è utilizzata al 40 per cento delle sue potenzialità anche perché si è investito tutto sulla gomma costruendo la terza corsia autostradale tra Venezia e Trieste.


La scheda della puntata:

Domenica 26 maggio alle 22.30 andrà in onda su Rai 3 “Off the Report”, il programma di inchieste curato da Milena Gabanelli e realizzato da giovani video giornalisti.
La puntata tratterà alcune problematiche del trasporto ferroviario e aeroportuale a partire dalla Tav con particolare riferimento al tratto Torino-Lione, che secondo le stime attuali, costerà almeno 24 miliardi di euro. Le previsioni di traffico merci elaborate negli anni e con cui si giustifica un'opera così costosa per le casse dello Stato, prevedono un aumento degli scambi commerciali tra Italia e Francia. Oggi i dati però fotografano una situazione assai diversa: dal 2005 sulla direttrice Torino-Lione il trasporto merci è diminuito costantemente e la linea esistente è sfruttata solo per un quinto. Secondo la pianificazione europea, la Torino Lione deve essere un nodo cruciale del corridoio mediterraneo, la direttrice ferroviaria che unendo Lisbona a Kiev dovrebbe collegare l’Atlantico all’Est Europa. 
Ma Portogallo e Ucraina si sono già tirati fuori, e in Francia è in corso un acceso dibattito istituzionale. Alla fine rischiamo di essere gli unici a realizzare un tratto di questo corridoio.
Mentre si concentrato risorse e polemiche sulla Tav, le Ferrovie dello Stato hanno abbandonato le tratte internazionali che collegano l'Italia alla Slovenia, all'Austria e alla Germania. Il Friuli Venezia Giulia si ritrova senza collegamenti ferroviari con tutto l'est Europa. L'unico modo per arrivare in Slovenia sono le strade statali e l'autostrada ed è lo stesso se uno vuole andare da Venezia a Vienna. Mentre il passaggio dal valico del Brennero, per andare a Monaco di Baviera, è gestito solo dall'azienda ferroviaria tedesca. Ma le ferrovie dello Stato stanno pensando anche di eliminare la tratta Cuneo Ventimiglia, una linea storica che collega l'Italia alla Francia. Proprio in questi giorni ci sono manifestazioni e presidi di cittadini italiani e francesi che protestano contro la possibile chiusura. Ormai da anni sono scomparsi anche il diretto Cuneo Nizza, gli Eurocity Milano Nizza ed il notturno Nizza Roma. Tutto questo mentre in Liguria sono in corso i lavori per il raddoppio della linea ferroviaria che ha anche la funzione di migliorare i collegamenti con la Francia, un’opera che però rischia di essere l’ennesima incompiuta.
I disagi per gli utenti che viaggiano con Trenitalia sono diversi. Per esempio non basta comprare il biglietto per essere certi di viaggiare in treno. Le tariffe e le regole imposte da Trenitalia sono tra le più farraginose e rigide d'Europa. Il titolo di viaggio che fornisce Trenitalia vale solo per un preciso orario, una precisa tariffa, una precisa categoria di treno. Se vuoi cambiare programma o arrivi in ritardo in stazione, rischi di pagare sovrapprezzi salatissimi oppure, in alcuni casi, sei addirittura costretto a ricomprare per intero il tuo biglietto. In Germania, ad esempio, la prenotazione dei treni, persino dell'alta velocità, non è obbligatoria, per cui con lo stesso biglietto si possono prende treni diversi, senza essere multati o costretti a pagare di più.
Anche il il sistema aeroportuale italiano è da tempo in crisi. Ci sono troppi aeroporti e la presenza pubblica è considerata eccessiva. Per fare un esempio, sei aeroporti, in 4 diverse regioni, sono costati 300 milioni di euro. Secondo il presidente Enac, Vito Riggio, gli enti pubblici devono lasciare la materia aeroportuale, mettere tutto nelle mani del mercato e chi avrà i numeri resterà in piedi.
Il Ministro Passera ha stabilito quali aeroporti sono da considerare strategici, quelli sostenibili, quelli indispensabili. Ma, soprattutto, quali aeroporti non sono più utili al paese. E chi vuole tenerli in piedi, ne sosterrà direttamente i costi.
Dai trasporti dei passeggeri a quello delle informazioni. Off The Report tratterà anche le vicende del Muos, il controverso potentissimo centro di antenne satellitari che gli americani stanno costruendo in Sicilia.

La prima verifica della pacificazione


Don Andrea Gallo aveva collegato il cielo con la terra: parlava di Dio agli ultimi, drogati, prostitute, poveri. La sua idea di Chiesa era di una porta aperta a tutti: divorziati e peccatori, non solo per i ricchi farisei.

Ecco, le immagini della folla, quasifestante, che si stringeva attorno alla bara, mi han fatto riflettere su cosa è sinistra. Stare dalla parte degli ultimi, aprirsi e non chiudersi, mettersi in discussione ma sapere battagliare per le proprie idee e per i propri principi.
Don Gallo era e sarà per sempre l'emblema di quello che non è il centro sinistra oggi, sapientemente rappresentato da Veltroni l'altra sera a Servizio Pubblico.
Don Gallo era al G8 di Genova dalla parte dei manifestanti e non dei black block. Era contro il Tav. Era dalla parte degli ultimi.

Cos'è oggi il centro sinistra? Uno spot bello che dietro ha ben poco. Si parla di riformismo ma le uniche riforme che sa portare avanti sono quelle votate, un po' controvoglia, con la destra. La riforma del lavoro, delle pensioni, la legge anticorruzione della Severino che ha appena salvato Penati.
Dovrebbe essere di sinistra difendere la scuola pubblica, difendere l'ambiente, essere contro la legge del più forte, di chi entra in politica per farsi gli affari propri. Eppure il PD voterà contro l'ineleggibilità di B., non farà una legge sul conflitto di interessi, una legge contro i corrotti. In Val di Susa e a Taranto (due esempi tra tanti) ha deciso di stare dalla parte del più forte.
E oggi vedremo cosa succederà col voto nei comuni: sarà la prima verifica del corso di pacificazione.
E non solo per il voto nei comuni. A Bologna, un gruppo di mamme si sono schierate contro i finanziamenti alle scuole private paritarie. 1 ml di euro sottratti alle scuole private: significa che al pubblico mancano fondi per poter svolgere il lavoro didattico, mancano posti e le mamme devono mandare i figli negli istituti privati.

Dicono che senza quei soldi, le scuole private chiuderebbero. Ma prima della legge Berlinguer, come facevano allora? E che razza di privato è quello che per andare avanti ha bisogno di fondi pubblici?

A Bologna, come a Taranto, come in Val di Susa, il PD ha scelto da che parte stare. Lunedì vedremo da che parte staranno gli elettori.

PS: questo il commento dei giornali di centrodestra sui funerali di ieri. Lasciali perdere don Andrea .. ci vergogniamo noi per loro.   



25 maggio 2013

Cronaca di un suicidio, di Gianni Biondillo


L'incipit
"Giulia lo aveva portato in giro per le rovie di Ostia Antica con la stessa serietà nel volto e lo stesso luccichio entusiasta negli occhi che aveva sua moglie (ex moglie, ma lui il prefisso lo scordava sistematico) quando cercava inutilmente di educarlo al bello, ormai troppi anni fa. Prima la grande, poi la piccola, le donne della sua vita sembrava si fossero passate il testimone, quasi non volessero abbandonarlo a un'esistenza fatta di brutalità, birre davanti al televisore e spazzatura surgelata da scaldare nel microoonde".
"Una storia sulle miserie del nostro tempo": incontrandolo in via Padova, qualche settimana fa, Gianni aveva usato queste parole per introdurre questo ultimo suo libro.
Dove le miserie sono sia le miserie dei nuovi poveri che si ritrovano all'improvviso alle strette tra tasse, mutuo, cartelle di Equitalia, stipendi non corrisposti nonostante il lavoro e una burocrazia demente che sembra fatta apposta per far impazzire le persone oneste.
Ma c'è anche una miseria etica, di valori, che nasce in questo oggi senza speranze, dove parlare di futuro, di vecchiaia, sembra qualcosa senza alcun senso. Come se fossimo condannati tutti quanti, chi più chi meno, a vivere un eterno presente da precario.
Nell'impossibilità di poter pianificare un futuro degno di essere vissuto, come è accaduto per i nostri genitori.

Virgilio, di questo viaggio dentro la miseria dell'oggi, è (a modo suo) l'ispettore Michele Ferraro che, in vacanza con la figlia in quel di Ostia, si imbatte in una barca alla deriva. Dentro i panni di una persona che non c'è, e poche frasi su un biglietto "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono". Sotto, " ..Non fate troppi pettegolezzi". Parole prese in prestito da Cesare Pavese, nel suo diario "Il mestiere di vivere".

Dai documenti, il nome del probabile suicida, Giovanni Tolusso, di mestiere sceneggiatore di serie TV, con un diploma da geometra.
Da qual punto, la nostra storia si sdoppia, raccontando a passi alterni l'inchiesta che Ferraro porta avanti a Milano (perché qualcuno deve informare la moglie di Giovanni che proprio a Milano abita), 
La verità era che i milanesi amavano la bici ma Milano odiava i ciclisti. Anzi: a Milano tutti odiavano tutti. Gli automobilisti strombazzavano dietro ai gruppi di ciclisti che occupavano la strada impedendo loro di superarli; i ciclisti odiavano i gli automobilisti che attentavano di continui alla loro vita; i pedoni odiavano i ciclisti  che, per evitare il traffico, assurdo e senza una pista a disposizione, salivano sui marciapiedi ma restavano in sella, usando i pedoni come bandierine di uno slalom; gli automobilisti odiavano i pedoni che attraversavano la strada sempre fuori dalle strisce o col semaforo rosso, e così via.  pagina 43
E, in parallelo, gli ultimi mesi di Giovanni Tolusso.
Nato in Svizzera, diplomatosi geometra per piacere al padre, muratore di quelli che si sono spaccati la schiena ma che coi soldi si sono potuti permettere una casa e un futuro ai figli.
"La vecchiaia .. un concetto così impensabile oggi. Il futuro era roba del secolo scorso, quando l'economia tirava, quando per davvero si potevano fare progetti. Quando un muratore come suo padre doveva ammazzarsi di lavoro, ma poteva in cambio mantenere una famiglia in modo decoroso, far studiare i figli, permettersi persino una csa di proprietà. E oggi? Cos'era successo all'ascensore sociale? Chi aveva sabotato la pulsantiera? Com'è che essere un professionista, o un insegnate, categorie che quando era bambino venivano guardate con rispetto, oggi non significavano più nulla? A quarantaquattro anni suo padre aveva ben chiaro cos'era stata la sua vita e cosa sarebbe stata la sua vecchiaia. A lui, alla stessa età di suo padre, sembrava quasi di avere appena iniziato ad orientarsi e, peggio, d'aver pure sbagliato strada." pagina 99  
Cosa è successo a Giovanni Tolusso? Lo si scopre man mano nella lettura. Stipendi non pagati, una cartella da Equitalia per tasse non pagate, le tasse per l'ordine dei geometri da pagare anche se dalla professione di geometra non hai preso guadagni ma per la burocrazia che governa oggi il mondo non importa. 

Assieme alla figlia, molto più matura di quanto Michele si ricordasse, incontrano la moglie sul morto, arrivando anche a contattare perfino il commercialista mentre è in vacanza in sudamerica, che dimostra una certa freddezza nell'apprendere la notizia: 
«Secondo lei .. perché Tolusso .. insomma, perché l'ha fatto?». Silenzio. «cioè, sempre se ..»«Sinceramente» e la voce si feece dura, «credo che non manchi a nessuno una buona ragione per uccidersi, non trova?»pagina 91
Quella cartella, tutta la trafila col suo commercialista per capire come risolvere il problema con l'Agenzia delle entrate, sono l'inizio della fine, per quest'uomo venuto su dal nulla, sceneggiatore di fiction viste da milioni di persone, ma paradossalmente col conto in rosso per colpa di questa crisi. Una crisi che non vale per tutti, come nemmeno è vero che oggi siamo tutti sulla stessa barca. C'è sempre qualcuno, come il suo agente Umberto, che sulla barca ha pure un posto comodo:
 Umberto ebbe un moto di stizza: «Perché oggi in Italia nessuno paga nessuno, l'hai capito o no? Nessuno!» Tranne quelle persone in fila allo sportello esattoriale, pensò Giovanni. Quelli pagano, eccome se pagano, grattano il fondo del barile, si vendono tutto ciò che hanno raccolto nel corso di una vita pur di appianare i debiti. Mai come in questi giorni Giovanni s'era reso conto che con tutti i negozi che stavano chiudendo sottocasa, strozzati dalla crisi, gli unici che aprivano e  si moltiplicavano in città erano quelli che acquistavano oro e preziosi. L'economia del baratto, del monte dei pegni, come in un film neorealista, come in Ladri di biciclette. pagina 80
Come il personaggio di Kafka, Giovanni rimane schiacciato da un meccanismo implacabile, perfetto, dove tutto viene schiacciato e spazzato via: via l'umanità, via la tua storia e la tua dignità di persona.
Cronaca di un suicidio è un racconto che prende spunto dal nostro presente, rimanendo sempre in perfetto equilibrio tra houmor e disperazione, sul destino di un uomo qualunque.

Il link per ordinare il libro su ibs.
La scheda sul sito di Guanda.
Il 04/06/2013 alle 18.30  alla Libreria Feltrinelli di Milano (piazza Piemonte) ci sarà la presentazione di "Cronaca di un suicidio", con l'autore dialoga Gianni Barbacetto.

24 maggio 2013

Se le è fatte da sola

Il tweet di Minzolini: le minacce la Boccassini (con due c) se le è fatte da sola?


Servizio pubblico - E' stato la mafia

Nel giorno dell'antimafia di facciata, quella che celebra gli eroi Falcone e Borsellino, le scorte saltate per aria per poi sentirsi la coscienza a posto fino all'anno prossimo, Servizio pubblico ha dedicato la puntata sulla trattativa, sul rapporto mafia politica (che non nasce nel 1992 e che non muore con l'arresto di Riina e Provenzano), sulle bombe della stagione 1992 1993, fino ad arrivare ai ricatti presunti o veri che sembrano emergere dalle telefonate tra Mancino (preoccupato dall'inchiesta di Palermo) e Loris D'Ambrosio.

Nella copertina della puntata Santoro ha ricordato il coraggio di Falcone e Borsellino, morti con la scorta perché lo stato ha ceduto alla mafia un pezzo della sua sovranità.
Falcone che credeva ad uno stato con una giustizia uguale per tutti che non agisce per vendetta. E che concede ad un assassino come Provenzano le cure mediche necessarie, se malato.
Cure negate oggi dallo stesso stato che anni fa gli si avvicinò per far fermare l stragi, per tramite di Vito Ciancimino.



Oggi la verità la deve accertare solo la magistratura? O anche la politica che dovrà smettere i panni di don Abbondio per mettere quelli di don Andrea Gallo.

La prima intervista a Santino di Matteo:

http://www.serviziopubblico.it/puntate/2013/05/23/news/qualcosa_non_andava.html?cat_id=10
Il primo pentito che svelò i retroscena di Capaci e che ha parlato dello strano suicidio di Nino Gioè, mentre stava per pentirsi.
Di gioè parlano anche D'Ambrosio e Mancino nelle famose telefonate.

Ospiti in studio, per parlare di mafia, trattativa e fare un parallelo con l'oggi Bruno Vespa, Valter Veltroni e Marco Travaglio.

Veltroni ha esordito tirando in ballo i momenti di cambiamento della storia del paese (il 1969, gli anni 70, il 1992) quando il paese stava per spostarsi a sinistra e abbandonare gli antichi equilibri. E ogni volta interveniva qualcuno per destabilizzare il sistema e impedire il cambiamento.

Veltroni ha tirato fuori anche i suoi dubbi sugli spari di Preiti: chi gli ha dato la pistola, di chi è il cellulare da cui ha chiamato. Ci sono troppi punti da chiarire, come anche per la bomba di Capaci.
Come mai si è spostato il commando che doveva uccidere Falcone da Roma a Palermo? Con quella bomba in stile narcos?

Qualcuno ha coperto politicamente Riina?
Veltroni si è poi lanciato in un attacco alla Dc, nella corrente andreottiana, che è stata il referente politico di cosa nostra.
Caro Veltroni, si vede che andreotti è morto, anni fa certe uscite non ci sarebbero state, in questo paese dove la memoria e la coscienza si risvegliano tardi.

Un paese dove Buscetta ha dovuto aspettare la morte di Falcone per poter raccontare delle brutte amicizie di Andreotti.
Dove Agnese Borsellino ha dovuto aspettare anni per poter raccontare la sua verità sul generale Subranni. Quando finalmente era cambiato il clima: a Sandro Ruotolo ha anche confidato che non è solo l'agenda rossa ad essere sparita, ma qualcuno è anche entrato nell'ufficio di Paolo Borsellino, sigillati dopo l'attentato.

Come per Dalla Chiesa. Come i pc di Falcone. Come per i nastri di Rostagno.

Le telefonate tra Mancino e D'Ambrosio: anche queste rischiano di diventare un mistero d'Italia, l'ennesimo.
Mancino era preoccupato dagli sviluppi del processo di Palermo, ma viene tranquillizato "questi non arriveranno a niente". Cosa significa?
Perché chiedeva un maggiore coordinamento a Grasso? Per togliere il processo da Palermo e spostarlo a Caltanissetta, dove nessun politico è coinvolto?

Bruno Vespa ha fatto un intervento che contesto in parte: non è vero, come ha racconatto il giornalista, che lo Stato non ha mai trattato. Per il rapimento Cirillo, lo ha fatto.
Mentre sono condivisibili i suoi dubbi sul fatto che Mancino non sapesse di quanto stava facendo Conso. Che col suo decreto tolse il 41 bis a centinaia di mafiosi (tra cui Ciancimino).

Veltroni ha poi ritirato fuori la teoria delle altre entità, che avrebbero condizionato le azioni della mafia. Qualcuno sopra ministri e sopra i servizi.
E poi, Ciancimino capo politico della mafia? Quando era a Roma quasi come pensionato?

Travaglio stesso gli ha risposto: tutti i politici sono insospettabili, visto che la colpa è di una entità oltre? Ma questa trattativa chi l'ha fatta allora? Tutti quelli che conosciamo sono i buoni e gli altri (chi? solo i mafiosi?) i cattivi?



Perché a guardare i fatti, le cose sono meno ciare di come sono state raccontate: Santino di Matteo aveva già confidato ai magistrati di aver dato un telecomando, dopo Capaci, ai Graviani. Si poteva già escludere la pista Scarantino nel 1993.

Un agente, in una intervista che Santoro ha mandato in onda, denunciava che prima della strage di via D'Amelio, Borsellino era andato da Parisi per chiedere una scorta rafforzata. Episodio negato dal capo della polizia, ma che aggiunge altri dubbi sui vertici dello stato..

A che ipotesi si riferiva D'Ambrosio, quando scrive a Napolitano, riferendosi agli anni 1989 e 1993.

Non solo: stanno venendo fuori altre testimonianze inquietanti. Come il carabiniere che ha raccontato della mancata cattura di Provenzano nel 2001, sempre nella zona di Montagna di Cavalli.
Qualcuno proteggeva Provenzano?



E sempre qualcuno è oggi preoccupato che Binnu si metta a parlare?



Chi ha paura di questi ricatti?