31 dicembre 2019

Non sono io, di Vittorio Nessi



Guarda che non sono io quello che stai cercando.. 
guarda che non sono io quello che mi somiglia 
Francesco De Gregori

Tre storie all'interno di questo noir scritto dall'ex magistrato comasco Vittorio Nessi: sono tre indagini in cui è coinvolto il suo personaggio, magistrato pure lui a Torino, Bruno Ferretti.
Tre casi che vivono di vita propria in cui, come nei romanzi Simenon, partendo dal caso di cronaca, si arriva a toccare temi più profondi dell'animo umano, sia la sua parte più nera che quella più nobile.

Il ragazzo dai capelli ricci
Monica subì la violenza che era da poco passata la mezzanotte. Era ormai davanti al portone di casa, ma le bastò sentire ansimare dietro di sé, troppo vicino a sé, per capire che era perduta. Quando sentì la unta del coltello alla schiena il gelo, sebbene fosse una notte d'estate, le prese le spalle. Aveva il respiro in fondo alla gola. Le sembrò di udire una voce:«La prego, no!».

A Torino, attorno al quartiere Barriera, si sono verificati diversi episodi di violenza sessuale: è questo il primo drammatico case che deve seguire il procuratore Ferretti. Brutte storie, perché riguardano donne costrette a subire violenza da un ragazzo che, subito dopo, è come se subisse uno sdoppiamento, come se volesse chiedere scusa alle vittime, come se cercasse di chiedere loro scusa.
I problemi personali, la madre persa ..
Chi è questo strano violentatore, descritto in modo quasi univoco da tutte, capelli ricci, zigomi alti, occhi scuri?
Aiutato anche dalla caparbietà di una madre di un sospettato e attraverso tanti colpi di scena, Ferretti arriverà al vero colpevole la cui storia è legata a quella di un altro uomo, arrivato a Torino dal sud, pure lui con quei capelli ricci e capace di farsi amare dalle donne.

Si parla di amore, del sentimento che rimane tra due persone anche quando uno dei due non esiste più; del tema della carcerazione preventiva, ovvero trattenere in carcere una persona che non è stata ancora condannata e del tema attuale della prescrizione.
Vedremo questa indagine attraverso gli occhi umani e comprensivi del magistrato che deve applicare la legge e anche la comprensione.

Nove piccoli indizi
La storia dei tre sosia non era passata nella vita di Ferretti senza lasciare traccia. IL pubblico ministero conosceva bene i limiti del suo lavoro, ma per la prima volta aveva dovuto interrogarsi sulla labilità dell'indagine, una specie di trama geometricamente perfetta perché tessuta secondo le regole della procedura, ma esposta ad eventi tanto imprevisti quanto inimmaginabili che finivano per mettere in pericolo il senso ultimo della giustizia.

Il secondo caso riguarda un caso si sparizione dietro cui si nasconde un delitto compiuto su un luogo di lavoro. Selim, un immigrato nigeriano, è sparito una sera dopo che i suoi datori di lavoro dicono di averlo accompagnato sotto casa.
Il pm titolare del fascicolo, collega di Ferretti, li aveva portati a processo ritenendoli invece responsabili della sua morte, ma la corte d'Assise li aveva assolti.
Spadaccini gli chiede aiuto, conoscendo la sua preparazione e la sua capacità di saper portare avanti le battaglie, per il processo di appello: processo di tipo indiziario, però, che si basa su nove indizi raccolti dagli inquirenti e che, solo se visti tutti assieme, in un unico puzzle, possono dirci qualcosa su quanto è successo e diventare così una prova valida in un processo e non solo una suggestione di un magistrato.

Un arrestato e tante carte
«Dottor Ferretti, è arrivato in ritardo per il caffè, questa mattina, qualcosa non va?»La voce di Patrizia proveniva dalla stanza accanto attraverso la porta lasciata aperta. Il pubblico ministero, appena entrato nel suo ufficio, era stato abbagliato dalla luce dei raggi luminosi di una tersa giornata d'estate ed era corso ad abbassare le tendine delle finestre.

Terminato il processo per la morte di Selim, dopo un lunga requisitoria in corte d'Appello, un'altra rogna arriva sulla scrivania di Ferretti: un uomo arrestato al sud, in Campania, che si è accusato di una serie di delitti rimasti insoluti, diverse prostitute uccise in diversi posti, da Torino a Mestre e che forse sono tutte opera di un serial killer.
«Comunque, Bruno, si tratta di una storia delicata. Prima che i giornali se ne impadroniscano è opportuno approfondire il quadro delle responsabilità. E poi l'indagato, un tale Spinello, ha chiesto di essere interrogato dal pubblico ministero. Sentilo al più presto e fammi sapere».

La persona arrestata si chiama Spinello, ha vissuto per anni in Svizzera, finché non ha deciso di tornare al suo paese d'origine. Fermato dai carabinieri per non essersi fermato ad un controllo, ha confessato una serie di delitti, fatti in più posti nel nord, contro prostitute che voleva derubare. Per soddisfare la sua febbre del gioco.

Compito del magistrato portare a processo l'accusa, trovando quegli indizi nei confronti del reo la cui confessione, fatta senza un avvocato a fianco, potrebbe non essere valida.
Si gioca tutto sulla psicologia dell'assassino, questo terzo episodio, che si confida col magistrato raccontando della sua scelta nata dopo aver ascoltato una canzone
Quei giorni perduti a rincorrere il vento 
a chiederti un bacio e volerne altri cento .. 
(Amore che vieni, amore che vai, De Andrè)

Ma chi è veramente l'assassino? Un pazzo, un malato di mente che uccide in un momento di sdoppiamento dalla sua personalità, o solo un uomo preda della malattia del gioco d'azzardo ai casinò?

Domande che si incrociano con altre, che Ferretti si pone nei confronti di una donna, conosciuta nel periodo trascorso in una procura di provincia. Una donna che gioca coi sentimenti delle persone.

Soffre dell'eccesso nel voler arricchire il racconto, con pezzi di requisitorie, con le tante citazioni che arricchiscono le storie ma che a volte tendono ad appesantire la lettura.
Ma questo è un libro che porta dritto dentro il mondo della macchina della giustizia, le sue regole e le sue procedure a garanzia degli impuntati e delle vittime.
Un mondo dove però, alla fine, a decidere, a prendere delle decisioni, è sempre la persona, l'uomo.
Buona lettura!

La scheda sul sito di Daniela Piazza Editore
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Il decennio che si chiude

Il decennio che si chiude mette la parola fine alle primavere arabe, le rivolte popolari contro i regimi in nordafrica cominciata con l'ambulante tunisino che si diede fuoco per protestare contro il pizzo chiesto dai poliziotti di Ben Ali.
Primavere che sono state soffocate dall'intervento occidentale, russo, americano, turco.
Dalle primavere arabe al Daesh, all'Isis, alla guerra ai curdi.

Il decennio che si chiude sancisce il fallimento del capitalismo e del libero mercato: la crisi finanziaria cominciata con le banche avrebbe dovuto insegnarci che non esiste il mercato che si auto regola, che non esiste la libera concorrenza, che non è vero che la libera circolazione di merci e denaro avrebbero reso tutti più ricchi.

La globalizzazione ha reso il mondo ancora più ingiusto, diviso, con sempre maggiori disuguaglianze.

Il decennio che si chiude segna la fine dell'utopia di internet: la rete non è più il luogo dove sono tutti uguali, della comunicazione orizzontale.
Attraverso la rete si ha lo sfruttamento nel lavoro (pensate alla Gig economy e ai rider), vengono rubate le informazioni personali, private che noi regaliamo ai big della rete che hanno creato dei monopoli che si pongono sopra gli stati nazionali. 

Il decennio che si chiude stasera segna la fine dei partiti, in modo definitivo.
Rimangono solo gruppi di potere, portavoce di interessi altri, che non coincidono col bene comune dei cittadini delle democrazie.
Gruppi di potere che non fanno politica ma marketing politico, secondo canovacci stabiliti da guru della comunicazione (avete letto gli appunti di Salvini per le elezioni in Emilia Romagna? Le accuse contro il reddito di cittadinanza, contro la sugar tax che blocca le aziende, i leader politici che difendono più le multinazionali che non le persone, i concessionari delle autostrade, dell'Ilva).

Di fronte a questa crisi di partiti e della politica nel dare le risposte, rimangono i movimenti dal basso, gli studenti del fridays for future e le "sardine", che però sono solo il dito che indica la luna.

I cambiamenti climatici, il clima di odio e le divisioni nella società, lo sfruttamento sul lavoro, le morti sul lavoro, il lavoro che non c'è, la povertà che fa paura alla classe media e che la spinge in posizioni di difesa, chiudendosi su se stessa.

Si chiude un decennio e all'orizzonte non si vede nulla di nuovo, se non appunto le proteste e le manifestazioni dove troviamo i cittadini di domani, quelli a cui stiamo consegnando questo mondo ingiusto, instabile, avvelenato. 
Se almeno riuscissimo a prendere coscienza degli errori fatti.

29 dicembre 2019

Dove abita la giustizia – riflessioni di un magistrato sulla prescrizione


Dove abita la giustizia 
Ferretti sapeva che la giustizia doveva abitare nel Palazzo che era spesso assente.Lui cercava di riportarla in quei locali solenni, ma lei trovava sempre qualche fessura da cui scappare via. 
Bastava pensare a tutto quel lavoro inutile che sta dietro ai reati che vanno in prescrizione. Per ogni proscioglimento causato dal decorso del tempo c'era una vittima che non aveva ricevuto tutela e quando mancava il danno per qualcuno, c'erano sempre le ragioni di tutti i cittadini che dal delitto ricevono un pregiudizio in termini di violazione del patto sociale. 
Lui la chiamava giurisdizione apparente, un lavoro inutile per dare l'impressione che il sistema funzioni, energie sprecate per giustificare il nulla di fatto.Non c'è niente di peggio che l'accertamento di verità rimasto incompiuto, pensava il pubblico ministero. Restano i dubbi, i sospetti, l'idea che la legge è uguale per tutti, ma che per qualcuno lo è un pochino di più. 
Ferretti vedeva la giustizia colpire con la spada e gli occhi bendati, ma solo per i deboli, per i poveri. 
Quando si indagavano le persone per bene, allora le cose si complicavano. A volte gli sembrava un sistema perverso: il processo deve concludersi in un tempo ragionevole e, contemporaneamente, si dà la possibilità all'indagato di prolungarlo con cavilli, rinvii, incombenze tanto formali quanto inutili per poi sentirsi dire:
«Spiacenti, il tempo è scaduto, la Giustizia è arrivata in ritardo».
 
Non sono io Vittorio Nessi, Daniela Piazza Editore


Sono le riflessioni, amare, di un magistrato: il pubblico ministero Bruno Ferretti, alter ego letterario del magistrato comasco (ora in pensione) Vittorio Nessi. 
Sono riflessioni che toccano il tema, tornato attuale, della prescrizione: sono ormai più di dieci anni che si parla di questo, di allungare i tempi, di riformare il processo penale, di riformare il meccanismo della prescrizione.
Ad oggi in Europa solo in Italia e in Grecia la prescrizione continua per tutto l'iter del processo, fino alla Cassazione.
Toglierla sarebbe una barbarie, far diventare il cittadino un perseguitato a vita della giustizia.
Obiezioni fatte, spesso in buona fede, che però non spiegano come mai altrove in Europa la barbarie non regni sovrana, come mai era l'Europa a chiederci di rivedere la prescrizione.
La legge oggi, anziché essere uguale per tutti, è un po' meno uguale per chi può permettersi buoni avvocati, per dilungare i tempi.
E tutto questo non però non è considerato barbarie.
Dove abita la giustizia?

28 dicembre 2019

Maigret e il corpo senza testa, di Georges Simenon



La scoperta dei fratelli Naud 
Il cielo cominciava appena a sbiancare, quando Jules, il maggiore dei due fratelli Naud, comparve sul ponte della chiatta: prima la testa, poi le spalle, e in fine il suo lungo corpo dinoccolato.Passandosi una mano fra i capelli color biondo paglia tutti arruffati, guardò la chiusa, il quai de Jemmapes a sinistra e il quai de Valmy a destra..

Inizia con questa immagine, due fratelli, simili nelle movenze, che si apprestano a passare con la loro chiatta che trasporta pietre, una chiusa sul canale Saint Martin a Parigi, vicino al quai de Valmy. Una mattina come tante per i due fratelli, se non che armeggiando per staccarsi dalla riva, l'elica della chiatta sembra essersi bloccata, come se ci fosse qualcosa di impigliato tra le pale.
Lentamente estrasse la pertica, e quando l'arpione arrivò a pelo dell'acqua affiorò uno strano pacchetto legato con lo spago, con la carta di giornale ormai a brandelli.Era un braccio umano, intero, dalla spalla alla mano: in acqua aveva assunto un colorito livido e una consistenza da pesce morto.

Si tratta di un cadavere, anzi, di un pezzo di un cadavere di un uomo. Inizia così, con questo particolare macabro, il braccio di un uomo ripescato dal fondo di un canale, questo romanzo di Simenon dove tutta l'azione, si svolge per lo più all'interno di un bistrot.
Uno dei tanti, nella Parigi di metà novecento: un bistrot in cui Maigret e il suo assistente Lapointe (da solo avrei paura di annoiarmi) si imbattono per caso, dovendo fare una telefonata al Quai des Orfèvres.
Si tratta del locale di Omer Calas, ma l'oste, il padrone, non è in casa, è uscito per andare a comprare del vino in campagna.
«Mi è capitato di dare un'occhiata dalla porta, di sera. Ogni volta ho intravisto gente che giocava a carte a un tavolo e un paio di clienti al massimo in piedi davanti al banco. E' uno di quei posti dove, se non sei un frequentatore abituale, hai sempre l'impressione di dar fastidio».

Dietro il bancone solo una donna anzi, una donna sola, che suscita fin dall'inizio una strana attrazione nei confronti del commissario. Non per il suo aspetto fisico, molto dimesso. Nemmeno per le poche parole scambiate: è per quell'atteggiamento di distanza, quasi un estraniarsi dal mondo, dal quello che succede attorno. Un distacco che impedisce al commissario di coglierne i pensieri.
Era da tempo che il commissario non provava un simile interesse per un essere umano.Quando era giovane e fantasticava sul futuro, non si era forse immaginato un mestiere ideale che, malauguratamente, nella vita non esiste? Non l'aveva mai detto a nessuno e non aveva mai pronunciato quelle parole, nemmeno fra sé e sé, ma avrebbe voluto essere un raddrizza destini.D'altra parte, ed era una cosa piuttosto curiosa, nella sua carriera di poliziotto gli era capitato di rimettere in carreggiata persone che i casi della vita avevano indirizzato su una cattiva strada.[..]E se c'era qualcuno palesemente fuori strada era quella donna che andava e veniva in silenzio, senza tradire nulla dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti.

Ma un'indagine non è fatta solo di impressioni, di sensazioni, c'è un cadavere, di cui una seconda parte viene recuperata, fino ad arrivare al corpo intero, escluso la testa.
Dall'analisi del medico emergono pochi altri tasselli: maschio, tarchiato, tra i cinquanta e i sessanta, una rosa di pallini sul petto per una vecchia ferita, i resti di un'operazione di appendice.
Troppo poco per arrivare ad una pista, tanto più che Maigret deve rendere conto al giudice istruttore Coméliau
.. apparteneva a un preciso ambiente, a un'alta borghesia con rigidi principi e con tabù ancora più sacri, e non poteva fare a meno di giudicare tutto sulla base di quei principi di quei tabù.

Mettendo assieme i pochi indizi e le tante sensazioni, Maigret si concentra proprio su quel bistrot e sulla sua proprietaria, di non non ci viene rivelato nemmeno il nome se non alla fine.
Una donna strana, che sfugge agli schemi in cui normalmente Maigret inquadra le persone: potremmo quasi dire che se all'inizio aveva seguito il caso con una certa indolenza, il trovarsi di fronte ad una persona del genere, è quasi una sfida. Perché Maigret ne è convinto: il morto era il marito, sposato da giovane tanti anni prima e il cui matrimonio era poi diventato uno di quelli dove ci si mal sopporta, giusto per sopravvivere, con l'aggiunta anche delle botte.
A Maigret non importa solo capire chi, ma perché?
.. ai suoi occhi il problema era un altro. L'importante era capire. E lui non solo non capiva, ma quanto più conosceva le persone coinvolte, tanto più brancolava nel buio.

La ricerca dei perché, di quel cadavere senza testa, diventerà l'ossessione del commissario, le cui radici porteranno il commissario ad una vecchia storia di uno di quei paesi di campagna, da cui pure Maigret proviene. Una storia di improvvisi arricchimenti, di titoli e di cognomi importanti comprati e di ribellione ad un padre troppo legato ai beni.


La scheda del libro sul sito dell'editore Adelphi
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27 dicembre 2019

La scuola tagliata


Nel 2008, il governo Berlusconi (con la Lega come alleato), tagliò la spesa pubblica per la scuola di 10 miliardi con un taglio alla spesa per la ricerca del 20%: un taglio che in questi anni non è mai stati colmato.
Erano gli anni delle leggi ad personam, delle pillole della Gelmini (mini spot costati milioni), del ministro Calderoli che bruciava leggi a caso e apriva un'inutile sede ministeriale a Monza alla reggia.

Sono passati più di dieci anni e la situazione nella scuola, nell'università e nella ricerca non è affatto migliorata, anzi, ogni ministro ha voluto lasciare il segno col la sua riforma.
Tutto questo per dire che danno molto fastidio le battute e le frecciatine rivolte all'ex ministro dell'istruzione Fioramonti per le sue dimissioni: il peggior ministro, uno che voleva mettere la tassa sulle bevande zuccherate, si dimette e entrerà in una corrente pro Conte, ..

Il saggio indica la luna e gli stolti osservano il dito: perfino il presepe è stato tirato dentro questa polemica, per non parlare delle bevande zuccherate che causano problemi di obesità che sono anche un costo per lo Stato.
La scuola italiana ha bisogno ora di soldi, per migliorare le strutture a pezzi, per assumere insegnanti in modo stabile (costa molto di più assumere i precari di anno in anno e pagare le multe per i contenziosi con le famiglie, per gli insegnanti di sostegno).

I liberisti di soliti obiettano chiedendo da dove prendiamo questa nuova spesa pubblica? Vorremo mica mettere altri soldi nel pubblico? Tutta spesa inutile.
Ci sono poi quelli che tirano in ballo le pensioni: spendiamo miliardi in pensioni, togliamo i soldi agli anziani.

Spendiamo anche soldi per i liberisti del Foglio, quotidiano di proprietà di un immobiliarista, che riceveva fondi pubblici per un partito che non esiste.
Abbiamo speso e spenderemo miliardi per il Mose, per gli armamenti, per la tassa occulta della corruzione.

Forse potremmo permetterci qualche miliardi in più per l'istruzione e portarci alla pari con le altre nazioni europee: ad oggi la situazione degli investimenti in ricerca è fatta in nome della meritocrazia, per cui le università più brave prendono soldi.
Lo stesso meccanismo per cui i comuni che erogano meno servizio prendono dallo stato meno soldi di quelli che già oggi al nord offrono asili e scuole (se ne era occupata una puntata di Report) e di fatto si penalizzano gli enti in difficoltà.

In particolare, il taglio alla ricerca costringe molti studenti che intendono seguire questa strada ad andare fuori casa, spesso all'estero.

Potete continuare a fare tutte le battutine sulla sugar tax e sui presepi, ma la realtà è questa.
L'istruzione in Italia è malata e tutti i governi recenti portano su di sé delle colpe, tutti.

Sul sito Roars i numeri di questa malattia riassunti nei grafici che riportano PIL, taglio della spesa in istruzione, finanziamento all'università.
La situazione è chiara, possono capirla tutti, sia quelli del presepe che gli altri del piano choc.



25 dicembre 2019

Mussolini ha fatto anche cose buone, di Francesco Filippi



Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo

L'Italia non ha mai fatto i conti con la sua anima fascista: non intendo il fascismo della camicia nera e del fez, ma invece quel maschilismo strisciante, quel razzismo latente del “non sono razzista ma.. ”, il considerare le donne buone solo per far figli e un male se preferiscono cercare un riconoscimento nel lavoro.
L'essere forti coi deboli e deboli coi forti, la legge che va bene per attaccare i nemici e che si può calpestare se ci danneggia, l'ostentare la triade Dio-patria-famiglia come se fosse un'arma..
Quest'anima di rivela ogni volta che leggiamo, da nostalgici fascisti ma anche da politici dei nostri tempi, giudizi positivi sull'operato di Mussolini nel suo ventennio.
Uno che mandava gli oppositori in vacanza, come disse Berlusconi.
Uno che ha costruito ponti ed edifici, a sentire Tajani.
Uno che ha portato in Italia la previdenza sociale, sostiene Salvini.

Bene, questo libro smonta una dopo l'altra tutte le bufale che sono sopravvissute fino ad oggi sul fascismo, dal duce delle pensioni al duce che in fondo è stato un dittatore buono. Scrive nella prefazione lo storico Carlo Greppi, riferendosi ai fascisti che sui social scrivono di voler pisciare sui libri degli antifascisti
.. cari neofascisti del terzo millennio e cari nazionalisti che guardate con nostalgia a una delle epoche più buie della storia contemporanea: questo è un libro sul quale proverete a versare ogni forma di liquido, perché queste pagine scavano e svelano, scardinano e scolpiscono dritto nel seno. Arrivano al bersaglio grosso senza tentennamenti.

E' stato un lavoro certosino quello di Francesco Filippi, andando a verificare regi decreti, atti del governo, per cercare di andare oltre il mito che in questi anni è stato costruito: una sorta di nostalgia per un periodo passato, che si reputa fosse felice, per il lustro che aveva l'Italia, nessuno rubava, tutti lavoravano, quando c'era lui i treni arrivavano in orario e tutti avevano una casa..
Bene, tutto falso: se leggerete questo libro, che è molto dettagliato e chiaro, ve ne renderete conto anche voi. Viviamo in un'epoca di fake news, un qualcosa che non è stato inventato oggi ma che i media di oggi hanno amplificato: se smontare queste fake news è complicato, smontare la propaganda fascista che costruito queste bugie è più semplice, basta partire dalla realtà.
Smontare una bufala quando la gente già parla d'altro è inutile: una battaglia persa, o comunque a perdere. Se sul presente si è costretti a combattere un'estenuante guerra di trincea però, qualcosa in più è possibile fare sul passato: le fake news storiche hanno lo svantaggio di essere ancorate ad un argomento specifico, e la smentita di una bufala storica, una volta elaborata, ha la stessa velocità di propagazione della bugia che contrasta.

Perché occuparsi di queste bugie? Il fascismo, nelle forme del ventennio, non tornerà più: assistiamo invece ad un ritorno di quelle idee che lo hanno caratterizzato, il desiderio dell'uomo forte, l'inutilità dei diritti civili, l'attacco ai sindacati, ai giornali liberi, il ruolo della donna sempre mortificato.
Pensare a un ipotetico passato positivo lascia una speranza nell'animo di chi è scontento del proprio presente. In un momento di velocità e valori fluidi, avere un posto sicuro e tranquillo in cui rifugiarsi è rinfrancante, anche se questo posto è la memoria, anche se questa memoria è falsa”. 

Ecco, per mostrare una volta e per sempre come queste idee del passato non derivino da un'epoca felice, occorre che ci sia piena coscienza di cosa il fascismo è stato e di cosa non è stato.
Il nostro passato totalitario, con la compressione dei diritti, la violenza squadristica, il clientelismo dei ras fascisti, le ruberie del regime, anche se confrontato col misero presente, non ha nulla che meriti di essere riabilitato, è un'epoca che dobbiamo condannare una volta e per sempre.

Il duce previdente e previdenziale
Mussolini ha dato le pensioni agli italiani?

Il duce non ha dato le pensioni agli italiani: sin dalla fine dell'800 esisteva un ente chiamato Cassa nazionale di Previdenza (creata dal governo Crispi) che aveva il compito di elargire una pensione a militari e a impiegati del settore pubblico.
La Cassa venne rinominata in Cassa Nazionale per le Assicurazioni sociali nel 1919 e venne estesa la copertura anche al settore industriale.
Il fascismo mise questo ente sotto il controllo del governo, e nel 1933 lo rinominò in Infps (dove la f sta per fascista) in modo da poter controllare l'erogazione di questi aiuti, non solo le pensioni ma anche altri aiuti che oggi mettiamo sotto la voce di welfare.
Un tentativo propagandistico di impossessarsi di quello che nei fatti era stato il frutto di decenni di contrattazioni e lotte sindacali, di riforme attuate dai governi liberali e di iniziative delle associazioni di categoria dei lavoratori”

Questo carrozzone pubblico, INFPS arrivò ad avere 8000 dipendenti per il modo clientelare con cui furono guidate le assunzioni al suo interno, portandolo ad una situazione di crisi.

La tredicesima? Esisteva già prima di Mussolini, che la rese obbligatoria solo per gli impiegati pubblici, che erano il suo bacino elettorale di riferimento, quel ceto medio che vagheggiava di avere mille lire al mese..

Il duce bonificatore
Mussolini ha bonificato le paludi?

Altro mito da ridimensionare: la bonifica delle zone paludose in Italia è cominciata prima del ventennio: in un primo momento (col Testo unico per le bonifiche del 1923) il fascismo cercò di fare degli interventi di bonifica in cui fossero coinvolti i privati.
A seguito del fallimento di questo tentativo, anche perché si scontrava coi grandi latifondisti del sud che si vedevano espropriati i terreni da bonificare, nel 1926 Mussolini incaricò l'Opera Nazionale Combattenti, composta da ex reduci, di gestire le opere di bonifica.
Il piano era ambizioso, strappare alle paludi 8 milioni di ettari di terreno, ma alla fine si riuscì a bonificarne (in modo completo) solo 2 e “di questi due milioni, un milione e mezzo erano bonifiche concluse dai governi precedenti al 1922 ”
Era un piano molto costoso per lo stato, su cui gravavano i costi per i contributi erogati ai privati, e anche perché coltivare sulle terre strappate alle acque era qualcosa di insostenibile.
La soluzione proposta dalla legge del 1933 era quindi l'unica possibile per non perdere la faccia: costringere i coloni a rimanere attaccati alla terra e prolungare i mutui agevolati e sgravi fiscali nella speranza che la situazione potesse migliorare.

Infine la malaria in Italia fu dichiarata come debellata solo nel 1970, dall'OMS.

Il duce costruttore
Mussolini ha dato una casa a tutti gli italiani?

Dalla fine dell'800, l'Italia ebbe un boom demografico, parte della popolazione si spostò nelle città, portando alla domanda di nuove case. Il ministro Luzzatti, destra liberale, emanò il primo piano case: il fascismo non fece altro che prendere tutti gli istituti per le case popolari e ricondurli sotto le amministrazioni fasciste provinciali.
Ancora una volta, il fascismo metteva il cappello sopra un progetto non suo: ma a parte la riorganizzazione dei quartieri (a Roma, per esempio), spesso utile solo per la propaganda del regime, i risultati furono poco lusinghieri.

Poco lusinghiero anche il comportamento del governo Mussolini dopo il terremoto in Irpinia e in Basilicata del 1930: i terremotati rimasero nelle tende in attesa delle nuove case
La vera soluzione ai problemi causati dal terremoto, dopo la demolizione delle tendopoli, a pochi mesi dal sisma, fu principalmente una: l'emigrazione

Il primo piano case in Italia fu emanato dopo la seconda guerra mondiale da Amintore Fanfani nel 1949.

Il duce della legalità
Mussolini è stato un integerrimo difensore della giustizia?

Ai tempi del fascismo nessuno rubava. Falso, si rubava, ma non si poteva scrivere sui giornali.
Sul Mussolini difensore della legalità i primi dubbi sorgono sin dal 1914, dai soldi con cui riuscì a creare un nuovo giornale, Il popolo d'Italia, quando fu cacciato dall'Avanti, per il suo voltafaccia sull'interventismo.
Va poi chiarita una cosa: legalità e giustizia sono due cose diverse, specie in epoca di dittatura, dove il rispetto della legge è appannaggio del potente e non del povero o del dissidente.
Un regime che si è fatto largo con la violenza delle squadracce, con l'essere il braccio armato dei padroni delle ferriere, dei latifondisti, non ha nulla a che spartire con giustizia e legge.

C'è poi la vicenda del delitto Matteotti: l'autore cita le denunce che il deputato socialista stava per fare circa presunte tangenti che la Sinclair Oil, inglese, avrebbe pagato a gerarchi fascisti.
Delitto di cui Mussolini rivendicò la paternità politica e anche la natura criminale del governo, nel discorso del gennaio 1925.
Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”

Il regime e i gerarchi si erano arricchiti pure sulle case dei terremotati, i cui costi furono gonfiati: scandali e ruberie, le notizie di clientele locali venivano raccolte poi dall'OVRA e usate da Mussolini per ricattare i possibili nemici interni.

Anche sulla mafia occorre correggere il tiro: il fascismo usò le azioni militari del prefetto Mori in Sicilia, finché queste non toccarono i livelli politici della mafia e finché l'operato di Mori non iniziò ad offuscare quello del duce. A quel punto, nel 1928, Mussolini pensionò Mori e sui giornali non si parò più di mafia.

Il duce economista
Mussolini ha fatto progredire l'economia italiana ai massimi livelli?

Fa specie scoprire che Mussolini, per dare lustro al suo operato, avesse cercato di raggiungere il pareggio di bilancio, con una politica di austerity (nei confronti dei salari, della spesa sociale) e col raggiungimento di quota 90, ovvero 90 lire per una sterlina, moneta che allora era considerato il riferimento internazionale per la finanza.
Chissà se i sovranisti lo sanno, del mito della moneta forte, che poi danneggiò le aziende italiane che esportavano..
L'economia italiana nel ventennio non progredì: il pareggio di bilancio fu raggiunto solo grazie all'estinzione dei debiti di guerra; la crisi del 29 non toccò subito il paese per la scarsa finanziarizzazione delle imprese.
Mussolini salvò con soldi pubblici le banche d'affari, creò l'IRI come ente pubblico per il rilancio delle imprese, ma in realtà fu usato per comprare quelle in crisi.
La politica dell'autarchia penalizzò ulteriormente gli italiani, il resto lo fecero le sciagurate guerre a cui l'Italia prese parte: Etiopia, Spagna, Albania.
In quegli anni si allargò lo spettro delle disuguaglianze in Italia, la fetta tra la parte più ricca del paese e quella più povera:
.. a una ristretta platea di superricchi, per lo più aderenti al fascismo, fece da contraltare la gran massa della popolazione che per cercare opportunità di vita migliori aveva come unica alternativa l'emigrazione.

Il duce femminista
Mussolini valorizzò il ruolo della donna in Italia?

Per il fascismo la donna doveva solo essere genitrice dei nuovi italiani da donare alla patria.
Furono tanti i provvedimenti del regime per cacciare le donne dai posti di lavoro, dagli impieghi pubblici e da quelli privati.
Mussolini abolì nel 1926 il voto amministrativo, dopo aver concesso, magnanimo, nel 1925 l'estensione del voto anche alle donne, ma senza suffragio universale.

Le donne votarono per la prima volta nel 1946, per il referendum tra monarchia e repubblica.
Il ruolo della donna è ben definito dal dualismo di donna Rachele, la moglie di Mussolini, con Claretta Petacci, l'amante ufficiale del duce.

Nel codice fascista, sopravvissuto in parte fino ai giorni nostri, erano presenti anche due leggi: quella sul delitto d'onore e quella sul matrimonio riparatore (la violenza nei confronti di una donna era estinta col matrimonio appunto) .
Una vergogna.

Il duce condottiero e statista
Mussolini è stato un grande condottiero?

Eccetto i primi anni, l'immagine del duce è sempre in tenuta militare.
Eppure, guardando la realtà, non fu affatto un condottiero: le guerre dove hanno combattuto gli italiani sono state caratterizzate anche dai genocidi e le violenze contro i civili (in Libia, in Slovenia); per le sconfitte che abbiamo subito in Spagna contro i volontari repubblicani e in Grecia contro l'esercito ellenico che si presumeva fosse meno preparato del nostro.
Gli 8 milioni di baionette non esistevano, i nostri militari erano male armati e male motivati, comandati da generali che avevano fatto carriera solo dietro scrivanie dello stato maggiore o arruffianandosi col regime.
Per non parlare dei crimini di guerra compiuti, che contrastano con l'immagine falsa di italiani brava gente.
Il dissolversi così repentino di un regime ventennale nell'estate del 1943 può essere spiegato anche come la grande disillusione di fronte a un sistema narrativo di cartapesta che aveva retto per una generazione solo perché troppi pochi avevano avuto il coraggio di dire che il re, anzi il duce, era nudo.

Il duce umanitario
Mussolini fu un dittatore “buono”?

La dittatura fascista non fu affatto un totalitarismo dal volto umano: oltre all'eliminazione delle libertà individuali, non possiamo dimenticarci delle 3000 vittime negli anni dello squadrismo (il dato è riportato da Gaetano Salvenimi nelle sue memorie) e nemmeno delle leggi razziali emanate dal regime nel 1938.
Che furono solo un punto di arrivo, del razzismo presente nel regime, dopo le leggi razziste emanate in Etiopia dopo l'occupazione e in Libia.
Il regime voleva preservare l'uomo italico e il suo sangue dalla contaminazione col sangue ebreo e delle popolazioni locali in Africa.
Non possiamo dimenticare i lager italiani in Libia e quelli in Slovenia, ad Arbe

Il regime collaborò coi nazisti alla raccolta e allo sterminio ebraico solo dopo il 1943, ma solo perché Mussolini non voleva manifestare la sua subalternità nei confronti dei tedeschi, e comunque nel 1942 acconsentì alla deportazione degli ebrei in Jugoslavia.

Mussolini non amava nemmeno gli italiani: ci ricordiamo il cinismo dimostrato di fronte a Badoglio per la sua volontà di entrare nel conflitto, “mi servono poche migliaia di morti per sedere sul tavolo della pace”?
Quella fascista fu la più grave sciagura capitata al popolo italiano: i 472mila morti per la guerra, di cui un terzo civili, le morti in carcere o al confino, per le precarie condizioni di salute.

A queste bufale, se ne deve aggiungere un'altra, costruita da un giornalista Rai che recentemente ha scritto un libro che sta presentando ovunque, “quando l'Italia era fascista..”.
Secondo questo giornalista sono stati gli antifascisti a portare Mussolini al governo: non i latifondisti, non gli industriali come gli Agnelli, non la massoneria, non la cecità dei liberali italiani che vivevano con lo spauracchio dei socialisti e della loro rivoluzione.

Come vedere, le bufale sul fascismo fanno ancora oggi fatica a morire.

La scheda del libro sul sito di Bollati Boringhieri e il pdf del primo capitolo
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

24 dicembre 2019

Report – le smart city (e la pubblicità dentro instagram)

La pubblicità delle influencer su Instagram

Instagram è la piattaforma dove si concentrano gli affari della influencer più famosa italiana, Chiara Ferragni: questo è il social preferito dai giovani e su di esso si concentra il social marketing, legati ai like raccolti dalle foto.

Ma la pubblicità sui social non è trasparente: il problema è emerso dopo che la Ferragni ha indossato una maglietta di Alitalia firmata da una stilista.
Ora l'influencer mette un hashtag per indicare i post legati ad una pubblicità, ma quanti altri lo fanno?

Il mondo della pubblicità si è accorto dei social e delle influencer, come Paola Turani: il suo profilo è seguito da un milione di persone, attente a cosa fa, cosa mostra.
Nulla è spontaneo, è un lavoro quasi h24, foto dopo foto.

Serve mettere l'indicazione dello sponsor, per esempio sponsored by oppure l'hash #adv: senza si rischia il blocco del post, fino ad erogare delle sanzioni da parte dell'antitrust.

Ad oggi non sono state fatte multe, si è puntato molto sulla moral suasion contro i furbetti di Instagram.

Gli stessi influencer sembrano non essere consapevoli di fare pubblicità a brand, che se non pagano una cena in un ristorante o se hanno una vacanza pagata qualcosa vorrà dire..

Negli Stati Uniti la legge è chiara: qualunque vantaggio ottenuto dall'influencer va dichiarato, non basta la moral suasion.
Dietro questi post, dietro queste foto c'è un giro d'affari importante: succede così che i follower si possano comprare, da parte di aziende interessate dalla pubblicità occulta via social.
I follower possono anche essere presi tramite dei bot: è quello che avrebbe fatto Pierferdinando Casini o meglio il suo staff.

Il mercato degli influencer marketing è cresciuto del 34% nel 2018: sarebbe opportuno venisse regolamentato meglio, come in America.

La maledizione della terra dei fuochi

C'è poi gente che denuncia via Instagram gli sversamenti illegali nella terra dei fuochi, come Angelo Ferrillo.
Chi tollera la maledizione di un territorio in emergenza da almeno 30 anni?

Le città intelligenti di Michele Buono

Affinché le buone idee possano andare avanti serve fare massa, serve mettere assieme territori e persone: come fatto a Nizza, che è agganciata ad altri comuni attorno, come fatto a Chelmnitz col suo tram-treno.
Come potrebbe succedere tra Bari e Taranto, per collegare il porto col capoluogo.

Come hanno già fatto a New York: qui si è messa in gioco una massa critica importante, una classe dirigente lungimirante, per raggiungere obiettivi importanti per un piano energetico che fa diminuire il consumo della c02, che ha creato posti di lavoro, che ha messo assieme banche imprese e privati.

Si è iniziato col mappare il consumo energetico delle palazzine e dei palazzi: per quelli dispendiosi di energia si è previsto di mettere dei pannelli, si sono fatte consulenze per mettere degli orti sul tetto delle case, per avere prodotti a km zero.

Amsterdam Avenue, a NY City: è un signore coi capelli da rasta che si occupa della caldaia del palazzo, ristrutturata all'interno del piano del comune, il NYC Green New Deal: entro il 2030 si vuole ridurre la co2 del 40% e dell'80% entro il 2050.

Edificio per edificio si raccolgono i dati delle emissioni, che si possono monitorare in una mappa: il tutto è finanziato da un prestito a tasso agevolato che si ripaga col tempo.
Il comune e i responsabili del programma di ammodernamento hanno pensato anche alle fasce più deboli, come le persone in Amsterdam Avenue: caldaia nuova, sensori lungo il palazzo, infissi e finestre nuove, luci a basso consumo, valvole per i termosifoni. Perfino il tetto è stato dipinto di argento..

Una volta resi efficienti e dotati di impianti fotovoltaici, i palazzi potrebbero fornire energia a quelli che ne hanno bisogno: in questo modo non si ha più bisogno di enormi centrali inquinanti, pur mantenendo gli stessi consumi.

Secondo il programma di rigenerazione, si possono mettere sui tetti anche orti e alberi, per tenere bassa la temperatura dei palazzi; le piante assorbono poi l'anidride carbonica e colorano lo skyline della città.
Città che si è mossa in controtendenza rispetto al governo federale, perché non c'è tempo da perdere.

Si migliora l'ambiente, si crea lavoro, è un affare per tutte le città che vogliono aderire a questo programma.

In Francia una città come Nizza si è messa assieme alle altre della zona, secondo il principio dell'unione che fa la forza: ora esiste Nizza metropoli della Cosa Azzurra, che mette assieme il mare e le montagne, con l'obiettivo di ridistribuire le ricchezze su un territorio.
I 49 comuni hanno messo assieme i budget per poter fare operazioni più in grande, per ottenere maggiori prestiti dall'Europa: ogni sindaco lavora assieme agli altri, per un obiettivo comune: risolvere assieme i problemi dei rifiuti, dei trasporti, sistemare le strade, per realizzare l'impianto per la depurazione delle acque.

In questa nuova metropoli i turisti usano il sistema integrato dei trasporti per passare dalla montagna al mare: la metropoli in grande attrae investimenti privati, attrae turisti, attrae nuovi centri di ricerca e nuove imprese.

Anche qui si monitorano nel dettaglio il territorio, i consumi energetici, la fluidità dei trasporti.
E se si mettesse assieme Nizza e Genova: l'aeroporto internazionale di Nizza assieme al porto di Genova?

Potremmo creare delle autostrade marittime, far circolare più treni tra le due città, creare un unico territorio. E l'Italia che fa?
Non abbiamo reti, infrastrutture ma soprattutto, non abbiamo visione.

Facciamo una simulazione dell'economia dell'aggregazione anche in Italia allora.
Prendiamo il territorio tra Bari e Taranto, le infrastrutture, le industrie, il commercio per una popolazione di 2 milioni di persone, da mettere in relazione.
Partendo dall'aeroporto aerospaziale a Grottaglie, con la più grande pista in Europa: qui c'è il distretto aerospaziale pugliese, si progettano pezzi di motori di aerei.

A Brindisi si produce il Black Shape, la Ferrari dei cieli.
A Bari si producono satelliti per telecomunicazioni e per il monitoraggio della terra.
Sempre in Puglia si sviluppano e producano satelliti: lo fa la Planetek, una società capace di raccogliere immagini dai satelliti per fare poi delle valutazioni su quanto rilevato.

Ecco, mettiamo tutte queste aziende assieme, mettiamo che siano collegate da una infrastruttura veloce, che leghi assieme il porto di Taranto con Bari.
Per esempio la nuova linea adriatica, che permetterebbe di agganciare il mercato commerciale verso l'Africa e l'Asia.

Serve un collegamento veloce, una sorta di metropolitana veloce tra Bari, Taranto e i centri intermedi: tempi di percorrenza sotto i 30 minuti.

Come fatto a Chelmnitz col tram treno, che collega la città con tutti i centri attorno: cinque linea a raggiera collegano Chelmnitz con la regione.
Un tram nei centri urbani che diventa un treno tra città e città: in questo modo studenti, lavoratori, pendolari possono spostarsi in comodità da un posto all'altro.
Tutto questo ha rivitalizzato sia Chelmnitz che le città attorno, nelle zone rurali.

Immaginiamo cosa potrebbe succedere tra Bari e Taranto: per esempio a Taranto dove si produce l'acciaio, si potrebbe costruire la prima auto italiana a guida autonoma, per esempio quella realizzata dalla Vislab di Parma.

L'auto a guida autonoma è dotata di telecamere di bordo, davanti e a lato, diversamente dall'umano non si distrae e dunque è meno propensa a fare errori.
Auto del genere potrebbero essere messe in comune, sarebbe poco utile possederle: le informazioni raccolte dalle auto potrebbero poi essere analizzate dai satelliti per essere validate ed evitare così attacchi terroristici ..

Vanno messe assieme le realtà frammentate del territorio: auto elettriche che si guidano da sole, colonnine poste lungo il territorio, dove si può prendere o dare energia, quando sono ferme nei depositi a torre (è il progetto Enel X): serve però che tutto il territorio abbia regole comuni, per esempio per la collocazione delle colonnine.

Michele Buono ha fatto, assieme all'economista Minenna, una simulazione: con una raccolta di 100 miliardi tra soldi pubblici e privati si potrebbe mettere assieme tutta questa tecnologia, auto del futuro, un'impresa siderurgica, le colonnine, i satelliti per controllare dall'alto le immagini.

Vanno collegare assieme le due città pugliesi, Bari e Taranto, per creare una nostra via della seta, per intercettare il traffico di merci che vediamo sfilarci davanti tra nord e sud.

Michele Buono è poi volato in Inghilterra: le costruzioni sono realizzate in modo digitale, in blocchi modulari realizzati in modo digitale in aziende di costruzione che poi sono montati in cantiere.

In questo modo i tempi di costruzione sono certi, non ci sono sprechi: questa organizzazione industriale riduce i costi, rende possibili interventi anche in aree rurali.
Anche nel campo dell'edilizia l'unione fa la forza, per realizzare quelle infrastrutture che in Italia mancano, che mancano tra Bari e Taranto.

A realizzare questi progetti sono anche ingegneri italiani, che in Italia questi lavori non potrebbero farli: perché qui da noi gli sprechi, i tempi incerti sono un prezzo che dobbiamo pagare per quella politica che si basa sul clientelismo e che non si preoccupa del bene del paese.

In Italia a a Taranto è andato avanti per anni il ricatto sul lavoro, si è portato avanti un atteggiamento ambiguo con un'azienda privata italiana prima e una multinazionale poi.

23 dicembre 2019

Le emergenze ambientali (che non si vedono sempre) - la terra dei fuochi

Oltre alle Sardine, a Salvini, alle tasse che non piacciono ad Italia Viva, alla guerra per le concessioni, alle grida manzoniane contro il giustizialismo, c'è tutto un mondo fuori.
Per esempio l'emergenza ambientale, di cui si parla solo quando piove per più giorni e vengono fuori tutti i problemi del nostro territorio, da Venezia alla Costa Amalfitana.
Oppure l'emergenza ambientale in Campania, nella Terra dei fuochi, quella zona dello Stato italiano dove lo Stato sembra incapace di far valere la legge, dove le famiglie che vi abitano godono di meno diritti delle altre.

Ne parlerà stasera Report, con un servizio di Bernardo Iovene di cui è uscita una anticipazione sul Fatto Quotidiano:
“L’esercito sta là, 250 uomini senza poteri di polizia giudiziaria, stanno a fare gli spaventapasseri e davanti ci sono le carcasse di auto rubate e poi bruciate, i frigoriferi, il rame, gli scarti tessili e quelli di pellame, tutto bruciato”. Si intitola La terra dei ciechi la puntata di Report, in onda stasera, dedicata all’area tra Napoli e Caserta dove vivono circa 3 milioni di persone. Novanta paesi che abitualmente respirano i fumi degli incendi di rifiuti: un veleno continuo. Nell’ultimo anno i roghi sono aumentati del 30%, un’emergenza che non si ferma: durante i mesi estivi la redazione di Report ha ricevuto decine e decine di nuove segnalazioni. Nel servizio, Bernardo Iovene mostra come nulla sia cambiato nonostante “il commissario, i droni, l’esercito, la cabina di regia e il patto d’azione”. Nel 2013 il Ministero dell’Interno, la regione Campania, prefetture e altri enti siglano il “patto per la terra dei fuochi”. 
Una task force inutile, al punto che cinque anni dopo viene varato il “piano di azione per il contrasto dei roghi dei rifiuti” a cui aderiscono sette diversi Ministeri coordinati da due cabine di regia. “Per le forze in campo sembra un piano di guerra e ci siamo chiesti allora chi la stia vincendo questa guerra” sottolinea il conduttore Sigfrido Ranucci. La risposta è poco consolante come testimoniano i diversi attivisti del territorio intervistati: Angelo Ferrillo, la “sentinella integerrima”, Giovanni Papadimitri del comitato Basta roghi o Biagio D’Alessandro che documenta ogni incendio. Decine e decine di video pubblicati, decine di segnalazioni con ora e luogo. Iovene prosegue: “La corruzione nella pubblica amministrazione è l’altra causa della devastazione di questi territori. La polizia municipale è quella più esposta, ad Arzano in provincia di Napoli ci sono 9 vigili urbani sospesi tra ufficiali e sottoufficiali”. Arzano è un comune sciolto per mafia due volte in tre anni: in pieno centro i rifiuti bruciano ovunque, vengono sequestrate strade intere ma non basta. In questo territorio dimenticato se piove è una fortuna, perché l’alternativa è respirare fumi tossici. 
Una legge regionale del 2013 ha stanziato 7 milioni di euro per i comuni che presentavano progetti per la video sorveglianza e riqualificazione ma dopo sei anni sono stati spesi in tutto 3 milioni, solo 34 comuni dei 90 della terra dei fuochi si sono presentati. “Per i sindaci sono inutili? O preferiscono gli occhi chiusi? È la fotografia di una patologia, quei rifiuti sono in gran parte di un’economia illegale, piccoli artigiani, tessili, carrozzieri, meccanici che lavorano in nero. E che in nero pagano la filiera attrezzata a smaltire le loro scorie. Se non contrasti l’economia a monte fa i rifiuti illegali a valle” chiosa Ranucci. Esistono oltre 3500 siti di rifiuti abbandonati e bruciati, a nord di Napoli segnalati per la maggior parte da cittadini. Tutti segnalano ma nessuno rimuove. “Festeggiamo dieci anni da quando è stata decretata per legge la fine dell’emergenza, ve ne siete accorti?” domanda sarcasticamente Domenico Airoma, procuratore aggiunto tribunale Napoli Nord. Report non risparmia critiche nemmeno al ministro dell’Ambiente Sergio Costa, accusato di non mettere in pratica i proclami del passato.