Immaginate che paese avremmo potuto
essere se, a cominciare da quel tardo pomeriggio del 12 dicembre
1969, la nostra storia avesse potuto scorrere libera, senza
interferenze esterne ed interne, in mano alla sovranità del popolo,
come recita la Costituzione.
Libera dagli strascichi del fascismo,
che ancora occupava posizioni apicali dentro la macchina dello Stato
(nelle Questure, come quella di Milano, nelle procure).
Libera dai vincoli degli accordi di
Jalta (avendo perso la guerra) che bloccavano la politica nazionale
impedendo qualsiasi ricambio politico, qualsiasi alternanza politica
alla DC.
Liberi dalla presenza di tante
formazioni neofasciste, sopravvissute alla fine della guerra civile,
delle elezioni del 48, dell'avvento della democrazia.
Formazioni che si prestavano a fare da
manovalanza per quelle forze che vedevamo col fumo negli occhi
l'avanzata delle sinistre, gli scioperi e i cortei nelle strade per
rivendicare maggiori diritti e salari. La richiesta da parte di
studenti, insegnanti, perfino poliziotti, di un paese moderno che si
liberasse una volta e per sempre di quel retaggio fascista che ancora
resisteva, delle sacche di rendita parassitaria.
Un paese in cui il figlio dell'operaio
o del contadino potesse laurearsi e salire quel benedetto ascensore
sociale (ancora oggi bloccato tra l'altro).
Invece no.
I fascisti, il blocco atlantico, il
blocco di potere che ha comandato l'Italia per tanti anni, hanno
cercato di impedire tutto questo usando le bombe, gli attentati, le
stragi. La strategia della tensione, termine coniato dal
quotidiano inglese The Observer.
Destabilizzare, con la minaccia di un
colpo di Stato come in Grecia (o come in Cile anni dopo), che mai
sarebbe stato accettato dal governo americano, ma che serviva per
mobilitare quei gruppi fascisti come Ordine Nuovo in Veneto,
Avanguardia Nazionale a Roma, La Fenice a Milano.
Creare terrore, far si che la gente di
fronte a questi attentati chiedesse allo Stato quell'ordine che solo
un regime autoritario poteva dare.
Si parla della strage di Piazza
Fontana, di cui oggi celebriamo il 50 esimo anniversario come di una
"strage di stato", della nostra "perdita
dell'innocenza": sono due espressioni in parte false.
La strage è stata possibile, come le
successive fino alla bomba alla stazione di Bologna, grazie a
complicità e protezioni di organi dello Stato: nei servizi segreti
(il SID, l'Ufficio Affari Riservati), dentro le Questure e le
prefetture (la falsa pista anarchica fu indicata sin dall'inizio dal
prefetto di Milano in un telegramma al ministro la stessa sera),
dentro le procure.
Ma ci sono stati anche pezzi dello
stato che non si sono piegati ai depistaggi, non hanno voltato la
testa dall'altra parte: penso ai magistrati milanesi come D'ambrosio,
Salvini, Alessandrini; ai giudici veneti Stiz e Calogero (i primi a
seguire la pista nera che portava agli ordinovisti Freda e Ventura);
al giudice padovano Tamborino che indagò sul tentativo di golpe
della Rosa dei venti.
Penso al carabiniere Alvise Munari e al
commissario Juliano a Padova.
C'erano uomini dello Stato che erano
fedeli alla Costituzione e altri uomini dello stato che invece erano
fedeli solo a pezzi delle istituzioni, alle leggi, intese come l
leggi contro l'avanzata del comunismo.
C'era uno stato da liberare dalla presa
di una parte dello stato e non può venire in mente quello che
scriveva Sciascia
ne Il Contesto "Occorre liberare questo stato, da coloro
che lo detengono".
Nonostante questo terrore, nonostante
questo sangue, nella stagione che abbiamo chiamato degli anni di
piombo, abbiamo avuto importanti riforme: lo Statuto dei lavoratori,
l'istituzione delle regioni, la legge sul divorzio, sull'aborto (che
metteva fine all'aborto clandestino), la fine dei manicomi.
Questo paese, alla fine degli anni
sessanta stava scoprendo la voglia e la passione per la lotta, per
l'impegno politico, per voler cambiare il volto a questo paese che
aveva vissuto gli anni del boom come una breve stagione di felicità.
Stagione che però non aveva arricchito
tutti gli italiani allo stesso modo.
La perdita dell'innocenza:
questa Repubblica, non più giovane, non è stata mai innocente. E'
nata dalla guerra di liberazione, dai partigiani, dall'esercito
Alleato che ha sconfitto il nazifascismo ma anche dagli accordi con
la mafia, dai ricatti successivi alla strage di Portella della
Ginestra (anche qui, una strage attribuita alla sola banda Giuliano,
quando si sa che erano presenti anche uomini in divisa).
Non è mai stata innocente per lo
scandalo Montesi, per la corruzione che via via si è sempre mangiata
pezzi del paese.
Cosa possiamo dire oggi, a
cinquant'anni di distanza, di questa strage?
Possiamo ricordare il contegno dei
milanesi la mattina del funerale: la reazione di pancia per il
ripristino dell'ordine, che ci si aspettava non è arrivata.
In pochi, nonostante il linciaggio
mediatico (le fake news non sono una invenzione di oggi) contro gli
anarchici e Valpreda, in pochi credevano veramente alla pista rossa.
Da questa menzogna, dal depistaggio di
Piazza Fontana, è nata l'idea in molti italiani e anche in quei
giornalisti che poi hanno raccontato quel contesto (Cederna, Pansa,
Bocca, Stajano), che non si poteva fidare ciecamente delle
istituzioni.
Le nostre istituzioni ancora oggi si
portano addosso la colpa: la colpa delle morti, delle coperture
garantite ai neo fascisti (responsabili delle stragi, ormai possiamo
dirlo, dopo le sentenze della magistratura), quella dei vertici dei
servizi (Viceli, Maletti, Umberto D'Amato, Henke) che sapevano ma
hanno coperto, hanno tradito la Costituzione che è la madre di tutte
le leggi.
Le nostre istituzioni si portano ancora
addosso la colpa di non aver voluto rendere pubblici tutti gli atti
raccolti dai servizi (e anche dai carabinieri), nemmeno oggi che il
muro di Berlino è caduto.
La legge istituita dal governo Renzi è
solo un timido passo in avanti, ma delega ai servizi stessi la scelta
di quali atti rendere pubblici o meno; nessun atto è stato reso
pubblico su Gladio, Nuclei di difesa dello stato, Rosa dei venti (le
strutture segrete messe in piedi per questa guerra non ortodossa).
Di Piazza Fontana e di tutte le altre
stragi (Italicus, Brescia, Bologna..) non conosciamo ancora i
mandanti ma è chiaro il contesto, i responsabili (per Brescia,
Peteano e Bologna esiste anche una sentenza definitiva di
colpevolezza): queste storie ci hanno insegnato quanto possa essere
fragile una democrazia, di come le nostre libertà possano essere
sempre minacciate, di come spesso si debba dubitare delle versioni
ufficiali.
C'è poi un'altra constatazione:
Per quindici anni l’Italia è
stata trasformata in un campo di battaglia da terroristi armati,
spesso in combutta con apparati dello Stato. Eppure ce l’ha fatta,
perché ha combattuto e vinto difendendo valori condivisi scritti
nella Costituzione, e proprio grazie a questi imponendosi.
Bisognerebbe ricordarsene ogni volta che qualcuno cerca di rimettere
in discussione quelle fondamenta. [Dal libro Gli
anni delle stragi - l'Espresso]
Oggi la carta della paura è ancora
usata per condizionare le persone, per creare confusione e impedirgli
di vedere le cose come stanno.
Non esiste più una cortina di ferro a
separare il mondo in due, ma questo ha reso il campo di battaglia
degli interessi sovranazionali ancora più complesso.
L'influenza cinese, quella russa, la
presenza americana sul nostro territorio, l'aderenza alla Nato ..
Coltivare il vizio della memoria è la
nostra medicina.
Non dimenticare: quelle morti, il
coraggio di chi ha voluto fare luce sui misteri, il dolore dei
familiari.
Alcuni consigli di lettura:
- Abbinato con l'Espresso è uscito il
volume “Gli
anni delle stragi”: una raccolta di articoli pubblicati sulle
stragi degli anni tra il 1969 e il 1984
- Piazza
Fontana, il primo atto dell'ultima guerra italiana di Gianni
Barbacetto
- La
bomba Enrico Deaglio
- L'Italia
delle stragi a cura di Angelo Ventrone
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