14 marzo 2010

L'isola della paura di Dennis Lehane

Shutter Island, settembre 1954.
Un buon libro è quello che ti fa vivere un lungo ed emozionante viaggio, fino all'ultima pagina.
Una trama piena di colpi di scena.
Dei personaggi con cui entrare subito in empatia, che vengono raccontati anche dal loro lato interno, il loro carattere, le loro paure, i loro pensieri.
Personaggi con un doloroso bagaglio alle loro spalle, come per l'agente federale Teddy Daniels, sbarcato a Shutter Island, assieme al socio Chuck Aule, per cercare la paziente Rachel Solando, scappata dall'istituto di detenzione di Ashecliffe Hospital, per criminali psicopatici.
Shutter Island: una ambientazione degna di un libro noir. Un istituto per pazzi su un'isola, una prigione su una prigione. Una prigione al quadrato.
Un'isola che incute paura, un'isola da cui non si scappa, e che, in qualsiasi modo e direzione ti muovi, non fa che riportarti verso il mare.
Nei quattro giorni in cui è concentrata il racconto di Lehane , il lettore vive una doppia storia: la ricerca della paziente, da parte della coppia di agenti federali. Ma anche un viaggio psicologico dentro la mente di Teddy: man mano, nella lettura si comprendono i motivi che lo hanno spinto sull'isola, legati alla morte della sua adorata moglie, Dolores, conosciuta prima della guerra e morta durante un indendio doloso.
Ed è un viaggio nel mondo oscuro della mente, dentro il “cuore di tenebra” del protagonista: con i ricordi dolorosi della seconda guerra mondiale, per tutte le persone che ha dovuto uccidere.
Con i sogni, sempre più complicati da comprendere, in cui parla (o crede di parlare) con Dolores, ma anche con gli altri fantasmi della sua mente.
Un libro in cui l'aspetto psicologico è centrale : le domande di Teddy (cosa succede sull'isola, che esprimenti vengono condotti sui pazienti), le sue paranoie (di chi mi posso fidare? Chi sono i medici dell'istituto?), diventano un veleno che si impossessa della sua mente.
Giù, giù, fino in fondo, fino alla scoperta della verità.

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