Non è solo una questione di preisdenti di regione.
A leggere i giornali di oggi sembra che qui siano in gioco le poltrone del Lazio o della Lombardia, e scusate ma questa è una sciocchezza sesquipedale.
Non è poi così fondamentale se alla fine vince la Polverini o la Bonino, o se Formigoni riesce a perpetuare i suoi affari con la Compagnia delle Opere per altri cinque anni. Certo, non dico che sia irrilevante, ma le Regioni in fondo sono delle gigantesche Asl mentre in questi giorni è in gioco qualcosa di molto più vitale per decidere che strada prenderà questo benedetto paese.
Qui, semplicemente, si stanno confrontando due pezzi d’Italia.
Da una parte c’è l’Italia secondo la quale le leggi – anzi tutte le regole – sono una fastidiosa formalità, se non un costante impedimento. E’ l’Italia dei condoni edilizi, degli scudi fiscali, dei Suv parcheggiati in seconda fila, dei 170 all’ora in autostrada, dei sorpassi sulle corsie d’emergenza.
E’ l’Italia dei “vabbeh, nun se potrebbe, però…” che poi vuol dire lo faccio anche se non si può.
E’ l’Italia per cui l’estensione infinita dell’io prevale su ogni altro valore.
L’Italia che unge le ruote e scambia favori, di qua e di là della linea della legge, perché quello che conta è il risultato, la vittoria, il profitto, il potere.
L’Italia del “non facciamo le verginelle, “siamo uomini di mondo” e “tanto lo fanno tutti” . E naturalmente anche del “se dovessi pagare tutte le tasse chiuderei bottega”.
L’Italia degli yacht con targa panamense che vedo ogni santa estate nei porticcoli della Toscana, e a bordo cenano parlando brianzolo.
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