Scrive nella prefazione il giudice
Roberto Scarpinato:
“Più trascorrono gli anni e più
cresce la mia sensazione di disagio nel partecipare il 23 maggio e il
19 luglio alle pubbliche cerimonie commemorative delle stragi di
Capaci e di via D'Amelio. La retorica di stato ha i suoi rigidi
protocolli ed esige che il discorso pubblico venga epurato da ogni
sconveniente riferimento alle travagliate vicende che segnarono le
vite di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, preparandone
lentamente la morte.
Relegando nel fuori scena della storia quelle
vicende, questa forma di autocensura consegna così alla memoria
collettiva una narrazione tragica e, nello stesso tempo, semplice e
pacificata, che si può riassumere nei seguenti termini: Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino furono assassinati perchè con il loro
lavoro di integerrimi magistrati, culminato nelle condanne inflitte
con il maxiprocesso, erano il simbolo di uno stato che aveva sferrato
un colpo mortale a cosa nostra, mandando in frantumi il miti della
sua invincibilità ”.
E, continua più avanti
l'autrice Antonella Mascali
“Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
non sono eroi. E non volevano essere eroi. Erano e volevano essere
servitori dello Stato. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono
diventati martiri della Patria perchè sono stati lasciati soli.
Perchè, come dice il procuratore Gian Carlo Caselli, ciascuno di noi
non ha fatto il proprio dovere fino in fondo. Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino erano magistrati isolati. Ostacolati.
Calunniati.”
Qual'è allora, il modo migliore per
ricordare veramente cosa sono stati
Falcone
e
Borsellino,
e tutti gli altri servitori dello Stato, morti nella battaglia per la
legalità?
Ricordare le loro parole, i loro discorsi, le loro
interviste (che molte polemiche suscitarono), gli articoli sulle
riviste.
L'autrice ha voluto mettere insieme diversi
interventi scritti negli anni dalla metà degli anni '80 fino al
1992: l'unica modo per comprendere meglio cosa intendessero Falcone e
Borsellino quando parlano di giustizia, pentitismo, di lotta alla
mafia, della mafia al nord, di credibilità di uno Stato e di
questione meridionale è proprio rileggersi le loro parole.
Oggi
in troppi riutilizzano la loro figura in contrapposizione di “eroi
dell'antimafia” per metterli in contrasto a quei magistrati che,
sempre nell'ennesima solitudine, stanno facendo oggi il loro dovere
di uomini dello Stato. Penso a Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia,
a Sergio Lari, Nino Di Matteo, Domenico Gozzo: Falcone sì che era
garantista, che portava a processo prove certe che arrivavano a
sentenza e non “teoremi”.
In realtà in questo libro
se ne trovano due : l'introduzione del giudice Scarpinato è
ben più della solita prefazione che apre saggi del genere, ma bensì
una ricostruzione storica e politica della lotta alla mafia in
Italia.
Una lotta che è stata portata avanti sempre con mezzi e
leggi di emergenza, poiché la mafia non è mai stata estranea al
sistema di potere (criminale) delle nostre classi dirigenti.
Più
che di lotta alla mafia bisognerebbe infatti parlare di contenimento
della mafia: la “convergenza di interessi” tra sistema politico e
sistema mafioso ha partorito quei nefasti intrecci che poi (con grave
ritardo) le sentenze della magistratura hanno stabilito.
Negli
anni '80, a seguito dei cadaveri eccellenti nelle istituzioni (Reina,
Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, ma anche il giudice Terranova, il
colonnello dei carabinieri Russo e il capitano Basile, il capo della
squadra Mobile Boris Giuliano), a Palermo iniziò una stagione
formidabile di inchieste, portate avanti dai magistrati del pool.
Erano inchieste in cui la magistratura per la prima volta rivendicava
un ruolo attivo (da “magistrati sceriffo” si disse) nel seguire
le indagini sulla mafia criminale ma anche della mafia economica.
Falcone seguì la pista dei soldi, partendo dalle indagini sul
costruttore Spatola, per arrivare ad individuare le tracce del
traffico di droga di cosa nostra con gli Stati Uniti.
Per la prima
volta lo Stato e le istituzioni e la magistratura sembravano voler
riconquistarsi quella credibilità, quella terzietà, quel ruolo che
la Costituzione sancisce.
Erano finiti i “bei tempi” in
cui il giudice istruttore non scopre nulla, che al massimo condanna
qualche ruba galline, in cui si inauguravano gli anni giudiziari
sostenendo la non esistenza della mafia.
Il pool scoprì (ma
forse questa è una parola grossa) quel “Contesto”, per dirla
alla Sciascia fatto da amministratori, politici locali e nazionali,
prefetti e questori, avvocati e imprenditori, mafiosi e collusi coi
mafiosi, tutti a braccetto in un unica foto.
Da qui partirono gli
attacchi al pool e ai singoli magistrati: Torquemada, attentatori
all'economia dell'isola, giudici politici che vogliono attaccare la
Democrazia Cristiana, giudici sceriffi.
Sembra incredibile, ma a
Falcone e Borsellino, quelli che oggi vengono ricordati in pompa
magna, negli anni '80 furono vittime di richiami dal CSM, di volgari
campagne stampa. Attaccati sui giornali dal corvo (uno che sapeva
troppe cose) e da comuni cittadini che rivendicavano un po' di
quiete, senza quelle sirene.
Falcone, lo stesso che oggi viene
messo ad esempio, in contrapposizione ai magistrati giustizialisti e
presenzialisti, fu bocciato alla nomina di giudice istruttore, fu
bocciato al Csm, alla carica di Ispettore anti mafia, alla carica di
superprocuratore.
Borsellino, se ne andò a Marsala ad aprire
anche in quella parte dell'isola il filone delle inchieste sulle
cosche, mai esplorato prima.
E dopo la morte di Falcone, rimase
ancora più solo: escluso dalle indagini dal capo Giammanco, non fu
mai sentito dai pm di Caltanissetta. Quelli che poi seguirono la
falsa pista Scarantino.
Conclude Scarpinato:
"La realtà che abbiamo vissuto e sofferto con Giovanni e Paolo racconta che, diversamente da quanto si ripete nelle cerimonie ufficiali, il male di mafia non è affatto solo fuori di noi, è anche 'tra noi'. Racconta che gli assassini e i loro complici non hanno solo i volti truci e crudeli di coloro che sulla scena dei delitti si sono sporcati le mani di sangue, ma anche i volti di tanti, di troppi sepolcri imbiancati. Un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole e che affollano i migliori salotti: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei servizi segreti e della polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d'oro, personaggi apicali dell'economia e della finanza e molti altri. Tutte responsabilità penali certificate da sentenze definitive, costate lacrime e sangue, e tuttavia rimosse da una retorica pubblica e da un sistema dei media che, tranne poche eccezioni, illumina a viva luce solo la faccia del pianeta mafioso abitata dalla mafia popolare, quella del racket e degli stupefacenti, elevando una parte a simbolo del tutto."
L'elenco degli interventi
raccolti:
- Cose di cosa nostra, Giovanni Falcone
- Discorso agli
studenti dell'istituto tecnico di Bassano del Grappa tenuto da Paolo
borsellino il 26 gennaio 1989 (un pezzo del video).
- La
lettera ad una professoressa che Borsellino scrisse alle 5 di mattina
il 19 luglio 1992.
- Recensione di Giovanni Falcone del libro di
Saverio Lodato “10 anni di mafia” (qui
il link per ordinare l'ultimo volume di Lodato).
- La mafia come
antistato, intervento di Falcone al convegno “I problemi della
criminalità organizzata” 1989.
- Intervento di Giovanni Falcone al
dibattito organizzato a Palermo il 17 dicembre 1984 da Unità per la
Costituzione.
- Contributo di Giovanni Falcone al titolo
“Valutazioni probatorie relative al pentitismo” tenuto nel 1986 a
Torino da parte dell'ANM.
- Il diario di Falcone, pubblicato da
Liana Milella sul Sole 24 ore.
- L'articolo uscito nel 2002 su
l'Unità di Saverio Lodato, sull'ultimo incontro con Falcone “La
solitudine di Giovanni Falcone”.
- Prefazione di Falcone al libro
“Estorti e riciclati”, libro bianco della confesercenti a cura di
MassimoCecchini, Milano 1992.
- Intervista rilasciata da Paolo
Borsellino ad Attilio Bolzoni “Il pool antimafia smantellato”
(link);
intervista rilasciata da Borsellino a Saverio Lodato il 20 luglio
1988 “Vogliono smantellare il pool antimafia” (link).
- Veglia
per Giovanni Falcone, 23 giugno 1992, Palermo.
- Discorso tenuto
alla biblioteca comunale di Palermo, il 25 giugno 1992.
- L'ultima
intervista di Paolo Borsellino ai giornalisti Calvi e Moscardo il 21
maggio 1992.
- Intervista al TG5 con Lamberto Sposini il 25 giugno
1992.
- Discorso di commiato tenuto alla Procura di Marsala il 4
luglio 1992 “Me ne sono andato in punta di piedi”.
Pretesti di lettura
"Occorre evitare che si ritorni
di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni,
della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta.
Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito
verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro
opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi anche quelle
che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso
anche i benefici...; collaborando con la giustizia; testimoniando i
valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule
di giustizia... dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è
vivo."
Paolo Borsellino alla veglia per Giovanni Falcone,
23 giugno 1992.
"Mai avuto la tentazione di
abbandonare questa lotta. L'unica cosa che chiederei è che questa
tensione non venga mai meno. Gli uomini passano, le idee restano.
Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle
gambe di altri uomini."
Giovanni Falcone.
"C'è una trattativa tra la
mafia e lo Stato dopo la strage di Capaci, c'è un colloquio tra la
mafia e alcuni pezzi infedeli dello Stato, c'è questa contiguità
tra mafia e pezzi deviati dello Stato [...] Mi ucciderà la mafia, ma
saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando
altri lo consentiranno [...]."
Paolo Borsellino durante
un colloquio con la moglie.
"... lo Stato non si
presenta con la faccia pulita [...] Che cosa si è fatto per dare
allo Stato, in queste regioni e comunque dappertutto in Italia,
un'immagine credibile? [...] la vera soluzione sta nell'invocare, nel
lavorare perché uno Stato diventi più credibile, perché noi ci
dobbiamo identificare di più in queste istituzioni."
Paolo
Borsellino nel discorso tenuto agli studenti di Bassano del Grappa,
26 gennaio 1989.
"Il vigliacco muore più
volte al giorno, il coraggioso una volta sola. L'importante non è
stabilire se uno ha paura o meno. È saper convivere con la propria
paura, non farsi condizionare dalla stessa. Il coraggio è questo,
altrimenti non è più coraggio, è incoscienza."
Giovanni
Falcone.
"È penoso quello che ho
dovuto ascoltare nei corridoi di questo palazzo, constatare che,
tranne pochi, tutti sono contenti per il fatto che me ne sto
andando."
Giovanni Falcone, prima di lasciare la Procura
di Palermo.
« All’inizio degli anni Settanta Cosa
Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa
nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a
un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di
sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa
enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali,
naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi
capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e
allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e
certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali,
contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad
effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò
a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria
operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le
capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far
fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in
possesso »
L'ultima intervista di Paolo Borsellino, dove
parla della nuova mafia imprenditrice e di Mangano e Dell'Utri
"No, io non mi sento
protetto dallo Stato."
Vi è stata una delega totale e
inammissibile nei confronti della magistratura e delle
forze dell'ordine a occuparsi esse solo del problema
della mafia [...].
"L'equivoco su cui spesso
si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso,
quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con
l'organizzazione mafiosa, però la magistratura non l'ha condannato,
quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va
perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di
carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono
sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria
che mi consente di dire che quest'uomo è mafioso. Però, siccome
dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi,
altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari
delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che
sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze
tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano
comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa
pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perchè ci si è
nascosti dietro lo schermo della sentenza. Si dice: questo tizio non
è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto... ma dimmi un
poco... tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata
condannata perchè non ci sono le prove per condannarla? C'è il
forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare
grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti
facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti
comunque da episodi e fatti inquientanti...".
Paolo
Borsellino a uno studente di Bassano del Grappa, 26 gennaio 1989
La presentazione dell'autrice , perchè
questo libro.
La
scheda del libro sul sito di
Chiarelettere
editore.