09 dicembre 2014

Un selfie non è una condanna

Caro presidente del Consiglio, lei giustamente dice che un selfie non è come aver preso una tangente.
E infatti il ministro Poletti (cui lei si riferisce) non è né indagato né è stato arrestato.
Ma quella foto, che lo ritrae assieme ad esponenti della destra romana, del PD, al capofamiglia dei Casamonica, a Panzironi e all'onnipresente Buzzi dice lo stesso qualcosa.
Racconta di rapporti consolidati, mantenuti nel tempo (il ministro Poletti era sulla copertina della rivista della coop 29 giugno), trasversali. Anche con gente da cui prendere le distanze.
Può capitare di finire a cena con gente con una passato poco raccomandabile.
Ma non può capitare che la pubblica amministrazione instauri dei rapporti continuativi e remunerativi (per il soggetto privato, non per il pubblico) con queste aziende.
Altrimenti si dovrebbero rivolgere al ministro Poletti (e a buona parte del PD romano), che è stato a capo della lega delle cooperative, che gestiscono tanti appalti per la ppaa, che lavorano nelle grandi opere, la solita: dov'era lui mentre tutto questo succedeva? Ha controllato la coop di Buzzi che in anni di crisi ha visto crescere il fatturato da 20 a 60 ml di euro (nel 2013)?

E c'è un'altra domanda che aleggia nell'aria. Non è proprio una domanda forse, è più una considerazione.
L'ha fatta Vincino ad Announo giovedì scorso, riferendosi al rapporto tra il partito e le coop: almeno Berlusconi non ha nominato ministro Confalonieri.
E non è solo questione di selfie.


Gilioli raccoglie qui altre "curiosità" (chiamiamole così) dall'inchiesta "Mafia capitale":
È curioso che a chiedere lo scioglimento del comune di Roma per mafia ci sia anche Forza Italia, un partito costruito nel ‘94 da un condannato per mafia.
È curioso che Alemanno al tempo querelasse a raffica chiunque, compreso Report e questo giornale, e ora apprendiamo dalle sue stesse parole che proprio mentre querelava chiedeva ai suoi collaboratori se per caso non era tutto vero.
È curioso che qui a Roma un candidato consigliere comunale spenda da sempre molte decine se non centinaia di migliaia di euro in campagna elettorale per un posto da 2.000 euro al mese, e forse non era difficile pensare che poi si rifacesse altrimenti.
È curioso che Renzi ora parli del Pd romano come se fosse un altro partito e non quello di cui è segretario nazionale da un anno, e di cui tutti sapevano se non la corruttela di certo la brutale e tribale ingordigia.
È curioso che oggi nel coro di chi denuncia le fameliche correnti piddine della capitale canti anche Goffredo Bettini, che del correntismo vorace capitolino è stato il grande demiurgo per anni.
È curioso tuttavia anche il tentativo della stampa di destra di usare questo scandalo romano come conferma del «così fan tutti» quindi «se tutti colpevoli, nessun colpevole», ed è una puttanata, perché invece se tutti colpevoli, tutti colpevoli e basta, purtroppo.
È curioso infine che il ministro Franceschini sostenga che a creare «un danno d’immagine e quindi economico all’Italia» siano le proteste fuori dalla Scala e non quello che emerge da Roma, di cui si invece si parla su tutti i giornali del mondo.

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